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“Se   la   gioventù   sapesse,   se   la   vecchiaia  potesse.”

Henri Estienne Les Prémices, 1594.

Il presente lavoro ha trattato una riforma in un settore, quello pensionistico, in cui non è facile stabilire gli effetti se non a distanza di generazioni. Sarà infatti dopo anni che appariranno i primi pensionati con le regole odierne ma soprattutto ci vorrà ancora più tempo prima che gli individui assumano piena consapevolezza dei cambiamenti e si comportino di conseguenza.

Oggi, a meno di un anno dal d.l. 201/2011, è impossibile discutere sulla efficacia della riforma sul sistema non solo pensionistico ma anche generale del nostro Paese. Le considerazioni si fermano per lo più a quelle che era possibile fare all'indomani dell'approvazione parlamentare del decreto. In questo senso il presente lavoro è statico, una fotografia più che un video; ha voluto essere solo un semplice approfondimento sulle maggiori novità introdotte dalla legge, con lo sforzo di cogliere per ognuna di esse cause e finalità. Sarà solo tra dieci, quindici o meglio ancora venti anni che si potranno tirare le somme. La Storia dirà se si sia trattato di fatali sbagli o provvidenziali interventi.

Nel secondo capitolo si è affrontato tra gli altri il tema del passaggio al contributivo pro-rata per tutti. È uno slogan che suona bene. È un bel segnale di equità intergenerazionale.

Peccato solo che sia troppo tardi perché incida pesantemente. Se si va a vedere nel concreto la platea cui ci si rivolge è esigua e ancora minore è quanto gli si chiede in termini concreti di risorse. Non cambia nulla per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996. Per loro la riforma Dini è stata la responsabile della formula contributiva. Altrettanto è stato per quanti non avevano ancora

lavorato 18 anni nel 1996. A loro il pro-rata si è applicato all'istante nel 1996. Restano i “graziati” della riforma Dini, coloro che nel 1996 avevano lavorato già 18 anni. Consideriamo un individuo che quella soglia l'abbia raggiunta proprio nel 1995: se ai 18 si sommano i 15 anni che ci sono voluti per applicare il contributivo a tutti, si arriva a ben 33 anni di lavoro. Non è che rimangano molti anni prima che egli vada in pensione. Solo questo residuo è un guadagno per le casse della previdenza. Si è inoltre considerato il caso limite. Tra quelli non toccati dalla riforma Dini sono la maggioranza schiacciante quelli già ritirati, con la pensione calcolata con il metodo retributivo per l'intera carriera.

Per toccare gli interessi dei già pensionati, ritenendo quasi incostituzionale un intervento più diretto sui diritti acquisiti, si è preceduto con la mancata indicizzazione delle pensioni sopra un certo importo. Il blocco delle pensioni è per l'anno 2012 destinato alle mensilità superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e per il 2013 alle mensilità superiori a due volte quella stessa cifra.28

Questo è servito per fare cassa, risparmiare uscite. Si è detto che si vanno a colpire i privilegi, intesi come le pensioni retributive, soprattutto quando queste sono state elargite ad un'età relativamente molto bassa (leggasi pensioni d'anzianità e in particolare baby-pensioni).

Ma vi è un problema legato alla natura della disposizione, frutto di un comportamento arbitrario dello Stato. Si rischia di perdere credibilità agli occhi

28 Questa distinzione è frutto di emendamento alla norma originale in fase di approvazione parlamentare. Infatti era previsto che il blocco delle pensioni andasse a incidere sulle pensioni superiori al doppio del trattamento minimo INPS per il biennio 2012-2013.

dei pensionati, che si sentono ingiustamente vessati da un “Governo ladro”. In futuro simili esigenze di debito pubblico potrebbero indurre a prendere analoghe iniziative. Un cambiamento del nostro sistema pensionistico potrebbe essere una alternativa all'arbitrarietà. In particolare mi riferisco all'indicizzazione delle pensioni, il cui tasso di riferimento è la crescita dei prezzi. Oggi se l'economia cresce i pensionati non ne hanno nessun beneficio correlato, se al contrario l'economia ha una battuta d'arresto le pensioni non subiscono l'effetto della congiuntura sfavorevole. Significa slegare i destini di una larga fetta della popolazione dalle sorti del Paese intero.

