• Non ci sono risultati.

Il tiranno e il tirannicidio nelle opere politiche di Hobbes

Tirannicidio, resistenza e guerra civile in Thomas Hobbes

1. Il tiranno e il tirannicidio nelle opere politiche di Hobbes

Negli Elements of Law natural and politic Hobbes spiega che sono tre i fat- tori che dispongono gli uomini alla sedizione: il malcontento, la pretesa di diritto e la speranza di successo. In assenza di uno solo di questi fattori non può darsi alcuna ribellione. Tra i tre fattori della sedizione, l’elemento che ci interessa analizzare in queste pagine è la pretesa di diritto, che innesca un processo che induce gli uomini a credere di avere un diritto di cui non go- dono realmente. L’effetto che consegue da questa credenza è la restrizione, la limitazione del carattere assoluto della sovranità. Per spiegare la pretesa di diritto, Hobbes espone alcune false opinioni diffuse tra gli uomini, giudi- cate incompatibili con la pace e il buon governo272. L’analisi delle dottrine

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

272 Negli Elementi di legge Hobbes elenca queste dottrine in sei casi particolari. Cfr. T.

HOBBES, Elementi di legge naturale e politica, a cura di A. Pacchi, La Nuova Italia, Fi- renze 1968, II, cap. VIII, §§4-10, pp. 240-45. Per lo studio di questi temi si veda soprattutto

sediziose è una costante dei testi politici hobbesiani: negli Elementi di legge naturale e politica e nel De Cive Hobbes espone queste dottrine in maniera dettagliata e torna a soffermarsi su questo tema nel capitolo XXIX del Le- viatano, dedicato alla dissoluzione dello stato. Tra le diverse dottrine sedi- ziose Hobbes annovera l’idea per cui la conoscenza del bene e del male sia riservata ai singoli individui, la credenza che il potere sovrano sia soggetto alle leggi civili e che la sovranità possa essere divisa273.

Negli Elementi di legge la sesta e ultima opinione sediziosa è costitui- ta dalla legittimità del tirannicidio. Si tratta di una dottrina particolarmente pericolosa perché consente di attaccare frontalmente il potere sovrano, dopo averlo univocamente identificato come ‘tiranno’. Tuttavia, spiega Hobbes, per tiranno si intende solamente «un uomo in cui risiede il diritto di sovrani- tà»274. La critica elaborata da Hobbes mette in crisi radicalmente questa fal- sa credenza secondo cui il tirannicidio è legittimo:

Quando un uomo ha il diritto di sovranità, non può esser punito a buon dirit- to, come già spesso è stato dimostrato, e quindi tanto meno deposto o messo a morte. E comunque egli possa meritare punizione, tuttavia la punizione è ingiusta se non è preceduta da un giudizio, ed un giudizio è ingiusto senza il potere di giudicare, che un suddito non possiede nei confronti del suo sovra- no275.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

M. MALHERBE, Hobbes et la mort du Léviathan: opinion, sédition et dissolution, «Hob- bes Studies», IX, 1996, pp. 11-20.

273 In particolare, negli Elementi di legge Hobbes cita come terza opinione sedizosa la pos-

sibilità di dividere il potere sovrano. Per condannare questa dottrina Hobbes, solitamente restio nel segnalare i suoi debiti intellettuali, fa esplicito riferimento a Jean Bodin e alla sua

République. Cfr. T. HOBBES, Elementi di legge, II, cap. VIII, §7, pp. 242-43: «E se vi

fosse uno stato, in cui i diritti di sovranità fossero divisi, noi dobbiamo ammettere con Bodin (De Republica, Lib. II, cap. 1), che non è giusto siano chiamati stati, ma piuttosto corruzione degli stati». Dalla critica della sovranità divisa deriva anche la critica dello stato misto; questi sono nuclei teorici che Hobbes dichiara di riprendere dalla riflessione bodini- ana. Per la definizione di sovranità in Bodin cfr. Six livres de la République, I, 8; per la critica dello stato misto si veda soprattutto op. cit., II, 1.

