DIRITTO DEL LAVORO
EXTRACOMUNITARI E MERCATO DEL LAVORO:
4. Europeizzazione del mercato del lavoro e cooperazione interna- interna-zionale
Anche se il lavoro extracomunitario e` alimentato da flussi prove-nienti da aree geografiche di altri continenti (prima fra tutte quella
(31) Cfr. BIAGI, Le commissioni regionali per l’impiego, in DPL, 1991, 2661 ss., spec. 2664.
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nordafricana), l’immigrazione in direzione Est-Ovest, dai paesi del-l’Europa centro-orientale verso quelli della Comunita` Europea, as-sume un rilievo particolare. Infatti poiche´ i paesi europei occidentali hanno premuto per lungo tempo sul blocco orientale al fine di creare le condizioni desocratiche indispensabili ad una mobilita` su scala con-tinentale, e` necessario proporsi una politica nei confronti dell’immi-grazione che non deluda le aspettative alimentate per alcuni decenni.
Al crollo del muro di Berlino non deve in altri termini seguire l’innal-zamento di nuove barriere legali o amministrative che impediscano l’affermazione di un mercato del lavoro paneuropeo (32).
Non solo ma la mobilita` del lavoro in una dimensione paneuro-pea, siano o meno attendibili le previsioni di migliaia di persone inten-zionate a trasferirsi dai territori dell’ex Unione Sovietica verso l’area comunitaria transitando nei Paesi della Mitteleuropa (33) (Ungheria e Cecoslovacchia in particolare), pone problemi del tutto particolari. Se infatti appare inevitabile che la condizione di disoccupazione o sottoc-cupazione derivante dall’introduzione di una vera economia di mer-cato ad Est provochi intensi movimenti migratori (utili a disinnescare tensioni sociali altrimenti esplosive), occorre evitare che tutto questo si traduca in un brain drain, in una fuga di cervelli che privi delle energie indispensabili gracili sistemi economici ancora in transizione.
In altri termini ancora il rischio e` quello di un impoverimento drastico di risorse umane, attratte dalle migliori occasioni offerte all’Ovest.
Una politica di restrizioni tale da realizzare una sostanziale chiu-sura pare destinata all’insuccesso, tanto difficile risulta in pratica resi-stere alla pressione congiunta di lavoratori determinati a cercare ad ogni costo nuove opportunita` occupazionali, da un lato, e, dall’altro, di imprese assai interessate a procurarsi manodopera a basso costo specie per mansioni ormai respinte dai lavoratori locali. L’effetto con-giunto di queste forze, al di la` dei vincoli istituzionali, sarebbe quello della clandestinita`, visto il comune interesse all’evasione legislativa.
Tantomeno e` prospettabile una politica di apertura indiscriminata, fo-riera di migrazioni di massa, in nome di un generico solidarismo che
(32) Cfr. MORTIMER, The immigrants we need, in Financial Times del 16 ottobre 1991.
(33) Cfr. BLANPAIN, I problemi dell’immigrazione e la Comunita` Europea; in BIAGI(a cura di), Politiche per l’immigrazione e mercato del lavoro nell’Europa degli anni ’90, cit., 29.
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potrebbe favorire una forte instabilita` nei sistemi sociali di prove-nienza.
Ev possibile che l’unica via di uscita per contenere la pressione migratoria da Est sia quella, gia` sperimentata nel caso dei rapporti fra Stati Uniti e Messico, degli accordi commerciali, cosı` come del resto si e` iniziato a fare con le recenti intese fra CEE e Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia (34). Secondo questa strategia si tratterebbe di miglio-rare con rapidita` le condizioni di vita nei Paesi d’origine, incremen-tando l’acquisto di beni prodotti in quei sistemi (35). Anche se si pon-gono problemi di competitivita` con i prodotti occidentali non solo sotto il profilo del prezzo ma soprattutto della qualita`.
