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Tirannide e resistenza nel pensiero politico di John Milton

1. The Tenure of Kings and Magistrates

Il 13 febbraio 1649, due settimane dopo l’esecuzione di Carlo I Stuart, vede la luce un pamphlet redatto da Milton intitolato The Tenure of Kings and Magistrates in cui si dimostra, come precisa il lungo sottotitolo:

Che è legittimo e tale è stato ritenuto in tutte le età, per chiunque ne abbia il potere, chiamare un tiranno o un re malvagio a rendere conto, e dopo debita condanna deporlo e metterlo a morte, se il magistrato ordinario ha trascurato o rifiutato di farlo112.

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112 J. MILTON, The Tenure of Kings and Magistrates, in ID., Political Writings, a cura di

M. Dzelzainis, CUP, Cambridge 1991; le citazioni sono tratte dall’edizione italiana di J. MILTON, Uccidere il tiranno, prefazione di G. Giorello e traduzione di G. Rigamonti, Raf- faello Cortina, Milano 2011, p. 3. Le citazioni da questo testo sono indicate con la sigla

TKM. Informazioni sulla storia del testo sono contenute in J. SHAWCROSS, Milton’s “Te- nure of Kings and Magistrates”: Date of Composition, Editions and Issues, «The Papers of

Il testo, che fa abbondante uso di riferimenti scritturali per sostenere la tesi radicale del diritto di resistenza al tiranno, diviene de facto una difesa del governo repubblicano costituitosi dopo la morte del sovrano. Il Tenure, inol- tre, viene spesso interpretato come una difesa dei regicidi, di coloro cioè che sono considerati colpevoli della condanna a morte del sovrano. John Milton non è l’unico ad essersi espresso in difesa dell’esecuzione di Carlo I113, ma è probabilmente l’autore che con più energia e maggior radicalità si è opposto al re114.

§ 1.1. La polemica con i presbiteriani

Il Tenure of Kings and Magistrates contiene, da un lato, alcuni principi fon- damentali della teoria politica miltoniana, dall’altro, richiami specifici e inequivocabili alla scena politica inglese del tempo. A rivestire un ruolo di assoluta centralità nel testo è la polemica nei confronti dei presbiteriani, il gruppo moderato dei puritani inglesi presente nel Lungo Parlamento. Già a partire dal regno di Elisabetta, in Inghilterra il puritanesimo comincia a dif- fondersi in modo massiccio. Il puritanesimo è una corrente religiosa che si pone come obiettivo principale la purificazione della Chiesa, la cui riforma, seppur avviata, non è ancora stata portata a compimento. I puritani intendo- no riportare il culto alla semplicità della Chiesa primitiva, rimuovendo le sovrastrutture e gli orpelli aggiunti dal cattolicesimo. All’interno del purita- nesimo si ritrovano tendenze divergenti. L’ala più moderata, nonché quella

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113 Un lavoro sui maggiori esponenti della fazione degli indipendenti che si sono opposti

anche violentemente a Carlo I è svolto da N. MAYFIELD, Puritans and Regicide: Presby-

terian-Independent Differences over the Trial and Execution of Charles I, PhD Disserta-

tion, University of Mississippi, 1984, pp. 7-8.

114 Sulla prosa di Milton in tema di rivoluzione inglese si legga il bel saggio di D.

LOEWENSTEIN, Milton’s Prose and the Revolution, in The Cambridge Companion to

Writing of the English Revolution, a cura di N.H. Keeble, CUP, Cambridge 2001, pp. 87-

maggioritaria, è composta dai presbiteriani, i quali vogliono sopprimere l’episcopato e sostituire i vescovi con sinodi di anziani – i presbiteri appunto – che hanno il compito di assumere la guida della comunità. L’ala più radi- cale, a cui Milton dichiara di appartenere, non accoglie né l’organizzazione episcopale né quella presbiteriana. I puritani radicali, detti ‘indipendenti’, partono dal presupposto che una comunità religiosa possa amministrarsi da sé, in totale indipendenza. Se i presbiteriani premono per una guida della comunità composta dal basso115, gli indipendenti chiedono ancora più auto- nomia nella gestione degli affari religiosi – un’autonomia, peraltro, non de- stinata a rimanere chiusa nell’ambito esclusivamente religioso, ma ad inte- ressare, come si vedrà, anche la dimensione politica116.

