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Le cause della disparità

In Italia non vi sono differenze sostanziali nell'età effettiva di pensionamento tra uomini e donne, sebbene sia uno dei pochi Paesi europei in cui vi è, almeno fino al 2018, una diversa età legale per andare in pensione.

I tassi di sostituzione presentano invece nel nostro Paese differenze di genere più marcate e a sfavore delle donne. La situazione può essere ben riassunta così: nel 2008 le donne hanno ricevuto la maggioranza delle pensioni (53%) ma la spesa

complessiva loro destinata è arrivata a un misero 44% della spesa previdenziale totale [Corsi, D'Ippoliti (2009, p. 40)]. Gli uomini hanno ricevuto in media pagamenti più alti in tutte le diverse prestazioni previdenziali, ad eccezione della pensione di reversibilità.

Questo dato va a ripercuotersi poi sul rischio povertà, particolarmente grave tra le donne non attive. Il calo del numero di matrimoni, il contestuale aumento dei divorzi e la maggior speranza di vita delle donne rispetto agli uomini aggrava in prospettiva il rischio povertà perché aumentano le donne che per scelta o per fatalità vivranno una parte della loro vita in famiglie monoparentali [D'Addio (2012)].

Le cause di questo quadro sono numerose e possono essere raggruppate in quattro macro-aree [Profeta, Casarico (2009, pp. 491-513)]. Le differenze di genere risentono innanzitutto delle caratteristiche generali del sistema pensionistico. Poi influiscono le caratteristiche specifiche del sistema pensionistico collegate al genere. Cause di altro tipo sono insite nelle differenze di genere presenti nel mercato del lavoro. Infine vi sono cause correlate alla circostanza che la donna tradizionalmente si fa carico di un lavoro di cura, non retribuito.

Già la costruzione generale del sistema pensionistico può avere un impatto negativo sulle donne. Come noto, il metodo di calcolo contributivo riduce il grado di redistribuzione del sistema e questo va a svantaggio delle donne, più deboli dal punto di vista reddituale. Il metodo retributivo è perciò un vantaggio

per la maggior redistribuzione ma penalizza le donne in altro modo: se per il calcolo della pensione tiene conto solo degli ultimi anni di retribuzione si premiano le carriere più dinamiche, quindi statisticamente gli uomini.

Un po' in tutti i Paesi Ocse i sistemi previdenziali hanno favorito un modello che vede l'uomo come principale apportatore di guadagno; la carriera di riferimento ottimale è continua, a tempo pieno e con un profilo di reddito crescente nel tempo [D'Addio (2012)].

Altro motivo di svantaggio femminile è il gap di retribuzione. Per legge è vietato discriminare in base a una serie di caratteristiche personali, tra le quali appunto il sesso, quando si tratta di retribuzione. In altre parole il datore di lavoro non può dare due salari diversi a due individui che svolgono le stesse mansioni sulla base di preferenze soggettive. Di fatto le donne non sono assunte nei posti di lavoro più remunerativi, specie quando si tratta di incarichi dirigenziali. Quindi la discriminazione avviene a monte e non a valle.

In più le carriere delle donne soffrono di frequenti periodi di pause, dovute alle esigenze familiari, di cui si fanno carico. La discontinuità lavorativa non si ferma all'ovvio momento del parto, ma è dovuta anche, in maniera impari rispetto all'uomo, alla crescita dei figli. Un correttivo possibile a tale inconveniente, nei sistemi contributivi, è la previsione di contributi figurativi per il periodo della maternità e/o per quello immediatamente successivo [Fornero, Monticone (2010, p. 17)].

L'Italia risente di questa disparità in maniera grave rispetto ad altri Paesi, a causa di mancanze croniche nel sistema di welfare pubblico, poco attento nel mettere a disposizione delle famiglie asili nido o case di cura adeguate alle esigenze. Nei Paesi nordici, dove i servizi per l'infanzia e la cura degli anziani sono ben sviluppati, il gap nel contributo al sostentamento della famiglia tra marito e moglie è minore e il tasso di partecipazione femminile al lavoro è più alto che nel resto dell'Europa [Ginn (2004)].

In questa serie di svantaggi si inserisce una sorta di compensazione ex post. Vi sono infatti dei meccanismi interni al sistema pensionistico che fanno della differenza di sesso la loro ragion d'essere. La previsione di un'età pensionabile più bassa per le donne è l'esempio più classico. Ma rientrano in questa tipologia tutte le disposizioni che prevedono vantaggi sui diritti pensionistici per le donne tra cui vanno necessariamente citati la non penalizzazione nel calcolo della pensione in uno schema contributivo nonostante la maggiore aspettativa di vita e un diverso periodo contributivo necessario per avvalersi della pensione di vecchiaia o d'anzianità.

Merita un discorso a parte la pensione di reversibilità. È da sempre quasi una prerogativa unica delle mogli a causa sia della maggiore aspettativa di vita sia della loro più bassa età rispetto ai mariti.

La pensione per i superstiti in passato portava con sé un forte disincentivo a lavorare per uno dei due coniugi. Oggi si è cercato di porvi rimedio. In alcuni Paesi, come la Germania, c'è un limite temporale in cui si può percepire mentre

in altri si sono poste delle limitazioni alla consistenza della mensilità [Fornero, Monticone (2010)]. L'Italia rientra tra quest'ultimi: la pensione è tagliata del 25, 40 o 50% se il reddito totale del superstite eccede rispettivamente di 3, 4 o 5 volte l'importo della pensione minima.

Le varie riforme degli ultimi venti anni hanno inciso profondamente nella diversità di genere del nostro sistema previdenziale. Vediamo ora in dettaglio i singoli interventi con i loro effetti, positivi o negativi, su questo rapporto.