Ai fini piu` limitati dell’evidente tendenza verso un’europeizza-zione del mercato del lavoro appare senz’altro decisivo apprestare so-luzioni, anche istituzionali, che tengano conto del tipo particolare di migrazione qual e` quella lungo la direttrice europea Est-Ovest. Poiche´
ben spesso si tratta di soggetti comunque cresciuti in un contesto cul-turale europeo, occorre per quanto possibile rispondere alla domanda di formazione o aggiornamento professionale per poi favorire il rien-tro nei Paesi d’origine dove poter quindi trasferire il know how accu-mulato in Occidente.
Dunque non soltanto una politica di cooperazione allo sviluppo che non risponderebbe da sola all’emergenza del prossimo futuro.
Anche perche´ talvolta si ottengono effetti opposti rispetto a quelli at-tesi, visto che il Paese piu` ricco tende ad aprirsi maggiormente anche per ragioni di carattere umanitario (36). Bensı` una strategia di ingressi programmati che ripartisca su scala comunitaria l’onere di ricevere i flussi migratori.
In proposito non si tratta unicamente di adottare al piu` presto una politica comune in materia di visti di ingresso (37), stante la sicura riferibilita` delle politiche migratorie all’art. 118 del Trattato sancito dalla Corte di Giustizia fin dal 1987. Ev necessario proporsi il piu`
am-(34) Cfr. FREY, L’Est postcomunista e il mercato del lavoro, in Il Bianco e il Rosso, 1991, n. 21/22, 73 ss.
(35) Cfr. DAHRENDORF, Now to the realissues for Europe, in Financial Times del 12 dicembre 1991.
(36) Cfr. DELL’ARINGA, Immigrati, dramma in tre atti, in Il Sole 24 Ore del 17 settembre 1991.
(37) Cio` che ormai sembra imminente secondo quanto riferisce Buchan, Immi-gration accord begins to take shape, in Financial Times del 27 novembre 1991.
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bizioso disegno, ugualmente legittimato dai giudici di Lussemburgo, di adottare atti comunitari finalizzati all’armonizzazione delle legisla-zioni nazionali in tema di stranieri. Anche perche´ la libera circolazione degli immigrati non significa di per se´ possibilita` di accedere legal-mente al mercato del lavoro in qualsiasi Stato membro. Da qui di-scende la necessita` di realizzare un’armonizzazione della politica so-ciale in quanto altrimenti si consoliderebbero mercati del lavoro na-zionali, di fatto separati, anche perche´ fondati sul diverso trattamento riservato ai lavoratori extracomunitari.
Dunque il raggiungimento di un coordinamento delle condizioni di ingresso non puo` costituire una ragione sufficiente per rinviare nel frattempo l’armonizzazione delle politiche di integrazione sociale (38).
Diversamente la discriminazione nei confronti dei lavoratori immigrati rischierebbe di determinare fenomeni di dumping sociale. Il loro inse-rimento non deve fra l’altro essere considerato solo come un peso o un vincolo, bensı` anche come un’opportunita`, visto che fra l’altro un aumento di forza lavoro attiva e` in grado di produrre effetti positivi in sistemi di sicurezza sociale oggi indeboliti dal saldo demografico nega-tivo nei Paesi industrializzati.
Senza dubbio non sara` facile in sede CEE (39) raggiungere un equilibrio fra l’esigenza di preservare una certa coesione economica e sociale fra gli (attuali) Stati membri e la parallela necessita`, di carattere umanitario, commerciale e politico allo stesso tempo, di mantenere la porta aperta nei confronti dei lavoratori europei provenienti dalla Mit-teleuropa e dai territori della neonata Comunita` degli Stati Indipen-denti. Un contributo alla soluzione del problema puo` provenire da un’evoluzione dei diversi sistemi nazionali che offrano sempre piu`
strumenti flessibili di occupazione degli extracomunitari, cosı` da favo-rire un temporaneo soggiorno di lavoro utile ad accrescere le loro ca-pacita` professionali, precostituendo ovviamente un’importante fonte di reddito per fronteggiare la difficile congiuntura nei Paesi d’origine.
