Le democrazie occidentali nel secondo dopoguerra hanno vissuto un periodo di impetuosa crescita dei tassi di fertilità [Cigno, Werding (2007, pp. 1-13)]. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta i Paesi industrializzati poterono godere di livelli di natalità mai verificatisi prima d'allora. Ma la crescita impetuosa non era destinata a durare a lungo: la natalità ebbe dappertutto un evidente e inesorabile calo.
È bene fare riferimento per la natalità al tasso di fecondità totale (TFT), un dato statistico molto usato per fare confronti tra l'ammontare di nascite in diverse
popolazioni. Indica il numero medio di figli per donna (limitatamente agli anni in cui una donna può biologicamente concepire, per convenzione tra 15 e 44 anni) e, a differenza del numero totale di nascite pro-capite, è indipendente dalla struttura della popolazione per sesso e per età.
Per approssimazione si suppone solitamente che un tasso di fertilità totale pari a 2,1 indichi un livello costante nella composizione della popolazione, quanto più il tasso è maggiore di questo numero tanto più è significativa la crescita della popolazione.
Negli Stati Uniti il 1957 fu l'anno del picco massimo con 3,85 figli per donna. In Europa a metà anni Sessanta si registrarono TFT oscillanti tra 2,3 e 2,8. L'Italia in particolare nel 1966 ebbe il TFT massimo, pari a 2,4. Fu l'apoteosi e allo stesso tempo l'inizio della fine del baby boom.
Il TFT subì da allora un declino che lo ha portato ad arrivare, ai giorni nostri, a cifre poco maggiori della fatidica soglia di 2,1 negli Stati Uniti e minori di 1,4 in Germania e nella stessa Italia. In Europa la Francia e la Svezia (ma il discorso può estendersi agli altri Paesi Scandinavi) hanno tassi di fertilità totale sopra la media Ue, ma restano sotto il 2,1.
Tra le cause del crollo della natalità una è proprio l'estensione della previdenza per vecchiaia a strati sempre più ampi della popolazione nel corso del Novecento, fino a comprenderne la totalità. Infatti i bambini possono essere considerati come
investment goods: la loro presenza è un'assicurazione che copre il rischio
mancanze economiche dei propri genitori. Quindi fare figli è un bene alternativo alla pensione, tanto più nei Paesi in cui vi è un limitato o inesistente mercato dei capitali [Galasso, Gatti, Profeta (2009, pp. 538-559)].
La struttura della popolazione oltre che dalla natalità è influenzata almeno da altri due fattori: l'immigrazione e l'aspettativa di vita.
È intuitivo che una bassa natalità può essere compensata dall'arrivo di migranti, solitamente di età media minore, soprattutto la prima ondata, rispetto a quella del Paese in cui arrivano.
Ed è altrettanto chiaro che se alle poche nascite segue un'aspettativa di vita sempre più alta (quindi meno morti) vi sarà un costante invecchiamento.
Tutte le proiezioni che vengono fatte per predire scenari futuri che si basano su natalità, aspettativa di vita e immigrazione non possono che essere incerte perché di difficile quando non impossibile stima. Volendo fare una proiezione futura si deve accettare la forzatura di considerare costanti (rispetto all'andamento passato) queste caratteristiche di una Nazione che per loro natura non lo sono, in quanto fortemente legate alle politiche, frutto di azioni umane. Per questo motivo si predice l'andamento della popolazione qualora le politiche messe in atto in futuro non dovessero deviare da quelle attuate in passato sugli stessi temi.
All'inizio del Ventesimo secolo la struttura della popolazione per sesso ed età, secondo un famoso grafico, aveva la forma di una piramide in tutti i Paesi occidentali, Italia compresa. Alla base c'era un maggior numero di individui giovani e via via che si saliva le coorti più vecchie erano meno numerose. Il
vertice, formato dagli ultranovantenni, era pressoché inesistente da un punto di vista statistico.
