• Non ci sono risultati.

Cernuda e la Spagna

Il continuo alternarsi di vicende biografiche e il susseguirsi di sentimenti contrastanti rivela i suoi effetti anche nella visione che Cernuda ha della madrepatria. Analizzando la lirica cernudiana dell’esilio, emerge, infatti, chiaramente l’atteggiamento ambivalente e contraddittorio che l’autore sivigliano assume nei confronti della Spagna. Ciò non costituisce una novità né, tantomeno, una eccezione nella poesía del destierro, dal momento che è abitudine condivisa degli intellettuali esuli, sviluppare, nei propri scritti, una visione dicotomica del paese natale294. Accanto ad una Spagna, retaggio di un passato illustre e glorioso, per la quale essi nutrono amore e rispetto, emerge, per l’appunto, il ritratto di una nazione corrotta e oppressiva, che genera solo sentimenti negativi e avversi. La guerra e l’esilio avevano provocato un impatto, fisico ed emotivo, talmente forte, ma diverso da persona a persona, che era impossibile non fare della materia spagnola un oggetto di canto. Nel caso specifico del nostro autore, la studiosa Marina Mayoral, in un saggio dedicato al rapporto di Cernuda con la Spagna, evidenzia come la sua attitudine verso quest’ultima “experimenta a lo largo de los años una evolución compleja”295, dovuta, principalmente, alle vicende biografiche dell’autore stesso. Il collega Mario de la Fuente García tenta di spiegare in cosa consiste tale evoluzione:

294 Negli scritti di numerosi autori dell’esilio si riscontra, spesso, una visione contrastante

della Spagna: la madrepatria risulta ora amata, ora odiata, a seconda del sentimento prevalente che invade l’animo dell’intellettuale. Autori come León Felipe, Pedro Garfias e Rafael Alberti, ad esempio, da un lato tessono le lodi di un Paese che ai loro occhi rappresenta una sorta di paradiso perduto, dall’altro, considerato il dolore e la rabbia per essere stati cancellati completamente dal panorama delle lettere nazionali, lanciano sulla Spagna pesanti invettive.

94

Esta relación de amor-odio hacia España sufre una evolución temporal desde un proceso de idealización en el que nos muestra que valores deberían predominar en esa patria en oposición a lo que el poeta ve en la realidad hasta una visión profundamente crítica y negativa de España que le lleva a tratar de romper cualquier lazo físico y no regresar del exilio. El elemento clave que marca e inicia esta evolución es la ruptura que supuso la Guerra Civil y la posterior experiencia del exilio296.

In “Elegía española I” (PROSA 212), scritta a Valencia nel febbraio del 1937, quando ancora non si è compiuta la rottura con la sua terra, Cernuda si rivolge alla Spagna in maniera confidenziale e intima, appellandola con il nome di “madre” (v. 20), “tierna” (v. 46), “amorosa” (v.46) e “compasiva” (v. 47), che suscita in lui un autentico amore filiale:

Háblame, madre; Y al llamarte así, digo

Que ninguna mujer lo fue de nadie Como tú lo eres mía. (vv. 20-23)

Solo pochi mesi più tardi, quando Cernuda inizia a maturare l’idea che abbandonare la Spagna sia una necessità più che una scelta, nella sua poesia si fa strada il “bitter criticism”297, che lo spinge ad apostrofare il proprio paese come “nuestra gran madrastra” e ad attribuirle epiteti poco piacevoli come “deshecha” e “miserable” 298, che testimoniano, però, la sua reale condizione299. Lo fa, in particolare, in una poesia, dal titolo “A Larra con

296 M. de la Fuente García, “Polifonía e ideología: diferentes voces en la poesía Luis

Cernuda”, in Nostalgia de una patria..., op. cit., pp. 241- 252, p. 249.

297 D. Harris, Luis Cernuda. A Study…, op. cit., p. 85.

298 “A Larra con unas violetas” (PROSA 219, rispettivamente ai versi 36 e 37).

299 La visione della Spagna come una madre malvagia, incurante dei suoi figli, la ritroviamo

in vari autori dell’esilio, in particolare essa è fortemente presente nel già citato Ramón Sender, autore di Relatos Fronterizos. In uno di questi, Despedida en Bourg Madame, la voce narrante - alias l’autore - definisce la Spagna “una madre vieja y un poco maniática […] que se impacientaba e insultaba a sus hijos”. Il testo narra la storia di due contadini spagnoli sul punto di attraversare la frontiera francese. Dalle loro conversazioni emerge chiaramente il sentimento filiale che nutrono per la madrepatria (“-Sì que la quiero, a mi madre”), sebbene i numerosi “golpes y malas palabras” ricevuti da essa. Emerge, altresì, il

95

unas violetas” (PROSA 219), composta per celebrare il poeta spagnolo Mariano José de Larra, uno degli autori romantici da lui più letti, insieme al già citato Bécquer. Cernuda si rivolge a Larra, morto cento anni prima, per descrivergli lo stato nel quale versa ora la loro Spagna:

Mira las calles viejas por donde fuiste errante, El farol azulado que te guiara, carne yerta, Al regresar del baile o del sucio periódico, Y las fuentes de mármol entre palmas: Aguas y hojas, bálsamo del triste.