Una politica di rotazione della manodopera extracomunitaria che, ri-guardando solo una parte di questi soggetti, non si porrebbe in anti-tesi con quella di integrazione sociale diretta alla maggioranza di
es-(38) Cfr. MANCINI, Politica comunitaria e nazionale delle immigrazioni nella pro-spettiva dell’Europa sociale, in CENTRONAZIONALESTUDI DIDIRITTO DEL LAVORO « D.
NAPOLETANO», Dimensione sociale del mercato unico europeo, Milano, 1990, 135 ss.
(39) Cfr. COMUNITA`EUROPEE— COMITATOECONOMICO ESOCIALE, Parere in me-rito allo statuto dei lavoratori migranti — Paesi terzi del 24 aprile 1991, Ces(91) 560.
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si (40). In questo modo comunque non si priverebbero tali Paesi di energie lavorative allo stato difficilmente sostituibili, evitando nel con-tempo di ingenerare nelle societa` d’accoglienza un atteggiamento di rigetto.
L’integrazione degli extracomunitari nel mercato del lavoro e` una necessita` delle societa` occidentali prima ancora che dei beneficiari.
Anche perche´ se forse e` vero che le social n’est plus a` la mode (41), oc-corre non dimenticare che l’ingigantirsi di questo fenomeno potrebbe, se non convenientemente governato, condurre ad incontrollabili epi-sodi di ribellione sociale con pericolosi antagonismi fra prestatori lo-cali e stranieri. Con il rischio aggiuntivo di compromettere la nascente cooperazione internazionale fra gli Stati nella nuova ed affascinante prospettiva paneuropea.
(40) Cfr. BETTEN, Politiche dell’immigrazione e mercati del lavoro nella nuova Europa; in BIAGI(a cura di), Politiche per l’immigrazione e mercato del lavoro nell’Eu-ropa degli anni ’90, cit., 49.
(41) Cfr. SOUBIE, Le social: mort ou transfiguration?, in DS, 1991, n. 11, 751.
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II.
DIRITTO DELLE RISORSE UMANE,
FLESSIBILITAv DEL LAVORO E LAVORI « ATIPICI »
1.
COMPETITIVITAv E RISORSE UMANE: MODERNIZZARE LA REGOLAZIONE DEI RAPPORTI DI LAVORO (*)
SOMMARIO: 1. Riprogettare la regolazione del Sistema italiano di rapporti di lavoro. — 1.1. Preparare la transizione verso la societa` dell’informazione: dal rapporto di lavoro ai cicli di opportunita` professionali. — 1.2. I vincoli esterni: l’esperienza comunitaria e comparata. — 1.3. Dalla reazione alla proposta: il ruolo degli im-prenditori per costruire nuove relazioni industriali. — 2. Innovare le tecniche di regolazione. — 2.1. Il livello comunitario: da vincolo ad opportunita`. — 2.2. Legge e contratto collettivo: nuovi equilibri ed individualizzazione dei rap-porti di lavoro. — 2.3. La derogabilita` della norma giuridica nell’ipotesi dell’as-segnazione a mansioni inferiori. — 2.4. Dalle regole vincolanti alle « norme leg-gere » (le c.d. soft laws) per un diritto del lavoro di qualita`. — 2.5. Una nuova generazione di contratti collettivi « soft »: l’esempio del telelavoro. — 2.6. Va-lorizzare il primato del momento negoziale rispetto alla legge: importare il mo-dello della direttiva sui « comitati aziendali europei ». — 2.7. Semplificare il si-stema regolatorio come lotta al lavoro sommerso: norme piu` chiare per una concorrenza piu` corretta. — 3. Ridefinire il rapporto tra istituzioni e parti so-ciali. — 3.1. Il metodo della concertazione ad una svolta: da fine a strumento.
