DIRITTO DEL LAVORO
L’IMPATTO DELLA EMPLOYMENT EUROPEAN STRATEGY SUL RUOLO DEL DIRITTO DEL LAVORO
2. In cerca di un coordinamento delle politiche occupazionali: una prospettiva di convergenza?
C’e` un certo consenso sul fatto che la cosiddetta « strategia di Essen », pur importante nel contesto della meta` degli anni Novanta, si
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sia dimostrata insufficiente. Si sperava che i meccanismi multilaterali di controllo dell’occupazione avrebbero incoraggiato una piu` consi-stente convergenza delle politiche per l’occupazione negli Stati Mem-bri secondo le linee tracciate dalle raccomandazioni di Essen (1). An-che il Trattato di Amsterdam (2) si basa sull’idea del rispetto delle possibili vie alla job creation seguite dagli stati nazionali, sebbene, al contempo, individui una legittimazione piena e perfetta della azione della Comunita` sui problemi dell’occupazione. Nel rispetto delle di-versita` delle relazioni industriali nazionali e dei sistemi di mercato del lavoro, gli Stati Membri si trovano pero`, oggi, sottoposti all’obbligo di azioni nel solco delle linee tracciate dagli stringenti parametri su cui si sono congiuntamente accordati ogni anno.
Si deve riconoscere che l’originaria interpretazione del capitolo sull’occupazione del Trattato di Amsterdam data dalla Commissione era molto piu` rigorosa dei principi elaborati negli accordi del Consi-glio Europeo di Lussemburgo. Cio` nondimeno, alcuni commentato-ri (3) hanno avuto un approccio eccessivamente critico nell’enfatizzare la mancanza di obiettivi misurabili e quantificabili. La Commissione aveva ritenuto possibile il raggiungimento di un tasso di occupazione del 65% in cinque anni e, contestualmente, una riduzione del tasso di disoccupazione al livello di Unione Europea al 7%. Simili obiettivi non sono stati pero` confermati dal Consiglio, che ha preferito fissare altri tipi di obiettivi.
Le guidelines 1, 2 e 3 (del 1998 e del 1999) prescrivono chiara-mente azioni suscettibili di quantificazione. Ad ogni giovane privo di impiego deve essere offerta una nuova opportunita`, lato sensu lavora-tiva, prima che raggiunga i 6 mesi di disoccupazione (come, forma-zione professionale, tirocinio, pratica professionale o un’altra qualsiasi misura occupazionale). Questa opportunita` deve essere procurata a tutti i disoccupati adulti prima che siano passati dodici mesi. Le mi-sure attive di promozione dell’occupazione, inoltre, dovrebbero rag-giungere per lo meno il 20% della popolazione disoccupata e
soprat-(1) In proposito GOETSCHY, The European employment strategy: genesis and de-velopment, in European Journal of Industrial Relations, 1999, vol. 5, n. 2, 119.
(2) Su cui vedi BIAGI, The Implementation of the Amsterdam Treaty with Re-gard to Employment: Co-ordination or Convergence?, in IJCLLIR, 1998, vol. 14, n. 4, 325 ss.
(3) COLUCCI, Alla ricerca di una strategia europea per l’occupazione, in DL, I, 239 ss.
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tutto la guideline 6 per il 1999 richiede ad ogni stato membro « to de-fine lifelong learning in order to set a target according to national circu-mstances for participants benfiting from such measures ». Il principio e`
decisamente una delle piu` originali proposte della Commissione. Agli Stati membri non sara` permesso ancora per molto di agire indipen-dentemente uno dall’altro per risolvere i problemi della disoccupa-zione: sono, infatti, obbligati al rispetto di obiettivi quantificati.
Il capitolo sull’occupazione del trattato di Amsterdam e la sua implementazione, il processo di Lussemburgo, rappresentano la costi-tuzionalizzazione dell’azione comunitaria in questo campo. Detto que-sto, bisogna riconoscere che il capitolo sull’occupazione deve essere considerato anche sullo sfondo del fallimento della proposta di una politica macroeconomica centralizzata basata sul contenimento dell’in-flazione e sugli interventi dal lato della domanda (4).
Comunque, al meeting di Colonia del Consiglio Europeo (giugno 1999) e` stato raggiunto l’accordo per il progetto di Patto Europeo per l’Occupazione che dovrebbe reggersi su tre pilastri fondamentali: a) un dialogo macro-economico teso a migliorare le interrelazioni tra li-vello di sviluppo e politiche fiscali e di bilancio e politiche monetarie (processo di Colonia), b) un migliore sviluppo e una maggiore imple-mentazione della strategia occupazionale coordinata (c.d. processo di Lussemburgo), c) riforme strutturali globali e modernizzazione per il miglioramento delle capacita` innovative e l’efficienza dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali (processo di Cardiff).