La tierra ha sido medida por los hombres, Con sus casas estrechas y matrimonios sórdidos, Su venenosa opinión pública y sus revoluciones Más crueles e injustas que las leyes,

Como inmenso bostezo demoníaco; No hay sitio en ella para el hombre solo,

Hijo desnudo y deslumbrado del divino pensamiento. Y nuestra gran madrastra, mírala hoy deshecha, Miserable y aún bella entre las tumbas grises De los que como tú, nacidos en su estepa, Vieron mientras vivían morirse la esperanza, Y gritaron entonces, sumidos por tinieblas,

A hermanos irrisorios que jamás escucharon (vv. 24-41).

Dai versi appena citati, la Spagna appare, da un punto di vista ancora interno - di colui che la abita - , come una terra inospitale ed esclusoria, immersa in un clima ostile e oppressivo, in cui non vige la giustizia e la libertà, ma piuttosto la violenza e la censura; una terra nella quale la scrittura diventa un esercizio impossibile da praticare300 e l’ispirazione appare “envuelta en humo, cuando no va su llama libre en pos del aire” (v.

rfiuto dei due esuli di farvi ritorno e la decisione di lasciare le loro ossa “en alguna de las encrucijadas del mundo, como tantos otros españoles”. Ecco che, nel presentarci un simile scambio di punti di vista, Sender ci propone un dialogo verosimile tra esuli costretti ad abbandonare un paese che ha voltato loro le spalle e nel quale non è più possibile riporre alcuna speranza (cfr. R. Sender, Relatos…, op. cit., pp. 107-127).

300 “Escribir en España no es llorar, es morir”, scrive Cernuda al v. 42. Il verso rappresenta

una visione ancora più amara e negativa di quella già sottolineata dal destinatario del componimento, Larra, al quale è attribuita la famosa frase “Escribir en España es llorar” (cfr. L. A. de Villena, “Introducción”, op. cit., p. 79 n.).

96

44). La distanza dalla quale Cernuda osserva la Spagna, una volta che ne varca i confini, non fa che ingigantirne, ai suoi occhi, i vari problemi, intensificando, perciò, il suo risentimento tanto che, con dolore, il poeta arriva a sottoscriverne la fine nel lapidario verso “España ha muerto”301, alla fine di “Impresión de destierro”302 (PROSA 250). La Spagna che ha cessato di vivere - perché uccisa dalla guerra e dalla dittatura - è quella di cui Cernuda auspica la rinascita: la cosiddetta “España esencial”303, tollerante e creativa, che vanta un “pasado […] victorioso”304 e mescola aspetti della Spagna aurea con quelli mitici del suo sud andaluso305. Come infatti sostiene Philip Silver, Cernuda avverte così profondamente la separazione dalla sua “Andalucía natal”306 che, privato del “clima físico y spiritual de que se nutría su poesía”307, tenta di creare, poeticamente, una patria alternativa, quasi edenica, nella quale trovare conforto e della quale sentirsi figlio e cittadino, e la cui topografia poetica sembra corrispondere perfettamente al paesaggio andaluso308. Cernuda identifica tale locus

amoenus con Sansueña309, nome leggendario e altisonante migrato dal ciclo dei poemi epici francesi alla cultura spagnola per indicare, dapprima, la “frontera entre moros y cristianos en la Alta Edad Media”310 e, in seguito,

301 “Impresión de destierro” (PROSA 250, v.44).

302 In tale componimento, peraltro, Cernuda cita per la prima volta, esplicitamente, il nome

della Spagna (cfr. P.A. Gatica Cote, “La visión de España en la poesía del exilio: Luis Cernuda y Rafael Alberti”, Universidad de Cádiz, pp. 1-15, [http://lateinamerika.phil- fak.uni-koeln.de/fileadmin/sites/aspla/bilder/ip_hausarbeiten_koeln_2009/Gatica_Cote.pdf, ultima consultazione il 16-05-2018].

