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La crisi spirituale e il ruolo della religione

Le opere poetiche composte tra il 1938 e il 1947, ovverosia gli anni dell’esilio inglese, comprendono una serie di componimenti impregnati di un tono cupo e pessimista e attraversati da una vena estremamente disincantata, dal momento che alludono ad un periodo nel quale l’esistenza dell’autore appare “solitaria, carente de emociones y hechos sobresalientes”268. Il “bitter sense of disorientation”269, che emerge chiaramente in Las nubes, Como quien espera el alba, Vivir sin estar

viviendo - e di cui la Guerra Civile, in primis, e l’esilio, poi, sono all’origine

-, causa in Cernuda una profonda ed estenuate crisi interiore e spirituale, tale da indurlo a prospettare davanti a sé un “destino inútil”270:

En el exilio Cernuda debe enfrentarse con los abismos reales de la vulnerabilidad del desterrado y reconocer un peligro que no había divisado antes: la falta de trascendencia de su propia existencia271.

La solitudine e l’afflizione alla quale l’ambiente inglese lo abitua sfociano nella perdita di fiducia dell’autore nei confronti dei suoi simili e nella presa di coscienza che qualsiasi tentativo di riconciliarsi con essi è destinato a fallire, come dimostra il pensiero affidato ai versi di “A un poeta futuro” (PROSA 301): “No conozco a los hombres. Años llevo / De

267 J. Alfredo Bellón Cazaban, “La poesía de Luis...”, op. cit., p. 37.

268 M. Paz Moreno, “Luis Cernuda en su exilio: hacia una poética del periplo cernudiano”,

in Sin Frontera, Revista académica y literaria, anno V, n. 5, 2011, pp. 1-27, p. 20 [https://ufsinfronteradotcom.wordpress.com/academico/, ultima consultazione il 14-05- 2018].

269 N. C. McKinlay, The poetry of Luis…, op. cit., p. 44. 270 D. Harris, Luis Cernuda. A Study…, op. cit., p. 152.

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buscarles y huirles sin remedio” (vv.1-2). Questa parvenza di misantropia si aggiunge alla innata “ontological insecurity” 272 dell’autore, ora particolarmente manifesta a causa del desengaño che il caos nel quale è precipitato il suo mondo gli suscita. Cernuda avverte dentro di sé un “vacío inexplicable”273, e proprio la presenza di questo vuoto, che non coincide con “la ausencia de nada o de nadie”274, ma con una più grande mancanza a livello spirituale, ne causa la sofferenza e lo porta alla conclusione pessimista che “nada se pierde porque no tenemos nada que perder” 275. Ma, per dirla con le parole di Juventino Caminero, è proprio questo “nihilismo ético-metafísico y escepticismo existencial”, relativo all’atteggiamento sconsolato di Cernuda verso la vita, a spingere l’autore a ricorrere a diversi espedienti per cercare di esorcizzare i “propios fantasmas interiores”276. Cernuda individua nella creazione letteraria e, più in particolare, nella rievocazione ed elaborazione di miti e varie idealizzazioni (come quella sulla Spagna, che affronteremo più avanti) gli “ideales para su alma deshabitada”277e lo strumento per sottrarsi alla enigmaticità del “mundo fragmentario”278 e a quel “sentimento ab initio de separación y alienación [...] añoranza y nostalgia”279, che lo accompagna da sempre. I vari componimenti ascrivibili al periodo posteriore al 1936, infatti, testimoniano il duplice atteggiamento - di rassegnazione e di reazione - di Cernuda: se, infatti, da un lato, essi manifestano la “inadaptación”280 al mondo esterno e il perenne senso di dislocazione281 cucito sulla pelle dell’autore, dall’altro, accolgono il progetto di quest’ultimo di ritrovare il baricentro di un equilibrio che sembra ormai essere andato perduto. “El intruso”, tratto da

272 N. C. McKinlay, The poetry of Luis…, op. cit., p. 38. 273 D. Harris, Luis Cernuda. A Study…, op. cit., p. 207. 274 Ivi.

275 P. Silver, “Cernuda, poeta...”, op. cit., p. 207.

276 J. Caminero, “Pesimismo radical en...”, op. cit., p. 179. 277 Ivi.

278 “Río vespertino” (PROSA 336, v. 21). 279 P. Silver, “Cernuda, poeta...”, op. cit., p. 207.

280 D. Martínez, “Luis Cernuda, poeta existencial”, in Revista de la Universidad Nacional

de Córdoba, 5, 1964, pp. 144-170, p. 162.