In realta` il Patto Europeo per l’Occupazione (EEP) e` stato an-nunciato e non realizzato. Nessuno puo`, oggi, immaginare come gli attori saranno capaci di portare avanti questo ambizioso programma.
Certo, mancano i meccanismi per un effettivo coordinamento dei tre processi. Lo stesso Trattato stabilisce che le guidelines occupazionali devono essere « in armonia » (art. 126.1 e 128.2) con le « broad guide-lines of the economic policies of the Member States of the Community » (art. 99.2) e cio` non comporta nessun tipo di priorita` o precedenza dei problemi economici o monetari rispetto alle esigenze dell’occupa-zione. Il rischio potenziale di conflitto dovrebbe essere facilmente evi-tato con la prassi di « join (jumbo) meetings » di ECOFIN e del Con-siglio per gli Affari Sociali. La preparazione di questi eventi obbliga,
(4) BARNARD, DEAKIN, A year of living dangerously? EC social rights, employ-ment policy and EMU, in IRJ, 1999, vol. 30, n. 4, 355 ss.
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comunque, gli apparati di Governi e Commissione a elaborare strate-gie di effettivo coordinamento tra i due campi, possibili oggi anche grazie ai contatti frequenti che avvengono tra Comitato per le Politi-che EconomiPoliti-che (Economic Policy Committee) e il Comitato per l’Occupazione e il Mercato del Lavoro (Employment and Labour Market Committee), da sostituirsi con il Comitato per l’Occupazione (Employment Committee) previsto dall’art. 130 del Trattato. In per-fetta aderenza al Trattato le due prospettive possono tranquillamente coesistere. Nuovi tentativi di cambiare questo rapporto dovrebbero comportare una riforma costituzionale, da discutersi durante la pros-sima Conferenza Intergovernativa. In ogni caso la Strategia Europea per l’Occupazione (EES), e non il Patto Europeo per l’Occupazione, impone una solida base costituzionale.
I primi due anni di esperienza hanno confermato questa spinta egualitaria che caratterizza il processo di Lussemburgo di implemen-tazione del capitolo sull’occupazione di Amsterdam. La pratica di pressione egualitaria multilaterale puo` far ragionare in termini di con-vergenza. Ma la chiave di lettura del Trattato non e` certamente quella della convergenza ma, semplicemente, quella del coordinamento (art.
125: « coordinated strategy for employment ») dal momento che e` chia-ramente respinta ogni idea di armonizzazione (art. 129). Comunque, mentre ogni tipo di convergenza che fosse imposta dalla Commissione dovrebbe considerarsi del tutto inappropriata (5), non e` possibile evi-tare che il processo di Lussemburgo raggiunga alcuni risultati in que-sta direzione in ragione dello scambio fecondo delle migliori prassi (esportando ognuno gli esperimenti positivi dell’altro) e, piu` in gene-rale, grazie all’influenza esercitata dalle varie attivita` (con il paragone dei vari piani tra loro e, specialmente, dei risultati raggiunti).
L’applicazione consistente di questa prassi puo` condurre verso la convergenza delle politiche dell’occupazione e del mercato del lavoro degli Stati membri, senza provenienza alcuna da Bruxelles, ma, sem-plicemente, sulla base del consenso crescente su alcune soluzioni effi-caci attraverso un processo di tentativi ed errori (6). Alcune guidelines (principalmente la prima, la seconda e la terza nell’esperienza 1998-99) possono essere considerate come esempi di « criteri convergenti »
(5) BIAGI, op. cit.
(6) BORSTLAP, Modernised Industrial Relations: A Condition for European Em-ployment Growth, in IJCLLIR, 1999, vol. 15, n. 4, 365 ss.
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in materia di occupazione. Tuttavia, a differenza dei criteri di conver-genza dettati dal Trattato di Maastricht per l’unione monetaria, i cri-teri identificati nelle guidelines per l’occupazione nascono come legi-slazione leggera (« soft law ») e non si trovano nel Trattato (7). Un di-fetto cui la prossima Conferenza Intergovernativa potrebbe porre ri-medio, con l’introduzione di pochi specifici obiettivi quantificabili (o, almeno misurabili) anche attraverso una « costituzionalizzazione » delle guidelines piu` efficaci.
3. Dal dirigismo al neo-volontarismo: sperimentando le guidelines