303 A. Paredes, “Patria y destierro en la poesía de Luis Cernuda”, in Anuario de Letras:

Lingüística y filología, Vol. 19, 1981, pp. 315-326, p. 319 [https://revistas-

filologicas.unam.mx/anuario-letras/index.php/al/article/view/457/455, ultima consultazione il 16-05-2018].

304 “Elegía española I” (PROSA 212, v. 70-71). 305 L. A. de Villena, “Introducción”, op. cit., p. 29. 306 P. Silver, Luis Cernuda. El poeta…, op. cit., p. 230. 307 Ibidem, p. 235.

308 P.A. Gatica Cote, “La visión de España en...”, op. cit., p. 4.

309 Il termine Sansueña fu usato, con significato simile a quello cernudiano da Fray Luis de

León in “Profecía del Tajo” (cfr. D. Harris, Luis Cernuda…, op. cit., p. 87 n.).

97

impiegato in letteratura per indicare località fittizie avvolte in una atmosfera bucolica e idilliaca311.

Dal piccolo “pueblo ribereño en el mar del sur transparente y profundo”, come Cernuda la definisce in un racconto dal titolo El indolente, del 1929, Sansueña, nella produzione desterrada, diventa un simbolo rappresentativo della Spagna, giungendo addirittura a fondersi con la stessa. Nella lirica “Resaca en Sansueña” (PROSA 230), ad esempio, che del racconto appena citato rappresenta una traslazione in versi312, essa è un “dream world”313, la cui gente è “clara y libre” (v. 25) e “la tierra fecunda” (v. 27), in netta opposizione al “triste infierno de las ciudades grises” (v. 22) dove “el odio es costumbre” (v. 23). Per la Mayoral, tuttavia, questo componimento del 1938, contenuto in Las nubes, si riferisce esclusivamente alla sola comunità autonoma andalusa, non all’intera nazione314. Secondo la studiosa, è invece in “Ser de Sansueña” (PROSA 386), appartenente a Vivir

sin estar viviendo, che trova luogo l’equivalenza Spagna-Sanueña: “ella, la

madrastra […] a su imagen te hizo” (vv. 3 e 6), scrive il poeta. Identificandolo con la Spagna moderna, quella che lui ha abbandonato e che dipinge come una “árida tierra” (v. 12) nella quale “los gusanos […] prosperan” (vv. 39-40) e la cui “ruina irreparabile” (v. 39) ha costretto i suoi figli a morir “en ajeno rincón” (v. 38), il mito di Sansueña, creato in Las

nubes, perde il suo attraente valore agli occhi di Cernuda, oramai sempre

più nostalgico verso la sua amata terra d’infanzia, come manifesta nella lirica “Tierra nativa” (PROSA 289), di Como quien espera el alba:

El susurro del agua alimentando, Con su música insomne el silencio, Los sueños que la vida aún no corrompe,

311 Per uno studio sull’origine del nome Sansueña e il suo uso nella letteratura, si veda V.

Millet, “Notas sobre el topónimo y su geografía literaria”, in Romania, 2003, 481-482, pp. 192-217 [https://www.persee.fr/doc/roma_0035-8029_2003_num_121_481_1289].

312 L. A. de Villena, “Introducción”, op. cit., p. 92 n. 313 D. Harris, Luis Cernuda. A Study…, op. cit., p. 87.

98

El futuro que espera como página blanca. Todo vuelve otra vez vivo a la mente, Irreparable ya con el andar del tiempo, Y su recuerdo ahora me traspasa El pecho tal puñal fino y seguro.

Raíz del tronco verde, ¿quién la arranca? Aquel amor primero, ¿quién lo vence? Tu sueño y tu recuerdo, ¿quién lo olvida,

Tierra nativa, más mía cuanto más lejana? (vv. 13-24).

Questo suo volgersi con malinconia e rimpianto verso il passato e i luoghi della sua giovinezza va di pari passo con la sua decisione, ormai definitiva, di non fare più ritorno in Spagna perché consapevole che, fatta eccezione per la lingua e la cultura, non esiste più alcun vincolo che lo leghi ad essa. Lo esprime chiaramente in una lettera all’amica Nieves Madariaga, scritta il 12 agosto del 1944: “Me doy cuenta de que he perdido toda amarra con mi tierra, y me siento todo yo y toda mi vida sin atadero alguno, e inútil”315. La profonda disaffezione che Cernuda inizia a nutrire, in questo periodo, per la sua patria, genera in lui un sentimento di vuoto spirituale che lo trasforma in un uomo privo di identità, “vacuo y nulo”316, in continuo peregrinare alla ricerca di un luogo che possa compensare le sue mancanze. Man mano che la condizione di desterrado diventa irreversibile, il progetto di creare una patria idealizzata raggiunge l’acme con l’identificazione della Spagna - e insieme del poeta e della sua opera artistica - nel monastero di El Escorial. Il monastero madrileno finisce per incarnare i valori spirituali e idealizzati della Spagna e dell’Andalusia del passato, a cui l’autore rivolge lo sguardo in cerca di ricordi, nella speranza che la nazione possa ispirarsi ad essi per risollevarsi. Il lungo inno “El ruiseñor sobre la piedra” (PROSA 272), attraverso il simbolo de El Escorial, descrive limpidamente “la

