• Non ci sono risultati.

RACCONTARE L'ESILIO IN VERSI: IL CERNUDA DELLA MATURITA'

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "RACCONTARE L'ESILIO IN VERSI: IL CERNUDA DELLA MATURITA'"

Copied!
154
0
0

Testo completo

(1)

1

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LETTERATURE E

FILOLOGIE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Raccontare l’esilio in versi: il Cernuda della maturità

CANDIDATO RELATORE

Ilaria Longo Chiar.ma Prof.ssa Federica Cappelli

(2)

2

Ai miei genitori, al loro amore incondizionato e all’ instancabile spirito di sacrificio.

A mia sorella Priscilla, unica e speciale. A chi porto nel cuore e a chi ha un posto per me nel suo,

(3)

3 L’esilio

L’esilio è rotondo: un cerchio, un anello:

i tuoi piedi lo girano, attraversi la terra, non è la tua terra,

ti sveglia la luce, e non è la tua luce, la notte giunge: mancano le tue stelle, trovi fratelli: ma non è il tuo sangue. Sei come un fantasma che si vergogna

di non amare di più quelli che t’amano tanto, e ancora è così strano che ti manchino le spine ostili della tua patria,

il roco abbandono del tuo popolo, le amare cose che ti attendono e che ti latreranno dalla porta.

(4)

4 INDICE

Introduzione ... 6

Capitolo primo - L’esilio, l’intellettuale e la letteratura desterrada 1.1 Il dopoguerra spagnolo: la diaspora repubblicana e la cultura dell’esilio ... 10

1.2 L’intellettuale esule e la scrittura autobiografica: recupero della propria identità ... 22

1.3 La letteratura in verso del dopoguerra civile: la poesía del interior e la poesía del exterior ... 28

Capitolo secondo - Luis Cernuda e l’esilio come metafora della vita 2.1 Cenni biografici ... 37

2.2 Cernuda e la Generación del 27 ... 39

2.3 La parentesi inglese: la poesia romantica e meditativa di Cernuda .... 44

2.4 L’opera cernudiana: Cernuda tra exilio interior e exterior ... 50

Capitolo terzo - Cernuda e la scrittura poetica dell’esilio 3.1 Introduzione alle opere della maturità ... 59

3.2 Il ruolo della poesia ... 63

3.3 Las nubes: poesía objetiva e responsabilità etica ... 70

3.4 Como quien espera el alba, Vivir sin estar viviendo, Con las horas contadas ... 78

3.5. La crisi spirituale e il ruolo della religione ... 84

3.6 Cernuda e la Spagna ... 93

3.7 Desolación de la quimera: l’autobiografia riassuntiva ... 105

3.7.1 La Spagna e l’impossibilità del ritorno ... 109

3.7.2 L’arte e il culturalismo come via di salvezza ... 114

Capitolo quarto - Cernuda e il poema en prosa 4.1 Il poema en prosa in Spagna... 119

(5)

5

4.2 Il poema en prosa cernudiano: Ocnos e Variaciones sobre tema

mexicano ... 121

4.2.1 Ocnos: Albanio, il Paraíso e la Caída ... 122

4.2.2 Variaciones sobre tema mexicano: l’amore e l’etica della felicità ... ..131

Conclusioni ... 137

Bibliografia ... 140

Ringraziamenti ... 153

(6)

6

Introduzione

L’esilio repubblicano ha rappresentato una delle pagine più drammatiche della storia della Spagna moderna. La Guerra Civile, prima, e l’insediamento della dittatura franchista poi, sono stati all’origine di un’ondata migratoria di migliaia di spagnoli verso paesi limitrofi e d’oltreoceano, in fuga dalla ferrea repressione e dalla censura in vigore in patria. Tra le tante anime desterradas si è registrata anche una nutrita rosa di intellettuali e artisti, la cui partenza ha generato notevoli conseguenze, a livello culturale, dentro e fuori la Spagna. Se, infatti, il quadro delle lettere in patria subì un forte ridimensionamento, fuori dai confini spagnoli l’attività letteraria non si arrestò, anzi conobbe una fortunata fioritura sotto molteplici punti di vista. L’ingente proliferazione di opere in prosa e in verso, le quali rispecchiano l’esperienza personale degli autori, è stata classificata sotto l’etichetta di “letteratura dell’esilio”, la cui inclusione all’interno del canone letterario spagnolo è ancora oggi oggetto di accesi dibattiti.