A tal proposito si potrebbe ancorare le pensioni al di sopra di una certa cifra (realisticamente potrebbe essere il doppio del trattamento minimo INPS) alla crescita reale dell'economia, cioè alla crescita del PIL rispetto a un valore di riferimento, che potrebbe essere un tasso di crescita obiettivo.29 Questo

porterebbe alla nascita in Italia di una peculiare constituency a favore di interventi che abbiano come finalità principe la crescita sostenuta del Paese. Allo stesso tempo in periodi di magra, come quello attuale, il blocco dell'indicizzazione sarebbe automatico, perdendo l'aura di vessazione.

Nel terzo capitolo abbiamo visto forse il punto più importante della riforma

29 “La formula da applicare sarebbe la seguente:

Pt+1=Pt(1+πt)(1+gt-δ)

dove Pt è il livello della prestazione pensionistica in termini nominali al periodo t, πt è il tasso di

inflazione, g è il tasso di crescita del PIL reale (una media dei cinque anni precedenti) e δ è un tasso di crescita obiettivo che si può collocare all'1,5%. Volendo ancorare il sistema al sistema europeo si potrebbe porre δ pari al tasso di crescita medio dell'area euro nei cinque anni precedenti. Se la crescita in termini reali (la produttività reale) del paese è maggiore del tasso di riferimento, le pensioni crescono non solo con l’inflazione ma recuperano in parte anche la dinamica dei salari. Se invece il paese cresce meno del valore di riferimento, l’adeguamento al costo della vita è parziale. ” [Boeri, Brugiavini (2011)]

Fornero e cioè la flessibilità dell'età pensionabile con una finestra spostata e non di poco verso l'alto rispetto a quanto era stato stabilito nel 1995. La differenza fondamentale rispetto ad allora risiede anche nella celere attuazione di questo cambiamento.

L'età pensionabile flessibile è un elemento che responsabilizza gli individui. Permette loro di avere una reale possibilità di scelta riguardo sia al momento in cui vogliono ritirarsi sia al correlato reddito mensile derivante dalla previdenza pubblica con cui dopo quel momento dovranno vivere. Infatti la scelta non sarà senza conseguenze; il principio non potrebbe essere più equo: più lavori oggi, più guadagnerai quando non lo farai più. Il sistema prescinde dalle ragioni del ritiro; lo Stato non entra nel merito delle motivazioni individuali ma si limita a certificare che vi possano essere diversità fra esse, dando la libertà a ognuno di decidere l'età di pensionamento che meglio si adatta alle proprie esigenze.

In più dal 2020 l'Italia avrà l'età pensionabile più elevata dell'intera Europa, con 66 anni e 11 mesi sia per donne che per uomini [Commissione Europea (2012)]. Dopo di noi ci sono Paesi famosi per il loro rigore, come la Danimarca con 66 anni e la Germania con 65 anni e 9 mesi.

Il meccanismo secondo cui l'età di pensionamento verrà periodicamente rivista in base al cambiamento dell'aspettativa di vita, oltre a eliminare uno spazio di manovra nelle mani dei politici a vantaggio di un metodo imparziale, rafforza questo virtuoso primato. Secondo le proiezioni, nel 2060 l'Italia raggiungerà l'età di pensionamento di 70 anni e 3 mesi. La Germania nel 2060, a legislazione ora

vigente, sarà ferma ai 67 anni.

Questi confronti sono strabilianti se si pensa a un recentissimo passato in cui l'Italia era il Paese delle pensioni d'anzianità, istituto non traducibile in altra lingua perché in nessun altro Stato si era presentata questa esigenza. Si passa dall'essere un Paese vezzeggiato in maniera dispregiativa, quasi il Paese dei balocchi, a uno Stato che ha la sua credibilità agli occhi degli esperti di tutto il mondo.