— 3.2. Concertazione e politiche per l’occupazione: valorizzare la dimensione locale. — 3.3. Lavoro e federalismo: difendere la nuova Costituzione. — 3.4. Concertazione e trasposizione delle direttive comunitarie in materia sociale:
corresponsabilita` nella chiarezza. — 4. Riorganizzare il sistema contrattuale. — 4.1. Livelli ed organizzazione: riconoscere il primato della contrattazione azien-dale. — 4.2. Salari e produttivita` in eurolandia: negoziare la moderazione sala-riale nella logica del benchmarking. — 4.3. « Clausole di apertura » nella con-trattazione collettiva: verso il principio di unicita` del livello contrattuale. — 4.4. Iniziative per realizzare l’inclusione sociale: l’esempio del Patto di Milano.
— 5. Rendere competitive le relazioni industriali. — 5.1. Rsu: rispettare gli
ac-(*) Pubblicato in Rivista Italiana di Diritto del lavoro, 2001, 257-289.
cordi tra le parti sociali. — 5.2. Societa` europea e diritti di informazione e con-sultazione su scala nazionale: rispettare le pratiche nazionali di relazioni indu-striali. — 5.3. Partecipazione ed azionariato dei dipendenti: tfr e fondi pen-sione. — 6. Modernizzare la disciplina dei rapporti di lavoro. — 6.1. Moderniz-zare i rapporti di lavoro: competenza primaria delle parti sociali in relazione alle iniziative della Commissione europea. — 6.2. Un nuovo diritto per la nuova or-ganizzazione produttiva: ripensare il diritto del lavoro. — 6.3. Il part-time: uno strumento strategico per il governo delle risorse umane. — 6.4. Il lavoro inter-mittente: uno strumento per regolarizzare prestazioni lavorative clandestine. — 6.5. Lavoro temporaneo: consentire alle societa` di lavoro interinale anche atti-vita` di collocamento. — 6.6. Il lavoro a tempo determinato: lavorare a progetto.
— 6.7. Orario di lavoro e lavoro straordinario. — 6.8. Licenziamenti: incenti-vare le assunzioni dei giovani e il ricorso a contratti di lavoro a tempo indeter-minato. — 6.9. Licenziamenti individuali: superare il sistema di stabilita` reale.
— 6.10. Per un « diritto del lavoro della piena occupazione »: cautelarsi contro il rischio di vanificare l’investimento in risorse umane. — 6.11. I « lavori atipi-ci »: sperimentare un nuovo rapporto tra disatipi-ciplina collettiva ed accordi indivi-duali. — 6.12. La riforma del socio di cooperativa di lavoro: un modello da se-guire. — 6.13. Regolare la complessita`: dallo “Statuto dei lavoratori” allo “Sta-tuto dei lavori”. — 6.14. Competitivita` e diritto del lavoro: per rapporti di la-voro « ad alta qualita` ». — 7. Mercato del lala-voro: pubblico e privato a con-fronto. — 7.1. Occupabilita` ed adattabilita`: dalla sicurezza del posto di lavoro alla tutela sul mercato. — 7.2. Centri per l’impiego: per un autentico servizio in concorrenza con quello privato. — 7.3. Formazione e risorse umane: educare nell’epoca della societa` dell’informazione. — 8. Contrastare l’economia som-mersa per competere su basi di equita`. — 8.1. Formazione e risorse umane:
educare nell’epoca della societa` dell’informazione (segue). — 8.2. Una nuova strategia per la lotta al lavoro sommerso. — 8.3. Combattere il lavoro « nero » e accrescere i tassi di partecipazione al mercato del lavoro. — 8.4. L’innovazio-ne L’innovazio-nelle tipologie contrattuali per contrastare il lavoro non dichiarato: i contratti
« a costo zero » e la regolazione del lavoro accessorio. — 8.5. Per una nuova politica della immigrazione.
1. Riprogettare la regolazione del Sistema italiano di rapporti di