Nel Tenure of Kings and Magistrates il principale bersaglio polemico di Milton è costituito proprio dai presbiteriani. Per raggiungere i loro obiet- tivi in ambito religioso, i presbiteriani presenti nel Parlamento inglese si so- no a lungo opposti alle politiche monarchiche, osteggiando apertamente l’operato di Carlo I. Tuttavia, durante la profonda e lacerante crisi politica degli ultimi mesi del 1648, i presbiteriani, vincolati dall’adesione al Solemn League and Covenant a proteggere la vita e la persona del re, si mostrano favorevoli a cercare un compromesso con Carlo I, optando per la sua restau- razione. Con la loro condotta, i presbiteriani si oppongono al New Model Army, agli indipendenti e ai parlamentari radicali che intendono, invece, condurre il sovrano a processo. Per giustificare la loro nuova presa di posi- zione in difesa del monarca, i presbiteriani argomentano che, nel purgare il Parlamento e nel condurre a processo il re, l’esercito ha usurpato il potere dei magistrati inferiori. L’argomentazione è sottile: se alle Camere è consen- tito prendere le armi a scopo difensivo, la stessa azione non è concessa ad un insieme di persone private, quale si configurava nel suo insieme il New !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

115 Il tentativo è quello di creare una Chiesa di stato. Cfr. G. GIORELLO, Milton e la Spada

della giustizia, Prefazione a J. MILTON, Uccidere il tiranno, cit., p. XIII e sgg.

116 Per le tendenze del puritanesimo si veda La rivoluzione inglese. 1641-1660, a cura di

Model Army117. Ricorrendo alla pubblicazione di documenti ufficiali, i pre-

sbiteriani avvertono così l’esercito e il gruppo degli indipendenti di non condividere più linea di opposizione al re. Molto probabilmente è questo il motivo che ha spinto Milton a comporre il Tenure of Kings and Magistra- tes118. Su ammissione dello stesso autore, infatti, la critica alla fazione pre- sbiteriana costituisce un tema assolutamente centrale dello scritto119, poiché, ai suoi occhi, i presbiteriani hanno agito da doppiogiochisti, facendosi tradi- tori della causa repubblicana. I presbiteriani, inizialmente avversari di Carlo I, hanno cambiato opinione sul sovrano e sul suo modo di governare. Dap- prima considerato un tiranno e un nemico della società, Carlo I è ora ritenu- to dai presbiteriani un sovrano legittimo che governa nel rispetto del volere divino e degli interessi pubblici. Già questo repentino cambio di partito tra- disce l’inaffidabilità, l’incoerenza e forse anche la mala fede dei presbiteria- ni:

Chi appena ieri per il pulpito era un tiranno maledetto, nemico di Dio e dei santi, su cui gravava tutto il sangue innocente versato in tre reami e contro cui si doveva combattere, oggi, benché di nulla sia pentito e in nulla abbia cambiato i suoi primi principi, è un magistrato legittimo, signore e sovrano, l’unto del Signore, intoccabile, benché da loro stessi messo in carcere120.

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117 Cfr. M. DZELZAINIS, ‘Incendiaries of the State’: Charles I and Tyranny, in The Royal

Image. Representations of Charles I, a cura di T.N. Corns, CUP, Cambridge 1999, p. 90;

ID., Introduction a J. MILTON, Political Writings, cit., p. xii.

118 I documenti di mano presbiteriana cui si fa riferimento sono, principalmente, Serious

and Faithful Representation, Apologeticall Declaration e Vindication of the Ministers of the Gospel. Questa convincente tesi è proposta da E. VERNON, The Quarrel of the Cove- nant: the London Presbyterians and the Regicide, in The Regicides and the Execution of Charles I, cit., p. 203.

119 TKM, p. 58. Sulla critica ai presbiteriani cfr. T. CORNS, Milton and the English Repu-

blic, cit., pp. 198-99 e H. TREVOR-ROPER, Milton in Politics, in ID., Catholics, Angli- cans and Puritans. Seventeenth Century Essays, Secker and Warburg, Londra 1987, pp.

265-66; si veda anche M. NEUFELD, Doing without Precedent: Applied Typology and the

Execution of Charles I in Milton’s Tenure of Kings and Magistrates, «Sixteenth Century

Journal», XXXVIII, 2007, 2, pp. 329-44.