274 T. HOBBES, Elementi di legge, II, cap. VIII, § 10, p. 244. 275 Elementi, II, cap. VIII, § 10, pp. 244-45.

Hobbes poggia la sua tesi su due punti: primo, chi detiene la sovranità non può essere punito; secondo, un suddito non ha il potere di giudicare il so- vrano. Hobbes intende escludere definitivamente la possibilità per un suddi- to di attaccare direttamente la suprema potestas. Tuttavia, l’idea che il tiran- nicidio sia lecito continua a essere pericolosamente diffusa, soprattutto per opera delle opinioni della tradizione greca e romana, per le quali sia il nome di tiranno sia il nome di re sono odiosi276.

Nel De Cive la legittimità del tirannicidio è ricordata come terza dot- trina sediziosa. Il tirannicidio «viene considerato non soltanto lecito, ma de- gno di massima lode, al giorno d’oggi, da alcuni teologi e un tempo da tutti i sofisti, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca, Plutarco, e dagli altri fautori dell’anarchia greca e romana»277. Hobbes annovera qui alcuni degli autori antichi colpevoli di aver ammesso e addirittura di aver elogiato il tirannici- dio come atto giusto e meritorio. Al pari degli Elementi di legge, anche nel De Cive Hobbes insiste sul fatto che sono indicati con il nome di tiranno «tutti coloro che amministrano il potere supremo in ogni genere di Stato»278. Però, a differenza degli Elementi, qui Hobbes distingue tra tirannicidio legit- timo e illegittimo279. Se il tiranno, cioè, detiene il potere illegittimamente, è un nemico dello stato e può essere legittimamente ucciso. Tuttavia, a ben guardare, questo atto dovrebbe essere chiamato più propriamente hostici- dium, vale a dire uccisione di un nemico (hostis), e non tirannicidio280. In

caso contrario, se il tiranno detiene il potere legittimamente, il suo assassi-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

276 Ibidem.

277 T. HOBBES, De Cive. Elementi filosofici sul cittadino, a cura di T. Magri, Editori Riu-

niti, Roma 1979, cap. XII, § 3, p. 184.

278 Ibidem.

279 Su questo punto ha insistito anche A. DI BELLO, Sovranità e rappresentanza. La dot-

trina dello stato in Thomas Hobbes, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 2010, p.

156.

280 Per un commento a questi passi del De Cive si tenga presente anche G. PAGANINI,

Ubbidienza, resistenza e critica del concetto di «tirannia» in Hobbes, in Figure di ‘servitù’ e ‘dominio’ nella cultura filosofica europea tra Cinquecento e Seicento, a cura di N. Pani-

nio è, oltre che ingiustificato, del tutto illegittimo281. Qui è possibile trovare

un riferimento implicito alla tradizionale distinzione tra tyrannus ex defectu tituli e tyrannus ex parte exercitii. Il primo è un usurpatore, perché non ha titolo per esercitare il potere e non è stato autorizzato dal popolo a governa- re. Non essendo il rappresentante della volontà degli individui, le sue azioni sono perseguibili ed egli può essere ucciso. In questo caso, si sta uccidendo un nemico dello stato. Il tyrannus ex parte exercitii, invece, detiene un pote- re legittimo e non può essere deposto né ucciso. In quest’ultimo caso, Hob- bes pone un interrogativo non semplice: come possono i sudditi giudicare che un governante legittimo sia un tiranno? Qui il filosofo di Malmesbury risponde introducendo un’altra dottrina sediziosa – probabilmente la falsa credenza da cui discendono tutte le altre – che è la conoscenza privata del bene e del male:

Se [il governante] ha ricevuto il potere legittimamente, trova luogo la do- manda posta da Dio: chi ti ha mostrato che era un tiranno, se non hai man-

giato il frutto dell’albero che ti avevo ordinato di non mangiare? Perché in-

fatti chiami tiranno chi Dio ha fatto re, se non perché, pur vivendo da priva- to, ti attribuisci la conoscenza del bene e del male?282

In questo brano Hobbes realizza un’operazione importante, poiché intreccia la pretesa di un individuo di giudicare un re in quanto tiranno con la pretesa di giudicare il bene e il male soggettivamente283. Il richiamo all’episodio di Genesi del cibarsi del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del ma- le mostra come proprio da questa conoscenza discenda la presunzione da parte di ciascun individuo di poter giudicare l’operato di un re, attribuendo- gli l’etichetta di tiranno. Dal giudizio privato del bene e del male possono derivare vere e proprie ‘malattie’ dello stato:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

