L'eliminazione della pensione d'anzianità è, per il percorso già visto che l'ha contraddistinta, un elemento di cesura dal passato. Rappresenta prima di tutto un segnale, un volersi discostare da politiche economiche portate avanti con una visione di parte non più accettabile in un periodo di rigore finanziario. Oltre a questo l'Europa, pur non essendo la previdenza materia normata a livello europeo, ripetutamente aveva posto l'accento sull'anomalia.
La nuova configurazione generale dei possibili pensionamenti risponde poi a un progetto ben preciso volto a incrementare la reale età di pensionamento.
Tale obiettivo non è però perseguito con una imposizione dall'alto, anch'essa teoricamente possibile e legittima da parte del legislatore, bensì attraverso un complesso strutturato di incentivi a continuare l'attività lavorativa. In altre parole
si è andati nella direzione di consentire a ognuno di prendere una propria decisione in base ad aspettative e situazioni di fatto soggettive.
La novità importante è che le conseguenze di questa decisione saranno a carico dell'individuo stesso, il quale non graverà sulla società in caso di pensionamento anticipato volontario, né si troverà ad essere penalizzato nel continuare la propria attività anche dopo l'età pensionabile. Differentemente il sistema pensionistico precedente aveva creato il paradosso, invero non esclusivo dell'Italia, di dare incentivi errati che spingevano al ritiro anticipato.
Consentire alle persone che lavorano di più, versando quindi un ammontare di contributi più alto, di avere pensioni mensili più alte è prima di tutto una questione di equità. Un ritiro anticipato rispetto all'età pensionabile per essere giusto non deve subire né tasse implicite né sussidi, anch'essi impliciti.
Andiamo ora ad analizzare, scomposti, gli effetti che scaturiscono dalla decisione di lavorare un anno in più [OCSE (2011), p. 54]. Essi essenzialmente sono di tre tipi.
La prima categoria di effetti deriva dal fatto che il periodo lavorativo sarà più lungo. È una conseguenza chiara e incontrovertibile, alla quale però devono essere abbinati correttivi nei singoli diritti pensionistici. Definire un limite agli anni che contribuiscono alla formazione di diritti pensionistici disincentiva la prosecuzione del lavoro. Per fare due esempi negli Stati Uniti c'è un limite di 35 anni e in Canada di 40 anni accreditabili. Una volta che l'individuo li avrà raggiunti la scelta continuare a lavorare oppure ritirarsi sarà sbilanciata a favore
della seconda ipotesi.
Una seconda categoria di effetti riguarda l'altra faccia della medaglia: il periodo di pensionamento sarà più breve. Un giusto correttivo in tale direzione è l'aumento dell'importo della pensione. In un sistema contributivo il concetto si può anche tradurre nel minore numero di anni al denominatore, che rappresenta una proiezione degli anni in cui si percepirà la pensione, posto che al nominatore il montante contributivo sarà addirittura accresciuto per via dell'effetto del primo tipo, i maggiori contributi versati.
Una terza specie di effetti deriva dalla probabilità di morire e dal fatto che questa è crescente con l'età. Un uomo ha cioè molto meno probabilità di morire nel suo sessantesimo anno che non nel suo sessantacinquesimo anno. Vi è perciò la concreta possibilità che il lavoratore muoia nell'anno in più in cui decide di lavorare, non percependo nulla. Occorre tenerlo in considerazione.18
Già in passato diversi studi hanno sondato il rapporto tra sistema di incentivi insiti in uno specifico modello previdenziale e il comportamento individuale sulla scelta se andare in pensione o continuare a lavorare, trovando un forte legame tra le due cose.
La mancanza di incentivi adeguati porta conseguenze sul mercato del lavoro e quindi sul tessuto produttivo di non poco conto [Gruber, Wise (1999, pp. 1-35)]. Negli ultimi quaranta anni dello scorso secolo la percentuale di uomini ancora attivi tra i 60 e i 64 anni è scesa da un livello maggiore al 70% a uno minore al
18 Se si pensa alla famiglia come soggetto beneficiario della previdenza questo rischio è annullato dalla pensione superstiti.
20% in diversi Paesi industrializzati. L'Italia, in compagnia di nazioni come Francia, Belgio e Olanda, è tra chi ne ha risentito di più.
Paradossalmente il sistema di sicurezza sociale, permettendo di andare in anticipo in pensione e ponendo un limite temporale troppo stringente all'espansione dei diritti pensionistici, ha portato all'uscita in massa dal mondo del lavoro delle coorti più anziane. La generosità del sistema può anche essere misurata in termini di tasso di sostituzione troppo alto, senza cambiare la sostanza [Blondal, Scarpetta (1998)]. Una pensione troppo vicina all'ultima retribuzione da lavoro percepita incentiva i lavoratori a ritirarsi alla prima possibilità che gli si presenta.
Questo impetuoso declino ha inciso negativamente sulla capacità produttiva potenziale della forza lavoro nel suo complesso. A più uscite si abbinano perciò meno entrate da parte dello Stato nel suo complesso. La classica figura del cane che si morde la coda calza a pennello, lo Stato vittima di un problema di cui egli stesso è stato artefice.
Lo Stato oggi ha cambiato lo scenario su cui andare a innestare la sua azione. Uno Stato magnanimo ma allo stesso tempo paternalista. Si fosse combattuta solo la prima accezione, si sarebbe avuto un semplice aumento dell'età pensionabile e una cancellazione della pensione d'anzianità. Ma così non è stato. Oggi un lavoratore decide autonomamente quando non è più in grado di dare un contributo in termini produttivi alla società. Non interessano a nessuno le ragioni della sua scelta, come è giusto che sia. Queste rimangono nella sfera più intima di
ognuno.
Tutto era già stato fatto dalla riforma Dini nel 1995. Come al solito però gli interventi successivi avevano disfatto quel tutto. L'accetta degli interessi di parte non aveva mai reso vincolante l'età pensionabile flessibile allora predisposta. La finestra 57-65 anni era ben costruita con equi coefficienti abbinati ad ogni età che avrebbero dovuto incentivare la prosecuzione in attività. Peccato che i tempi di attuazione fossero, come per il resto delle innovazioni di quella zoppa riforma epocale, biblici e nel frattempo nuove leggi andassero in direzione opposta alla flessibilità [Brugiavini (2009)].