Il quarto capitolo è stato dedicato alle donne. Ben presto non avranno alcuna corsia preferenziale riguardante l'età di pensionamento. Nel 2018 non ci saranno già distinzioni in tutte le componenti del sistema pensionistico, ad iniziare dall'età pensionabile. Le differenze tra uomini e donne erano un contentino per le seconde, una soluzione ex post a un problema da risolvere invece alla radice. Il rischio era quello di andare in senso contrario ai pur buoni propositi: una donna che si ritira dal lavoro prima è una donna che riceve una pensione più bassa, con l'attuale metodo contributivo.

In più è da considerare che lasciare le distinzioni in base al sesso rischiava di oscurare del tutto le cause, cristallizzando la posizione di dominio economico dell'uomo sulla propria moglie. Ed è ben peggio se la donna non è sposata; è la povertà senile il nemico numero uno.

In Italia sono particolarmente gravi le condizioni dei servizi pubblici che si occupano di cura degli anziani. Quando in una famiglia emergono delle necessità il sacrificio viene fatto quasi sempre dalle donne. Nell'immediato esse possono

appunto soffrire quel dominio economico della parte maschile cui si accennava poc'anzi; nel futuro avranno delle ripercussioni sensibili sulle loro pensioni. La pensione di reversibilità, istituto cui beneficiano quasi esclusivamente le donne, fa parte di quelle soluzioni ex post che in un sistema virtuoso non dovrebbero essere la norma ma le eccezioni. In più sulle pensioni di reversibilità grava il problema aperto della discriminazione di tutte le unioni tra uomo e donna (oltre che tra persone dello stesso sesso) che stanno fuori dal matrimonio, comunque denominate. Anche le convivenze non di coppia, come ad esempio due sorelle che condividono lo stesso tetto, sono discriminate. Mancando un loro riconoscimento legale, la pensione di reversibilità non è per loro percorribile. Oltre alla cura degli anziani le donne sono sacrificate sull'altare della nascita, insopprimibile differenza biologica, e dell'educazione dei figli, tara culturale auspicabilmente da debellare.

Nei Paesi nordici i servizi per l'infanzia e per la cura degli anziani sono ben sviluppati. La conseguenza è che il gap di genere è molto più basso e il tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro è più alto che nel resto d'Europa. L'Italia dovrebbe intraprendere un percorso importante che si snoda in due direzioni che non sono parallele, in quanto arrivano in qualche punto a toccarsi. L'implementazione di asili nido e di case di cura per anziani sarebbe un primo, parziale intervento. Accanto ad esso occorrerebbe un reale riequilibrio delle responsabilità tra uomo e donna. La legge non può fare tutto ma vi sono spazi di manovra che possono e devono essere sfruttati.

Un esempio sarebbe l'istituto del congedo per paternità obbligatorio per tutti. È una proposta che il ministro Fornero ha introdotto nella riforma del lavoro. Se dovesse passare sarebbe più un segnale che un cambiamento epocale, consistendo in soli tre giorni consecutivi completamente retribuiti nei primi 5 mesi del bambino. In Svezia sono ben 30 i giorni di permesso dei neo-papà. È un traguardo lontano, ma da qualche parte bisognerà pure iniziare, non fosse altro per evidenziare che un problema esiste.

Nel capitolo quinto si è affrontato il tema della previdenza complementare, un argomento talmente ampio e importante che avrebbe meritato di essere oggetto di un lavoro soltanto ad esso dedicato. La previdenza complementare rappresenta la più grande speranza, forse l'unica, affinché le generazioni che oggi iniziano a lavorare abbiano dei tassi di sostituzione che siano, se non uguali, di poco inferiori a quelli del loro padri.

Eppure lo sviluppo della previdenza complementare non è mai avvenuto in Italia, a dispetto dei numerosi interventi legislativi di cui si è discusso, primo tra tutti la devoluzione del TFR ai fondi pensione, non obbligatoria ma verso cui si è parecchio spinto con il meccanismo del silenzio-assenso.