Gli shock demografici, dovuti a due guerre mondiali, una profonda depressione economica tra esse e un periodo di eccezionale natalità alla fine della seconda guerra mondiale seguito dal declino anzidetto, hanno trasformato ai giorni nostri la piramide in qualcosa che assomiglia più a un trapezio dove il vertice basso rappresenta la bassa natalità attuale.
Se il trend proseguirà in futuro, nel 2050 la struttura della popolazione avrà la forma di una piramide rovesciata. Il vertice sarà ancora una volta rappresentante dei bassi livelli di fertilità e la base indicherà che l'alta aspettativa di vita avrà avuto l'effetto di concentrare la maggior parte della popolazione nelle coorti abbondantemente sopra i 50 anni.
Lo scenario sarebbe disastroso per i sistemi previdenziali qualora non si apportasse alcun correttivo. Pretendere oggi di andare in pensione alla stessa età di inizio Novecento non è coerente con la realtà. Non occorre necessariamente un economista per affermare che un patto intergenerazionale, qual è l'attuale sistema a ripartizione in Italia, deve mutare le regole che ne stanno alla base con il mutare degli eventi.
Un'altra stima molto usata è il tasso di dipendenza degli anziani che è un rapporto con al nominatore gli over 65 e al denominatore gli individui tra i 15 e i 64 anni. I primi, semplificando, sono coloro usciti dal mondo del lavoro causa vecchiaia, mentre i secondi sono gli attivi.
In Italia le proiezioni (sempre fatte mantenendo le tre consuete variabili costanti) indicano che l'incidenza della popolazione inattiva su quella attiva passerà dal 26,6% nel 2000 al 40% nel 2025 e addirittura al 61,3% nel 2050. In altre parole se ora il rapporto è di quasi uno a quattro, a metà del Ventunesimo secolo sarà di quasi due inattivi per tre attivi.
Possiamo anche considerare gli anni di sopravvivenza media di ognuno all'età pensionabile.14 Un dato di sintesi ma abbastanza rappresentativo della situazione
è l'aumento medio dell'aspettativa di sopravvivenza nei Paesi OCSE nel periodo 1960-2010: 3,9 anni in più per gli uomini e 4,5 anni in più per le donne, rispetto ai 65 anni; l'aumento medio è ancora più considerevole se si considerano i 60 anni come età pensionabile.
Secondo le proiezioni future questa tendenza continuerà con un aumento medio dell'aspettativa di sopravvivenza ai 65 anni di 3,1 anni per gli uomini e di 3,6 anni per le donne nel periodo 2010-2050.
Non è mai bello ridurre le persone a dei freddi numeri, soprattutto quando la loro attendibilità si presta a innumerevoli obiezioni, certamente fondate. Ciononostante ho ritenuto utile riportare queste proiezioni perché esse rappresentano uno dei tanti futuri mondi possibili e, per quanto sia pessimista ammetterlo, nemmeno il peggiore.
Occorre renderci conto che l'era delle vacche grasse è finito da tempo, appartiene a un passato che non c'è più. L'Italia, come l'Europa, gli Stati Uniti, il Giappone,
14 Dati presi da OECD (2011), Pensions at a Glance 2011: Retirement-income Systems in OECD and G20 Countries, OECD Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/pension_glance-2011-en
invecchia velocemente. Tra il rammaricarsi per questo -quasi il fatto che si viva più a lungo sia un problema sociale- e il voler negare la realtà c'è una miriade di possibili posizioni che si possono assumere.
Di certo nella visione più equilibrata rientra l'aumento dell'età di pensionamento. Nessuno capace di intendere e di volere può pensare alla longevità della vita umana in termini negativi ma le conseguenze del fenomeno devono essere gestite tenendo d'occhio l'equità intragenerazionale e soprattutto intergenerazionale, perché non si faccia becera campagna elettorale sulle spalle di altri. Estremamente esemplificative di come si è operato in passato sono le vicende che si sono succedute intorno alla pensione d'anzianità, originale frutto del “genio” italiano.