281 De Cive, cap. XII, §3, p. 185. 282 Ibidem.

283 Questo intreccio è studiato anche da Q. SKINNER, Reason and Rhetoric in the Philoso-

Osservo le malattie dello stato che derivano dal veleno di dottrine sediziose, una delle quali è che ogni privato è giudice delle azioni buone e cattive. Questo è vero nella condizione meramente naturale, in cui non esistono leggi civili, e anche nei governi civili in quei casi che non sono determinati dalla legge. Altrimenti è manifesto che la misura delle azioni buone e cattive è la legge civile e che il giudice è il legislatore, che è sempre il rappresentante dello stato. Questa falsa dottrina spinge gli uomini a discutere fra loro e a di- sputare per decidere gli ordini dello stato, per poi spingerli ad obbedire e a disobbedire ad essi, a seconda di quello che il loro giudizio privato riterrà opportuno. Con ciò lo stato viene turbato e indebolito284.

Questo stato di generale licenza, che è conseguenza della falsa credenza che ognuno possa giudicare per sé le azioni buone e cattive, non può che avere effetti deleteri per la stabilità dello stato. Il giudizio privato del bene e del male è sempre ammesso nello stato di natura, mentre nella società civile è accettato soltanto nei casi di silenzio della legge. In tutti gli altri casi, inve- ce, è evidente che il giudizio privato non è ammesso perché è la legge civile a stabilire le azioni da considerarsi buone e cattive. Lo stato risulta indeboli- to da questa falsa credenza, perché a partire da quella gli uomini si arrogano il diritto di obbedire e disobbedire, secondo il proprio giudizio e la propria volontà. Se è vero che la legittimità del tirannicidio è una dottrina dannosa per gli stati in generale, lo è ancora di più per le monarchie. Oltre ad insiste- re sulla nociva diffusione di questa dottrina sediziosa, l’intento di Hobbes è quello di dipingere il re in una posizione di estrema insicurezza, praticamen- te in balia di una folla dagli istinti animaleschi. È per questo motivo che Hobbes pone l’accento sul fatto che il monarca è costantemente esposto al rischio di condanna o alla minaccia di assassinio.

Nel Leviatano, accanto all’analisi delle dottrine sediziose, Hobbes introduce l’idea che l’imitazione delle nazioni vicine possa agire come una dottrina perniciosa. Fa parte della natura umana ricercare e desiderare le no- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

284 T. HOBBES, Leviatano, a cura di R. Santi, Bompiani, Milano 2012, II, cap. XXIX, p.

vità, per cui l’esempio costituito dal governo di una nazione vicina induce gli uomini a voler modificare il proprio stato su imitazione di quelli limitro- fi. Questo processo, che è segnale della naturale insoddisfazione dell’uomo, è supportato da diversi esempi storici. Hobbes riporta il caso del popolo ebraico che, volendo seguire l’esempio delle altre nazioni, richiede a Dio di poter essere governato da un re285. Il rischio dell’imitazione delle nazioni vicine è talmente reale per Hobbes che un altro esempio, a lui contempora- neo, è rappresentato dai «turbamenti causati in Inghilterra dall’imitazione dei Paesi Bassi»286. Secondo questa ipotesi, alla base dei disordini che si sono generati in Inghilterra si collocherebbe la supposizione secondo cui per potersi arricchire è sufficiente cambiare la forma di governo, così come hanno fatto gli olandesi. Questo stimolo al cambiamento, che Hobbes avver- sa profondamente, rappresenta la messa in opera del contagio. Essendo gli stati paragonabili agli organismi viventi, le malattie di cui essi soffrono si possono facilmente diffondere in virtù della loro vicinanza.

Non soltanto l’imitazione delle nazioni esistenti, ma anche la lettura dei libri e delle storie degli antichi greci e latini è da rigettare. Il rischio de- rivante dalla lettura di questi testi è di rimanere impressionati dalle gesta eroiche di alcuni personaggi o dalle imprese belliche degli eserciti, rischian- do di perdere completamente di vista gli errori alla base di una simile politi- ca. In modo particolare, i lettori dimenticano le sedizioni e le guerre civili scaturite da una politica volta all’espansionismo e al continuo mutamento territoriale. Tuttavia, la vera preoccupazione di Hobbes a proposito della lettura degli antichi non è un generico riferimento al disordine, quanto piut- tosto la ben più grave legittimazione del tirannicidio:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

285 Il riferimento è a 1Samuele 8, quando il popolo d’Israele richiede di essere governato da

un re, al pari degli altri popoli. Samuele, su espressa volontà di Dio, espone gli inconve- nienti in cui potrebbe incappare il popolo d’Israele, se venisse governato da un re, ma, a fronte dell’insistenza del popolo, il Signore accetta di accontentare la sua richiesta.