Tra i fattori che hanno frenato il decollo del settore c'è l'alto tasso di contribuzione che ogni lavoratore deve devolvere alla previdenza obbligatoria. In questo senso vi sarebbero proposte di decontribuzione (opting-out) dallo schema pubblico a favore della previdenza complementare, sulla scia di esperienze del mondo anglosassone. Ma anche il Regno Unito ha avuto problemi di attuazione

della fuoriuscita dallo schema pubblico, dovuto alla mancanza di controllo sulla corporate governance dei soggetti che si occupano di previdenza privata. Che dimensioni potrebbe assumere il mis-selling in Italia? È lecito avere delle perplessità a tal proposito in un Paese in cui il conflitto di interessi non è preso nella giusta considerazione ad ogni livello e che nella classifica della corruzione percepita occupa la posizione 69 a pari “merito” con Ghana, Samoa e Repubblica di Macedonia.30 Lo Stato potrebbe doversi accollare i buchi finanziari di

individui che hanno come primo obiettivo l'interesse personale. Non sarebbe uno scambio conveniente rispetto al buco della previdenza pubblica che sarebbe divenuto ingestibile senza il passaggio al sistema contributivo, quindi continuando a garantire tassi di sostituzione altissimi.

L'altro grande fattore che va annoverato tra le cause del flop è la disinformazione previdenziale, in Italia altissima. Infatti la responsabilità dell'individuo si esprime nella scelta su quanto investire e in cosa farlo. Se si prendono decisioni così cruciali alla cieca o affidandosi completamente al primo intermediario finanziario che si interpella, non si sfruttano le possibilità che si hanno o comunque non nel modo giusto.

L'informazione finanziaria ha un impatto positivo significante sulla propensione a risparmiare per la vecchiaia attraverso un fondo pensione [Fornero, Monticone (2011)]. La disinformazione finanziaria può al contrario essere un ostacolo insormontabile. Non sapere la differenza tra investire in azioni oppure in

30 La classifica completa relativa all'anno 2011 è consultabile all'indirizzo internet

obbligazioni è grave quando l'individuo deve scegliere una delle linee del fondo pensione cui affidarsi e ognuna di queste ha differente rischio e rendimento, legato all'asset allocation praticato. La disinformazione è più accentuata in quelle fasce della popolazione che ne avrebbero più bisogno: le donne e le persone meno istruite (solitamente con redditi da lavoro più bassi della media). Vi è da registrare anche una distinzione su base regionale, con le regioni del Sud svantaggiate rispetto a quelle del Centro-Nord.

La regolamentazione e il controllo da soli non bastano. L'individuo che deve investire oggi è come un automobilista in una strada affollata: “mettere ancora

più cartelli stradali, aumentare le pattuglie della polizia stradale e limitare il traffico può ridurre gli incidenti stradali, ma se la gente non sa guidare, continuerà a farsi male” [Lusardi (2009)].

Vi sono due aspetti cui prestare attenzione: l'educazione finanziaria e la comunicazione finanziaria [Piatti, Rocco (2010)]. Occorre che programmi di educazione finanziaria, in special modo incentrati sulla previdenza, siano inseriti nei piani di studio delle scuole perché le nuove generazioni possano avere i giusti mezzi per far fronte al loro futuro. I media invece devono occuparsi del presente, inserendo nelle posizioni di vertice della loro agenda setting il tema previdenziale, nello specifico quello dell'importanza della previdenza complementare.