315 R. Martínez Nadal, Españoles en la Gran Bretaña, Luis Cernuda…, op. cit., p.132. 316 “Ser de sansuena” (PROSA 386, v. 29).

99

encarnación de un sueño de inmutable belleza y un testimonio del anhelo de perdurabilidad del hombre”317:

Así, Escorial, te mira mi recuerdo. Si hacia los cielos anchos te alzas duro, Sobre el agua serena del estanque Hecho gracia sonríes. Y las nubes Coronan tus designios inmortales. Recuerdo bien el sur dónde el olivo crece Junto al mar claro y el cortijo blanco,

Mas hoy va mi recuerdo más arriba, a la sierra Gris bajo el cielo azul, cubierta de pinares, Y allí encuentra regazo, alma con alma (vv. 7-16). [...]

Eres alegre, con gozo mesurado Hecho de impulso y de recogimiento, Que no comprende el hombre si no ha ido Hermano de tus nubes y tus piedras. Vivo estás como el aire

Abierto de montaña, Como el verdor desnudo De solitarias cimas, Como los hombres vivos Que te hicieron un día, Alzando en ti la imagen De la alegría humana, Dura porque no pase,

Muda porque es un sueño (vv. 62-75).

Il componimento appena citato forma, insieme ad altri due, “Silla del rey” (PROSA 388) e “Águila y rosa” (PROSA 409), rispettivamente appartenenti a Vivir sin estar viviendo e Con las horas contadas, la trilogia dedicata all’epoca imperiale spagnola, della quale l’Escorial è stato un simbolo. Negli ultimi due menzionati essa viene rievocata dalla figura di Filippo II, di cui Cernuda ci fornisce una duplice e contrastante

100

rappresentazione. In “Silla del rey” (PROSA 388), infatti, l’autore ne mette in luce la vena dispotica che lo contraddistinse e la sua incessante “búsqueda de un mundo místico y puro”318 - cosa che, secondo Villena, giustificherebbe la sua presenza nell’opera cernudiana -, confermata dalla frase “Maté la variedad, esa es mi gloria” (v. 31). Di contro, in “Águila y rosa” (PROSA 409) dipinge il ritratto di un uomo non più repressivo e tirannico, bensì contemplativo e mite, al quale non siamo abituati. Il motivo di tale calma e affabilità è da ricercarsi nel profondo senso di non appartenenza e di disagio provati dal monarca in seguito al trasferimento in Inghilterra in vista delle sue nozze con la matura Maria Tudor. Questa rievocazione offre a Cernuda l’occasione di ricordare la sua inadeguatezza e la difficoltà di adattarsi ad un paese e ad un popolo straniero e di creare, così, una analogia tra la sua condizione di desterrado e quella del re, anch’egli costretto dalle circostanze della vita a migrare lontano da casa: “Su alma no está aquí, sino donde ha nacido […] Su centro está en su tierra”319 (vv. 82 e 83).

Ancora una volta, a distanza ormai di oltre un decennio dalla sua assenza dalla Spagna, riaffiora in Cernuda quel sentimento, mai completamente soffocato, di añoranza, dettato dall’immenso amore che il poeta nutre per la sua terra. Infatti, nonostante le innumerevoli ragioni che la

318 L. A. de Villena, Luis Cernuda, Barcelona, Omega, 2002, p. 114.

319 Nel recuperare la figura di Filippo II, Cernuda intravede in lui un personaggio con il

quale potersi identificare. Il monarca spagnolo, uno dei più grandi d’Europa, è sempre stato un uomo controverso e amato odiato, al tempo stesso, per il suo duplice carattere: se da un lato, infatti, Filippo II é il re dispotico del Concilio di Trento, del divieto di studiare presso le università straniere e della censura di determinate opere (per esempio il Lazarillo de