120 TKM, pp. 12-13. Cfr. anche TKM, p. 60: «E ora costoro, suscitando nuove discordie, lo

scagionano, e contro la loro stessa disciplina, che essi vantano come trono e scettro di Cri- sto, l’assolvono e non gli danno più colpe, benché [il re, ndr] resti inconvertito, impeniten-

Agli occhi di Milton, questo cambio di opinione dei presbiteriani sulla per- sona di Carlo I non soltanto non tiene affatto conto del comportamento del re, che resta immutato, ma porta con sé anche il rischio di influenzare l’opinione pubblica. Milton critica aspramente un comportamento del gene- re. Mutando partito, i presbiteriani hanno tradito la loro stessa rivoluzione, mentre, dal punto di vista miltoniano, l’esecuzione del re rappresenta la na- turale conseguenza della critica al suo malgoverno. La decapitazione di Car- lo I si configura come la realizzazione della giustizia che discende dall’opposizione che fino a quel momento è stata fatta contro il re, anche e soprattutto da parte presbiteriana. Ora, i presbiteriani condannano la deposi- zione del re e la decisione di procedere contro di lui, ma, precisa Milton, sono loro stessi, per primi, ad aver deposto il re121, ad avergli sottratto i ca- ratteri e le prerogative della regalità122. Questa polemica a tratti assume toni

ancora più accesi tanto che Milton giunge a considerare i presbiteriani come coloro che «nel senso più vero hanno ucciso il re»123, degradandolo dalla condizione di sovrano a quella di suddito e prigioniero, e togliendo tutto ciò che di regale vi era in lui. I presbiteriani per primi hanno eliminato l’obbedienza nei confronti del sovrano, perché sono venuti meno al vincolo pattizio che li legava al monarca124. Pur essendosi spinti molto avanti verso

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te, insensibile a tutti i loro preziosi santi e martiri il cui sangue hanno tanto spesso invocato sopra il suo capo».

121 Nel testo originale, per rendere questo concetto Milton utilizza l’espressione «unking’d

the king». A ragionare sul significato di questa espressione è soprattutto G. FORAN, Mac-

beth and the Political Uncanny of The Tenure of Kings and Magistrates, «Milton Studies»,

LI, 2010, p. 8.

122 Nello stesso sottotitolo del TKM, p. 3 si ritrova una polemica con i presbiteriani, che non

vengono citati esplicitamente. Tuttavia, essi risultano facilmente rintracciabili dietro questa etichetta: «Coloro che ultimamente criticano tanto la deposizione sono gli stessi che l’hanno eseguita».

123 TKM, p. 58.

124 TKM, p. 52: «Ma i presbiteriani, che erano uno di questi termini relativi, cioè i sudditi,

hanno tolto la relazione, ossia l’autorità del re e la loro soggezione a essa; dunque, i presbi- teriani, per questi sette anni, hanno rimosso ed estinto l’altro termine relativo, cioè il re o, per parlare più brevemente, l’hanno deposto, non solo privandolo dell’esercizio della sua autorità, ma conferendola ad altri».

l’uccisione del monarca125, essi si ostinano a mantenere un profilo ambiguo;

a parole difendono la corona e la dignità regale, mentre con i fatti assaltano continuamente la vita del re126. Anziché «ministri del Vangelo» i presbite- riani sono «ministri della sedizione»127, poiché seminare discordia e genera- re sedizioni sembrano essere i loro unici obiettivi. Milton, dal canto suo, av- verte che il popolo non dovrà cadere nella trappola tesa dai cattivi ministri che spronano alla guerra, altrimenti si ricadrebbe nel circolo vizioso della discordia.

§ 1.2. L’origine della società e la sovranità del popolo

Nella sua monumentale Life of John Milton David Masson sostiene che la pubblicazione del The Tenure of Kings and Magistrates sancisce l’adesione di Milton al Commonwealth d’Inghilterra128. Per sostenere la sua tesi a favo- re del diritto di resistenza del popolo ad un cattivo governante, Milton pren- de le mosse da alcuni principi fondamentali: 1) tutti gli uomini sono nati li- beri; 2) in quanto immagine di Dio, gli uomini sono nati per comandare e non per obbedire. Questi principi restano validi fino alla trasgressione di Adamo, perché l’episodio del peccato originale, segnando la caduta dell’uomo nell’ingiustizia e nella violenza, provoca un inevitabile cambia- mento nell’assetto della vita umana e delle interazioni sociali. Per evitare di incorrere nella morte, gli individui si alleano per difendersi dalle offese re- ciproche e dalle aggressioni esterne. In un passo del Tenure Milton spiega l’origine della società:

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125 Cfr. TKM, pp. 53-55.

126 I presbiteriani si difendono sostenendo che le loro azioni sono rivolte solamente contro i

cattivi consiglieri del re e non contro il re. Cfr. TKM, p. 59.