Dico che, dopo avere letto questi libri, gli uomini hanno iniziato ad uccidere i loro re, perché gli scrittori greci e latini, nei loro libri e nei loro discorsi di politica, rendono legittimo e lodevole per ognuno il farlo, facendo in modo che prima di farlo egli chiami il re tiranno. Dicono, infatti, che non è legitti- mo il regicidio, cioè l’uccisione di un re, ma il tirannicidio, cioè l’uccisione di un tiranno287.

Tracciare una distinzione tra monarchia e tirannia permette di differenziare regicidio e tirannicidio, squalificando il primo come illegittimo e ammetten- do il secondo come legittimo. In altre parole, chi vuole giustificare l’uccisione del re, si preoccupa, in primo luogo, di denominare il re ‘tiran- no’ per sentirsi poi autorizzato a procedere contro di lui. Oltre ad essere scorretto, questo tipo di ragionamento è inammissibile, poiché monarchia e tirannia sono due termini diversi che indicano un unico concetto:

Nella storia o nei libri di politica ci sono altri nomi di governo, come la ti- rannia e l’oligarchia, che però non sono nomi di altre forme di governo, ben- sì delle stesse forme, quando sono detestate. Infatti, chi è scontento sotto la monarchia la chiama tirannia e chi non gradisce l’aristocrazia la chiama oli- garchia e così, anche chi si trova scontento sotto una democrazia la chiama anarchia288.

Su questo punto facciamo un passo indietro e torniamo al De Cive. Nel capi- tolo VII del De Cive, dedicato alle tre specie di stato, riprendendo gli «anti- chi scrittori politici»289, Hobbes introduce le tre forme di governo, monar- chia, aristocrazia, democrazia, e le rispettive forme degenerate, tirannide, oligarchia e anarchia. Eppure, specifica Hobbes, le tre forme di governo cor- rotte non sono «tre altre specie di Stato», bensì «tre nomi diversi, imposti ad esse da chi era scontento del governo o dei governanti»290. Gli uomini, a se- conda del favore o dell’avversione che nutrono nei confronti di una deter- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

287 Leviatano, II, cap. XXIX, p. 533.

288 Leviatano, II, cap. XIX, p. 305. Su questo tema ha ragionato anche G. PAGANINI, Ub-

bidienza, resistenza e critica del concetto di «tirannia» in Hobbes, cit., pp. 208-9.

289 De Cive, VII, § 2, p. 145. 290 Ibidem.

minata forma di governo, scelgono deliberatamente di riferirsi ad essa con il nome che preferiscono. Così, la scelta tra monarchia e tirannide, tra aristo- crazia e oligarchia, tra democrazia e anarchia dipende esclusivamente dalle preferenze individuali e, in ultima analisi, dalle passioni che ciascun indivi- duo nutre nei confronti del governo e di chi governa291. Perciò, Hobbes non riscontra una differenza tra distinte forme di governo; queste sono di per sé identiche, mentre a mutare è, piuttosto, il giudizio del singolo su una deter- minata forma di governo.

Eppure, nel De Cive Hobbes dedica un paragrafo a ricercare le diffe- renze tra re e tiranno:

In primo luogo, [essi] non differiscono nel fatto che il secondo abbia mag- gior potere del primo, perché non si può dare un potere maggiore di quello supremo. Neppure differiscono perché la potenza dell’uno è limitata, e quel- la dell’altro no. Chi ha una potenza limitata, non è re, ma suddito di chi gli pone i limiti. Inoltre, non differiscono per il modo in cui hanno acquistato il potere. […] Differiscono quindi solo per l’esercizio del potere: è re chi go- verna rettamente, tiranno chi governa in altro modo292.