Tormes), dall’altro, soprattutto grazie alla costruzione del monastero dell’Escorial, è il

simbolo della spiritualità e della lotta contro il materialismo europeo. Filippo II suscita la curiosità di Cernuda soprattutto per la sua vicenda privata: le nozze con Maria Tudor, detta Bloody Mary, diventano l’occasione, per l’autore, per individuare delle similarità tra se stesso e il monarca. Nel trasferimento di quest’ultimo in Inghilterra e nelle difficoltà incontrate nel farsi accettare dal popolo inglese, Cernuda ravvisa la sua esperienza di esule fuori dai confini spagnoli. Una differenza sostanziale, tuttavia, c’è. Filippo II, infatti, soggiorna lontano dalla sua patria solo per un breve periodo di tempo: poco dopo le nozze, infatti, il re abbandona la moglie per fare ritorno in Spagna, diversamente da Cernuda, il quale non si volterà mai - almeno fisicamente - indietro. Ecco che quindi Filippo II può considerarsi un alter ego a metà di Luis Cernuda (cfr. C. B. Aguinaga, “Ecos del discurso de la hispanidad en poetas del exilio: el caso de Cernuda”, in El exilio literario español...,

101

fanno apparire ai suoi occhi come una “madrastra avariciosa” che esige “el sudor, la sangre, el semen / A cambio del olvido y del destierro”320 - come si legge in “Río vespertino” (PROSA 336), contenuta in Como quien espera el

alba -, “Luis Cernuda fue tremendamente español y amó su tierra”321. Ciò è dimostrato dal fatto che, come fa notare Sebaastian Faber, “de los casi 170 poemas que forman los cinco últimos libros de Cernuda, unos 35 tratan de España”322, non solo, però, in maniera celebrativa, ma anche con occhio critico. Questo atteggiamento di amore-odio di Cernuda appare perfettamente in linea con la corrente di pensiero - nella quale rientrano, tra gli altri, Aurora de Albornoz e José Luis Aranguren - secondo la quale l’esperienza dell’esilio è scandita, cronologicamente, da due momenti: il primo, immediatamente posteriore all’abbandono della patria e dominato da un pessimismo generale e da un astio diffuso nei suoi confronti, il secondo, invece, più riflessivo, in cui subentra, all’angoscia, la serenità e la nostalgia per la Spagna, man mano che il tempo di soggiorno all’estero si prolunga sempre di più323. Paradossalmente, però, è nei componimenti dal tono nostalgico ed elegiaco, come “Tierra nativa” (PROSA 289), “Hacia la tierra” (PROSA 325), “Elegía anticipada” (PROSA 322), che trova luogo l’idea secondo cui è proprio la distanza e la separazione a favorire la comunicazione e a permettere il ricordo, caricando l’esilio, quindi, di una valenza positiva e costruttiva. Per Cernuda, la distanza e il cambiamento permettono all’esule di “no sólo conocerse a sí mismo, sino también a todo aquello que le determina y le forma en su ser vivo individual, o sea, sus gentes y su tierra, su lengua y su historia” 324 . Cernuda affida al componimento “El ruiseñor sobre la piedra” (PROSA 272), di Las nubes, la sfumatura istruttiva dell’esilio:

320 “Río vespertino” (PROSA 336, rispettivamente ai versi 44 e 45-46). 321 Ibidem, pp. 114-115.

322 S. Faber, “El norte nos devora: La construcción de un espacio hispánico en el exilio

anglosajón de Luis Cernuda”, in Hispania, 83.4, 2000, pp. 733-744, p. 735.

323 Cfr. P.A. Gatica Cote, “La visión de España..., op. cit., pp. 1-2.

102

Mucho enseña el destierro de nuestra propia tierra. ¿Qué saben de ella quienes la gobiernan?

¿Quiénes obtienen de ella

Fácil vivir con un social renombre? De ella también somos los hijos Oscuros. Como el mar, no mira

Qué aguas son las que van perdidas a sus aguas,

Y el cuerpo, que es la tierra, clama por su tierra. (vv. 17-24)

Cernuda giunge a ricusare l’idea di un vero e proprio destierro, preferendo impiegare il termine “alejamiento”, nel quale ravvisa non esclusivamente un annullamento totale di sé e della sua arte, ma anche un modo per riaffermare la propria identità di spagnolo autentico e raggiungere una piena autonomia. Ma, alla luce di quanto detto sino ad ora, è difficile credere che Cernuda non si sentisse un vero desterrado: chissà, allora, se anche questo non sia semplicemente un modo per combattere il tedio e la desolazione dei giorni trascorsi in terra straniera. In ogni caso, ecco cosa scrive nel 1946:

Hace unos ocho años que dejé España, y la experiencia principal de esos años ha sido para mí, precisamente, el alejamiento de mi propia tierra. Digo alejamiento, y no empleo la hermosa palabra destierro,