127 TKM, p. 61.

128 Cfr. D. MASSON, The Life of John Milton Narrated in Connection with the Political,

Ecclesiastical, and Literary History of his Time, Peter Smith, Gloucester 1965, vol. IV, p.

Nessuno che non sia assolutamente ignorante può essere così stupido da ne- gare che tutti gli uomini sono per natura nati liberi, essendo immagine e so- miglianza di Dio stesso, che essi hanno per nascita un privilegio sopra tutte le creature, essendo destinati a comandarle e non a dar loro obbedienza, e che così vivevano, finché la trasgressione di Adamo fu radice della caduta nell’ingiustizia e violenza reciproca. Presentendo che questo corso degli eventi tendeva necessariamente alla distruzione di ognuno, convennero con alleanza comune di garantirsi l’un l’altro dalle mutue offese e difendersi congiuntamente da chiunque turbasse questo accordo o gli si opponesse. Di qui vennero le città, grandi e piccole, e gli Stati129.

La descrizione della genesi delle istituzioni politiche, dalle prime comunità politiche agli stati, condivide i presupposti della teoria politica di Hobbes già esposta nel De Cive, in particolare l’impossibilità di vivere in una sorta di ‘stato di natura’ – pena la distruzione di ciascun individuo. Nel suo ragio- namento Milton procede poi a mostrare come si siano formati i primi re e magistrati, insistendo sul fatto che questi non fossero «signori e padroni», bensì «rappresentanti e incaricati»130 del popolo. L’istituzione di un’autorità

politica avviene attraverso la trasmissione del diritto di autoconservazione, che appartiene a ciascun individuo, ad una sola persona (il re) o a più perso- ne (i magistrati)131. L’autorità sovrana risponde all’esigenza di tutelare la vita di tutti gli uomini che l’hanno istituita e ha il compito di punire coloro che trasgrediscono le leggi stabilite. Se, in un primo momento, i governanti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

129 J. MILTON, TKM, p. 15. Su questo tema riflette P. RAHE, The Classical Republicanism

of John Milton, «History of Political Thought», XXV, 2, 2004, pp. 249-52.

130 TKM, p. 16.

131 La formazione di re e magistrati è il risultato finale di una catena di eventi originatisi

con la Caduta. Si veda a questo proposito D. SAURAT, Milton. Man and Thinker, Dial Press, New York 1925, p. 188; W.J. GRACE, Milton, Salmasius, and the Natural Law, «Journal of the History of Ideas», XXIV, 1963, 3, p. 328; cfr. anche M. BRYSON, “His

Tyranny who reigns”: the Biblical Roots of Divine Kingship and Milton’s Rejection of “Heav’n’s King”, «Milton Studies», XLIII, 2004, p. 128. Sulla concezione miltoniana

dell’autorità politica e della sua origine si veda anche C. TOURNU, Théologie et politique

dans l’œuvre en prose de John Milton, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve- d'Ascq 2000, pp. 352-68. Cfr. anche J. SHAWCROSS, The Higher Wisdom of The Tenure of Kings & Magistrates, in Achievements of the Left Hand. Essays on the Prose of John

Milton, a cura di M. Lieb e J. Shawcross, University of Massachusetts Press, Amherst (MA) 1974, pp. 142-59.

reggono bene lo stato, decidendo con giustizia ed equità, col tempo si la- sciano sedurre dal fascino di esercitare un potere assoluto. Per arginare la probabile e quasi inevitabile degenerazione dei governanti nell’esercizio di un potere assoluto, i governati decidono di introdurre le leggi, atte a confi- nare l’autorità dei governanti, in modo tale che su di loro regnino «la legge e la ragione»132. Le leggi, accompagnate dall’istituzione di consigli e parla- menti133, acquisiscono così un ruolo fondamentale, poiché tendono a vinco- lare i regnanti e a mantenerli saldi nel perseguire l’interesse comune. È il giuramento, che di norma avviene al momento dell’incoronazione, a sancire definitivamente il rapporto tra governanti e governati. Il re giura di proteg- gere i sudditi e di obbedire alla legge e, mediante questo patto, il popolo ac- consente a prestare obbedienza all’autorità sovrana. Il patto si configura come un atto di volontà e non di costrizione134, ma ciò non toglie che se il re o il magistrato si mostra infedele al suo incarico, il popolo è sciolto dal pat- to135. Una volta tradita la fiducia, il popolo è sollevato dalla lealtà e può re- cuperare il diritto che ha precedentemente trasferito all’autorità136.