È l’esercizio del potere, ossia il modo di governare, a segnare il discrimine tra re e tiranno. Questo sembra creare contraddizione con quanto considera- to sinora. A rigor di logica, se si segue il ragionamento di questo brano del De Cive, l’equivalenza monarchia/tirannia dovrebbe venire meno, poiché Hobbes individua un criterio per distinguere un re da un tiranno e cioè il modo di governare. Tuttavia, è lo stesso criterio di distinzione a cadere sog- getto alle preferenze individuali. Perciò, sostiene Hobbes, «se i cittadini pensano che un re legittimamente innalzato al potere supremo esercita bene

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

291 Su questo punto ha riflettuto K. HOEKSTRA, Tyrannus Rex vs. Leviathan, «Pacific

Philosophical Quarterly», LXXXII, 2001, 3-4, p. 422 e sgg., che parla a questo proposito di una differenza nel soggetto che valuta, non nell’oggetto valutato. Cfr. anche R. RUDOLPH,

Conflict, Egoism and Power in Hobbes, «History of Political Thought», VII, 1986, 1, p. 75.

il suo potere, lo chiamano re; altrimenti tiranno»293. Torna alla mente il di-

scorso sulle passioni individuali che si è menzionato poco fa. Hobbes inten- de liberare il campo dalle ambiguità e stabilire l’equivalenza sostanziale tra monarchia e tirannide, spiegando che «allo stesso monarca viene dato il nome di re in segno di onore, e di tiranno in segno di disprezzo»294. Qui la distinzione tra re e tiranno si annulla, poiché viene ridotta ad una preferenza soggettiva che fa perdere consistenza alla stessa distinzione295. Fin qui il De Cive. Nel Leviatano Hobbes fa un passo ulteriore. Alla luce dell’equivalenza tra re e tiranno, Hobbes stabilisce che non vi è alcuna diffe- renza nell’uccidere il re o il tiranno, perché sono esattamente la stessa per- sona, indicata con nomi diversi. L’uccisione del re o del tiranno è precisa- mente lo stesso atto, vale a dire l’uccisione di chi detiene il potere sovrano.

Nella Revisione e Conclusione del Leviatano il termine ‘tirannia’ è considerato sinonimo di ‘sovranità’:

Poiché tirannia significa né più né meno che sovranità, sia essa in uno o in più uomini, fatto salvo che quelli che usano la prima parola si intende che siano adirati con quelli che chiamano tiranni, ritengo che la tolleranza nei confronti di chi professa il suo odio per la tirannia sia una tolleranza dell’odio per lo stato in generale e un altro cattivo seme, che non differisce molto dal primo296.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

293 Ibidem.

294 Ibidem. Cfr. F. LESSAY, La figure cachée du tyran dans le Léviathan de Thomas Hob-

bes, «XVII-XVIII. Bulletin de la société d’études anglo-américaines des XVIIe et XVIIIe

siècles», XVI, 1983, 1, p. 9, secondo cui il tiranno non esiste nella tipologia dei sovrani previsti da Hobbes.

295 Su questo punto segnaliamo una differenza significativa rispetto alle riflessioni contenu-

te nella République di Jean Bodin, autore che, su altre questioni, costituisce un punto di riferimento per Hobbes. Nella sua trattazione, dopo aver definito la ‘monarchia tirannica’, Bodin introduce la distinzione tra re e tiranno (République II, cap. 4): il re rispetta le leggi di natura e agisce in vista del pubblico bene, mentre il tiranno calpesta le leggi di natura e si interessa soltanto del suo profitto egoistico. Bodin mantiene così la distinzione tra re e ti- ranno che in Hobbes sparisce. Eppure, su un altro punto, c’è vicinanza tra i due autori, poi- ché Bodin, per quanto definisca il tiranno, non ammette il tirannicidio, se non nel caso del tiranno usurpatore (tyrannus ex defectu tituli). Per l’intricata questione se sia lecito attentare alla vita del tiranno si veda République, II, cap. 5.

In questo passo Hobbes accosta in modo assolutamente originale e inedito tirannia e sovranità. Anche qui l’unica differenza individuata da Hobbes nell’uso dei termini si situa precisamente nell’avversione che caratterizza l’utilizzo del lemma ‘tiranno’. Tuttavia, ammettere e tollerare questa forma di odio e di disprezzo nei confronti del sovrano, indicato liberamente con il nome di tiranno, è un errore fatale per chi governa, un vero e proprio ‘ger- me’ della dissoluzione dello stato. Infine, ammettere la legittimità del tiran- nicidio e non condannarla come opinione falsa e sediziosa comporta dei seri rischi. Da un lato, i sudditi pretendono di avere un diritto, quello di giudica- re il re, che non hanno effettivamente; dall’altro, il sovrano è in balia delle