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Vivir sin estar viviendo, è un esempio lampante di tale “complex web where

conflicting attitudes are often juxtaposed”, per dirla con le parole di Neil C. McKinlay282: il poeta, nel rivolgersi al tú interlocutore, nonché suo alter

ego, gli manifesta l’intento di ricostruire “el centro” della sua identità

“desacordada”; ma, proprio la presenza di questo tú, l’intruso del titolo, che funge da “extraneous and irrelevant being”, come lo definisce J. Alexander Coleman, occupando il suo corpo, ne risucchia le energie283e gli impedisce di portare a compimento il suo proposito, rammentandogli il carattere inconsistente della sua esistenza:

Como si equivocara el tiempo Su trama de los días,

¿Vives acaso los de otro?, Extrañas ya la vida.

Lejos de ti, de la conciencia Desacordada, el centro Buscas afuera, entre las cosas Presentes un momento (vv. 1-8) […]

Hoy este intruso eres tú mismo, Tú, como el otro antes,

Y con el cual sin gusto inicias Costumbre a que se allane.

Para llegar al que no eres, Quien no eres te guía,

Cuando el amigo es el extraño Y la rosa es la espina (vv. 17-24)

Anche in “Las ruinas” (PROSA 282), di Como quien espera el alba, accanto a frasi come “Delirio de la luz” (v. 55) e “Todo lo que es hermoso

282 Ibidem, p. 47.

283 J. Alexander Coleman, Other voices: A study of the late poetry of Luis Cernuda, Chapel

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tiene su instante, y pasa” (v. 57), reiteranti lo smarrimento dell’artista e la caducità della vita, compare un sottile spiraglio di speranza e ottimismo, suggerito dall’uso di aggettivi, come “sereno” (v. 55) e “hermoso” (v. 56), che riflettono la volontà di Cernuda di superare la desolazione presente e di ignorare “the death, to seize the day and recognise beauty for what it is”284. Sulla base della propria esperienza personale, Cernuda percepisce il mondo come un caos metafisico - specchio del suo caos esistenziale - e come la frantumazione di un ordine che neppure la fede è in grado di ripristinare. I numerosi componimenti a sfondo teologico, infatti, distribuiti in tutta la produzione poetica cernudiana, invece che veicolare un messaggio di speranza, enfatizzano il senso di solitudine al quale l’uomo viene abbandonato, persino da Dio. Queste liriche accolgono il dilemma interiore dell’autore, nel quale l’immagine biblica di Dio evoca ora una fede solida e certa, ora il dubbio circa la sua esistenza. La tradizione pagana e le figure degli antichi dei che popolano le raccolte poetiche della prima fase lasciano ora il passo al nascente interesse per la cristianità e alla sola presenza di un Dio che, a volte, sembra distante e indifferente, altre volte, misericordioso e compassionevole. A tal proposito, Derek Harris, nel suo studio sulla poesia cernudiana, sostiene - anche sulla base dei ricordi di Cernuda di letture di passi della Bibbia, la sera prima di addormentarsi, a Glasgow e a Cambridge - che l’incontro con la cristianità risale ai primi anni dell’esilio e risponderebbe, quindi, al bisogno del poeta di combattere lo stress indotto dalla sua nuova vita inglese285. Las nubes è senza dubbio l’opera che raccoglie le più famose liriche a stampo teologico, a partire da “La visita de Dios” (PROSA 227): scritta a Londra alla fine del 1938, in essa compare il primo richiamo diretto al Padre Celeste. Essendo trascorsi solo pochi mesi dal suo arrivo in Inghilterra e non riuscendo ad amalgamarsi ancora al popolo britannico e alla sua cultura, Cernuda cerca in Dio la consolazione:

284 N. C. McKinlay, The poetry of Luis…, op. cit., p. 76. 285 D. Harris, Luis Cernuda. A Study…, op. cit., p. 81.

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Como el labrador al ver su trabajo perdido Vuelve al cielo los ojos esperando la lluvia, También quiero esperar en esta hora confusa

Unas lágrimas divinas que aviven mi cosecha (vv. 6-9).