Milton introduce così la dottrina secondo cui il potere deriva dal popo- lo. Il principio su cui si fonda questa tesi è il trasferimento del diritto dai singoli individui all’autorità, che non è una cessione definitiva, ma un tra- sferimento strettamente vincolato al rispetto del patto. Se il patto si scioglie, il trasferimento del potere si annulla137. La principale caratteristica del pote-

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132 TKM, p. 17.

133 Nel testo Milton cita anche Claude de Seyssel, autore de La grande monarchie de Fran-

ce (1519) che, insistendo sulla necessità di limitare il potere sovrano, ha riflettuto sui ‘freni’

al potere del re. Il Parlamento costituisce un freno del re.

134 Questo è un elemento fondamentale del patto su cui insiste F. LESSAY, Milton contrac-

tualiste: le thème du covenant dans The Tenure of Kings and Magistrates, «Etudes Épi-

stémè», XV, 2009, 4, p. 47.

135 TKM, pp. 17-18.

136 Sul concetto di trust ha condotto uno studio approfondito da H. NENNER, Loyalty and

the Law: the Meaning of Trust and the Right of Resistance in Seventeenth-Century En- gland, «Journal of British Studies», XLVIII, 2009, 4, p. 866.

137 TKM, p. 19: «Essendo perciò manifesto che il potere di re e magistrati non è se non de-

rivato, trasferito e loro affidato per il bene comune di tutti dal popolo, nel quale tuttavia fondamentalmente rimane, e cui non può essere tolto senza violazione del suo diritto natu-

re descritto da Milton è che il mandato dell’autorità politica, che si tratti di re o magistrati, debba essere limitato. La limitazione dell’incarico riguarda tre aspetti: l’origine del mandato, la sua durata e la sua estensione138. In primo luogo, il mandato è limitato nella sua origine, poiché il potere è con- ferito ai re o ai magistrati dal popolo in vista del bene comune. In questo modo non si verifica un’alienazione definitiva del potere, ma il popolo con- cede il potere solamente a certe condizioni, conservando per sé il diritto di rimuovere l’autorità politica che contravvenga alla legge139. In secondo luo- go, il mandato è limitato nella durata poiché essa dipende strettamente dal rispetto da parte dell’autorità politica del patto stipulato con il popolo. Se il patto non viene rispettato, il mandato è sospeso. Infine, il mandato è limitato nella sua estensione nella misura in cui l’autorità politica è sottomessa alle leggi e non è, come comunemente si pensa, completamente libera. Quindi, se il re o il magistrato non svolge il suo incarico e viola le leggi, il popolo non è più tenuto all’obbedienza.

§ 1.3. Il tiranno e il diritto di resistenza

Nel Tenure, riprendendo il commento ai Proverbi di Salomone di San Basi- lio, Milton propone una definizione di tiranno: «È tiranno, che sia giunto alla corona con torto o con diritto, colui che senza considerare né la legge né

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rale e nativo, e constatando noi che per questo Aristotele e i migliori scrittori politici hanno definito re colui che governa per il bene e il profitto del suo popolo e non per fini propri, ne segue di necessità che i titoli di signore sovrano, signore naturale e simili sono frutto o di arroganza o di adulazione».

138 Un’analisi di questo tema è condotta da Y.C. ZARKA, John Milton: la république con-

tre la monarchie, in Monarchie et république, a cura di Y.C. Zarka, puf, Parigi 2007, pp.

36-38.

139 Il principio da cui discende la limitazione del mandato nella sua origine è quello secon-

do cui il potere supremo appartiene originariamente al popolo. Cfr. Q. SKINNER, John

Milton and the Politics of Slavery, in Milton and the Terms of Liberty, a cura di G. Parry e

il bene comune regna solo per sé e la sua fazione»140. Il tiranno è il gover-

nante che regna esclusivamente nel proprio interesse, mostrandosi irriguar- doso nei confronti della legge e del bene comune. Si assiste qui al recupero delle definizioni aristoteliche di re e tiranno presentate in diversi luoghi dei suoi scritti, soprattutto Politica ed Etica Nicomachea. Secondo Aristotele, il discrimine tra re e tiranno è l’interesse per il bene pubblico; mentre il re regge lo stato avendo come fine l’interesse collettivo, il tiranno governa spinto solamente dal perseguimento di un vantaggio egoistico e di un profit- to personale141. A differenza del re, preoccupato dal benessere dei sudditi, il tiranno mira ad accumulare ricchezze per sé e a raggiungere piaceri. Nella teoria politica aristotelica la tirannide è, insieme ad oligarchia e anarchia,