La sfida più grande in Italia sarà cambiare il modo di pensare. Le persone, persino quelle informate, sperano che arrivi in futuro una legge a rimpolpare la

loro pensione. Preoccuparsene da giovani è così inutile e dispendioso. Gli Italiani dovrebbero avere ben chiara la cognizione della realtà. Devono rendersi conto che le condizioni che hanno permesso in passato di elargire a man basse “tutto a tutti” non si ripresenteranno più. L'invecchiamento della popolazione pone dei limiti ben precisi a quello che i politici potranno promettere. I mass media devono responsabilmente far passare un messaggio agli elettori ogni volta che in campagna elettorale si ripresenteranno promesse che allarghino i cordoni della borsa senza che vi sia una reale disponibilità economica: è un reato di lesa onestà verso i giovani. Un politico che promette di aumentare le pensioni in maniera spropositata creando un deficit al sistema pensionistico (quindi scaricando i debiti alle future generazioni) e allo stesso tempo dichiara di pensare ai giovani o mente sapendo di mentire oppure non ha le competenze per rendersi conto del paradosso. In entrambi i casi non merita di ottenere la fiducia degli elettori.

Sottotraccia è emersa la responsabilità individuale. Siamo noi individui con i nostri comportamenti a generare le evoluzioni del sistema pensionistico. E questo vale per ogni singolo aspetto che ogni capitolo di questo lavoro ha trattato. Se una donna decide di portare alla luce una nuova creatura quella è una scelta che innesta effetti benefici al sistema pensionistico. Altrettanto fa l'individuo che sceglie di lavorare fino a un'età più avanzata oppure chi risparmia un qualcosa in più aderendo alla previdenza complementare. Può sembrare una goccia in un oceano, ma l'oceano è fatto di sole gocce; il loro numero è questione che, per quanto essenziale, passa in secondo piano.

Nel febbraio 2012 la Commissione Europea ha emanato un libro bianco con alcune raccomandazioni in tema previdenziale per ogni Paese dell'Unione. Non è la prima volta che la Commissione prende un'iniziativa simile. A risaltare è però che nella “agenda dedicata a pensioni adeguate, sicure e sostenibili”, alla voce raccomandazioni specifiche per Paese relative alle pensioni, per l'Italia la casella sia vuota.

È un segno tangibile della bontà della riforma Fornero e della benevolenza accordatale oltreconfine. In questo lavoro è chiaro il mio giudizio altrettanto positivo che traspare in vari punti. Non deriva dalla perfezione degli interventi, perché la perfezione non è di questa terra, quanto dalla loro estraneità a interessi terzi. Lo spirito che ha guidato la riforma è stata la pura ricerca di efficienza ed efficacia, null'altro. Tutto è migliorabile e sarebbero auspicabili delle ulteriori limature, ma sono solo il contorno a un portata principale ben preparata. Per la riuscita occorre un elemento in più: gli individui devono essere ben informati delle regole del gioco. Senza informazione aggiornata e precisa è superfluo parlare d'altro. È la conditio sine qua non di una attuazione di principi che sulla carta sono essenziali per continuare a parlare di pensioni negli anni a venire. Senza di essi il banco sarebbe ben presto saltato, grazie ad essi si può guardare al futuro in maniera blandamente ottimistica.

Una chiosa finale la merita il collegamento principale alle pensioni: il lavoro. “Nessuna riforma previdenziale può funzionare se non è accompagnata dal buon

funzionamento dell'economia e del mercato del lavoro”.31 Le due riforme sono

essenzialmente complementari una all'altra. Il lavoro è la base della pensione, senza di questo qualsiasi emolumento in vecchiaia assume carattere assistenziale. La dignità delle persone passa così dal lavoro anche per la fase finale delle loro vite.

Far ripartire l'imbalsamato mondo del lavoro è determinante per i giovani affinché possano mettere da parte il prima possibile risparmio previdenziale, per le donne perché sono le loro frastagliate carriere che invalidano i propositi di uguaglianza di genere, ma anche per coloro che in età avanzata perdono il lavoro affinché l'innalzamento dell'età pensionabile non si riveli una trappola ingestibile. Per tutti loro sarà la riforma del lavoro il viatico per un futuro a lungo termine di speranza.

31 Dichiarazione della Fornero rilasciata nel maggio 2012. Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/10/fornero-riforma-pensioni-salvarci-baratro-tocca- lavoro/225511/, consultato in data 20/7/2012.

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