Tuttavia, la richiesta del poeta rimane inascoltata: anzi, sentendosi alla “mitad de mi vida” (v. 1) e “sin tierra e sin amigo” (v. 38), egli avverte la solitudine e il senso di abbandono anche da parte di Dio, dipingendolo, quindi, come insensibile e persino indifferente ai problemi dell’uomo:

Pero a ti, Dios, ¿con qué te aplacaremos? Mi sed eras tú, tú fuiste mi amor perdido,

mi casa rota, mi vida trabajada, y la casa y la vida de tantos hombres como yo a la deriva

en el naufragio de un país. Levantados de naipes, uno tras otro iban cayendo mis pobres paraísos. ¿Movió tu mano el aire que fuera derribándolos

y tras ellos en el profundo abatimiento, en el hondo vacío,

se alza al fin ante mí la nube que oculta tu presencia? (vv. 57- 65)

Il tentativo fallito di cercare nella spiritualità la felicità umana conduce Cernuda a rimediarne sprazzi nella dimensione materiale di una cattedrale: in “Atardecer en la catedral” (PROSA 236), vagando nella notte, il poeta entra in una chiesa e avverte “la presencia de un poder misterioso” (v. 55) capace di placare qualsiasi ansia e preoccupazione umana e di infondere speranza nell’uomo:

Aquí encuentran la paz los hombres vivos, paz de los odios, paz de los amores, olvido dulce y largo, donde el cuerpo fatigado se baña en las tinieblas (vv. 27-30). [...]

No hay lucha ni temor, no hay pena ni deseo. Todo queda aceptado hasta la muerte

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libres del cuerpo, y adorando,

necesidad del alma exenta de deleite (vv. 41-45).

Anche nella poesia dal titolo “Cordura” (PROSA 239), pur comparendo ancora il tono nostalgico per le “alegrías pasadas” (v. 14), la presenza di Dio tra gli uomini è nettamente confermata dalla grazia e dalla bontà che Egli riversa sulle sue creature, con cui è in comunione:

Allá, sobre la lluvia, Donde anidan estrellas, Dios por su cielo mira Dulces rincones grises. Todo ha sido creado, Como yo, de la sombra: Esta tierra a mí ajena, Estos cuerpos ajenos. Un sueño, que conmigo Él puso para siempre, Me aísla Así está el chopo

Entre encinas robustas (vv. 29-40).

Qui l’Assoluto al quale anela affannosamente Cernuda è Dio. La divinità cristiana giunge ad incarnare l’alba di una vita completamente nuova, in perfetta armonia con il mondo circostante e la natura. Affidarsi a Dio significa, per il poeta, non sentire più su di sé l’ombra della solitudine e della malinconia, ma vivere nella pura gioia e conoscere il vero amore. La cristianità gli si offre anche come la soluzione contro la minaccia dello scorrere del tempo e contro la morte, poiché l’uomo, impuro, egoista e peccatore, nell’abbracciare la croce, simbolo della Risurrezione, riceve la salvezza. In realtà, la vera salvezza è ancora molto lontana dall’essere raggiunta: se consideriamo “Lázaro” (PROSA 246), riscrittura del noto episodio biblico del personaggio riportato in vita da Gesù - nonché uno

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degli esempi più riusciti di monólogo dramático -, la risurrezione, invece che esprimere la gioia della rinascita, presentando l’uomo come colui che ha ricevuto un miracolo, rappresenta la sua disperazione per essere tornato nel mondo terrestre. Attraverso Lazzaro, è evidente, Cernuda manifesta il suo rammarico per il fatto di sentirsi “un muerto / Andando entre los muertos” (vv. 96-97) e, avvertendo “el error de estar vivo” (v. 75), cerca disperatamente in Dio la forza necessaria “para llevar la vida nuevamente” (v. 107).

La conclusione della poesia, tuttavia, stride con il resto del testo, perché negli ultimi versi Lazzaro muta il suo atteggiamento manifestando direttamente a Cristo il suo desiderio di impegnarsi “por una verdad” (v. 111). Paradossalmente, oltre allo scetticismo nei confronti di un ordine trascendente - cosa che comporta varie conseguenze286-, emerge un autentico e sincero bisogno di credere all’esistenza di un’entità soprannaturale, che guidi l’uomo verso l’assoluto. D’altra parte, l’argomento religioso, in tutta La realidad y el deseo, non è “single, logical, cohesive”287, nel senso che non persegue la sola strada dell’accettazione o del rifiuto, bensì fede e speranza si mescolano a dubbio e scetticismo. Un esempio di questa altalenante visione appare in “La adoración de los Magos” (PROSA 255), definita da Derek Harris “an allegory of the search for faith and of the failure to find it”288. Il componimento presenta ben cinque sezioni: Vigilia, Los Reyes, Palinodia de la esperanza divina, Sobre

el tiempo pasado e Epitafio. L’apertura del testo è affidata a Melchiorre, il

più saggio dei Magi, il quale, affascinato dalla “profética estrella” (v. 10-11) incarnazione della “verdad divina” (v. 15), convince i compagni Gaspare e Baldassarre a incamminarsi dietro di essa, fiducioso di incontrare il Salvatore del mondo. Ma, l’avere trovato solo “una mujer y un viejo” (v.

286 McKinlay individua tali conseguenze in “a world which makes no sense, alienation and

the chaos of existence, Angst, the problem of identity, the problems of interpersonal relationships” (cfr. N. C. McKinlay, The poetry of Luis…, op. cit., p. 43).

287 Ibidem, p. 47.

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138) e un infante, debole e umano e, perciò, soggetto anch’egli ad un inevitabile destino crudele, provoca un sentimento di delusione che estingue la speranza dei Magi, che è al tempo stesso la speranza del poeta. Ciascuno dei tre monologhi presentati è funzionale a rappresentare la lotta interiore dell’autore: non è difficile, in effetti, intravedere, nei tre personaggi, aspetti differenti della peculiare personalità di Cernuda. Lo studioso Jenaro Talens individua in essi tre parti distinte e complementari dell’interiorità di un unico personaggio identificabile con l’autore, appunto: Melchiorre, stanco ma determinato, rappresenta la “religiosidad idealista” e non indugia un solo secondo a partire, perché mosso dal desiderio di recuperare l’Eden perduto e vincere la morte; al contrario, Gaspare incarna l’“hedonismo” e Baldassarre “el escepticismo”, mostrandosi molto meno convinti di abbandonare tutto ciò che possiedono e intraprendere un viaggio attraverso il deserto, in terre popolate da sciacalli, per seguire una “estrella incierta” (v. 64)289. Ancora una volta, i lati contrastanti del carattere dell’autore emergono per poi fondersi nella decisione di lasciarsi guidare dalla scia luminosa, salvo poi scontrarsi con una realtà diversa da quella che avevano immaginato.

Trovare la fede in Dio non si configura esclusivamente come una esperienza egocentrica, ma è anche la chiave per migliorare le relazioni interpersonali. Tuttavia, come sostiene Neil C. McKinlay, essendo il Dio rappresentato da Cernuda non quello tradizionale, ma piuttosto l’immagine sul quale l’uomo proietta i propri desideri e sentimenti, quest’ultimo è destinato a rimanere solo nell’universo290. Infranta, quindi, anche la possibilità di trovare nella fede una forma di consolazione, Cernuda abbandona gradualmente il sogno di trovare quello che McKinlay definisce un “metaphysical, supra-human order”, in favore di una “more general search for order and meaning in life”:

289 Cfr. J. Talens, El espacio y las máscaras..., op. cit., pp. 103-104. 290 Neil C. McKinlay, The poetry of Luis…, op. cit., pp. 59-60.

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The persona now seeks a permanence within the temporal sphere as opposed to a permanent force which has authority and power over the temporal sphere. It is an expression of independence, of a desire to go forward on his own, for he can see a relevance and significance in individual moments and thus focus on the details of life rather than have to grapple with the major questions of universal import291.

È interessante riportare, da questo punto di vista, il pensiero di Derek Harris relativamente all’importanza che la sfera religiosa ricopre nella poetica cernudiana. Anche tenendo conto della conclusione alla quale il poeta sivigliano giunge, ovverosia che Dio non esiste - come sostiene nella nona stanza di “Las ruinas” (PROSA 282)292 -, lo studioso si esprime così:

Christianity offers him the vision of a supernatural hidden garden where all is harmony. But he turns to God only as a last resort. Some Spanish critics have tended to emphasise the religious poems of Las nubes, and the view has even been expressed that the cult of the ancient gods indicates a represses Christian faith. Yet, as Octavio Paz has pointed out, Cernuda is a completely unchristian writer since he lacks a sense of sin. […] This recognition of God’s impassivity means in effect that man must seek solace in himself, which is what Cernuda proceeds to do in the poems of his exile293.

Secondo Harris è dentro di sé, e in ciò in cui crede, che Cernuda, e l’uomo in generale, deve indagare e cercare le risposte ai quesiti esistenziali che si pone. È per questo che Cernuda sembra cogliere nel fascino che l’amore e l’arte esercitano su di lui la soluzione alternativa alla ricostituzione dell’antico paraíso perdido. Sfortunatamente, però, la maggior parte delle prove messe in atto da Cernuda sembrano avere risvolti sfavorevoli: il desiderio di ristabilire l’ordine assoluto precedente si ritrova, infatti, ad essere costantemente ostacolato da illimitate esperienze disastrose

291 Ibidem, p. 76.

292 In “Las ruinas” (PROSA 282), rivolgendosi a Dio, Cernuda dice: “Mas tú no existes.

Eres tan sólo el nombre / Que da el hombre a su miedo y su impotencia” (vv. 51-52).

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e dalla crudeltà della realtà che fa apparire il mondo un luogo ostile e pericoloso e l’uomo un essere ancora più solo e disilluso.