Il presente lavoro si propone di analizzare la scrittura poetica di una delle innumerevoli voci letterarie dall’esilio repubblicano, il sivigliano Luis Cernuda. Oggetto dell’analisi è, in particolare, la poesia degli anni maturi dell’autore, ossia quelli trascorsi, appunto, in esilio. Prima di inoltrarci nel vivo dell’opera cernudiana, si impone di inquadrare l’uomo e l’artista all’interno della cornice storica che fa da sfondo alla sua esistenza. Dopo una breve panoramica sulla situazione in cui si ritrovò la Spagna all’indomani della Guerra Civile e sulle dinamiche che furono la causa della diaspora, il primo capitolo dedica ampio spazio alla figura dell’esule, focalizzando l’attenzione sugli svariati ostacoli che resero lunga e difficile la sua integrazione nella società del paese ospitante, e su ciò che l’allontanamento forzato dalla patria significò, sia a livello psicologico che

(7)

7

materiale, per questi. Oltre agli sforzi compiuti per tentare di adattarsi ad una realtà nuova, l’esule si ritrovò a dover intraprendere un viaggio interiore e spirituale, volto a riconquistare l’identità della quale sentì di essere stato defraudato dal corso degli eventi. La scrittura, in particolare quella autobiografica, gli si offrì come antidoto alla sofferenza e alla solitudine: affidare alla pagina la testimonianza della personale vicenda esistenziale diventa un modo per affermare sé stessi e al tempo stesso garantire la sopravvivenza della propria arte.

Il capitolo secondo è interamente dedicato alla presentazione della figura di Luis Cernuda. Dopo avere declinato gli aspetti più salienti della sua biografia, ci inoltreremo in un excursus sulle principali inclinazioni e scelte letterarie dell’autore: dall’influenza della scrittura surrealista all’adesione alla nota Generación del 27, sino all’avvicinamento alla corrente romantica, con la quale entra in contatto durante il soggiorno in Gran Bretagna. L’incontro con l’ambiente culturale inglese risulterà fondamentale per il processo evolutivo della sua poesia: da questo momento, infatti, anche grazie alla tecnica del monólogo drámatico, la meditazione e la riflessione sul senso della vita e sulla condizione dell’uomo diventano la cifra distintiva della sua produzione letteraria, ora più che mai profondamente aderente alla realtà. Analizzare l’opera cernudiana posteriore al 1936 significa, infatti, arrivare a conoscere la biografia di Cernuda, dal momento che è proprio questa ad ispirare la scrittura poetica dell’autore. Si potrebbe dire, quindi, che anche senza approfondite nozioni riguardo alla vicenda di Cernuda, è possibile risalire agli eventi principali che hanno scandito la sua esistenza dalla semplice lettura delle sue poesie.

Nel capitolo terzo ci concentreremo sulla scrittura poetica dell’esilio ed esamineremo, quindi, le principali opere elaborate durante i vari trasferimenti in Gran Bretagna, Stati Uniti e Messico: ossia Las Nubes,

(8)

8

Como quien espera el alba, Vivir sin estar viviendo, Con las horas contadas

e Desolación de la quimera.

Tutta la produzione desterrada - dalla prima opera, datata 1937, all’ultima, del 1962 - accoglie il duplice e ambivalente atteggiamento che Cernuda assume nell’affrontare il dramma dell’esilio: da un lato, infatti, esse, come uno specchio, riflettono la tragica realtà che vive l’autore - solitudine, mancanza di un pubblico fedele, marginalizzazione -, dall’altro, si prestano ad ospitare il desiderio utopistico di Cernuda di evadere da un mondo del quale non si è mai sentito parte. Per questo motivo riecheggiano, sovente, numerosi simboli ed immagini propri della sfera religiosa e della dimensione mitica. Altrettanto ambivalenti e contrastanti sono i sentimenti che l’autore nutre e manifesta nei confronti della Spagna: come risulterà evidente dalle liriche incentrate su tale tematica, il distacco dalla terra natale provoca in Cernuda ora nostalgia e amore, ora disprezzo e odio. L’esilio, d’altronde, oltre a rappresentare il momento di separazione tra un prima e un dopo poetico, ha avuto notevoli e profonde ripercussioni anche a livello psicologico: oltre alla perdita della propria terra, l’esule si vede sottratta la possibilità di coltivare i suoi affetti e sperimenta la solitudine esistenziale. Contro l’eventualità di una possibile alienazione, l’autore scopre nella scrittura e nell’arte una forma di terapia e di salvezza. Ad essa egli affida la sua biografia, trasformando in materia di canto la sua personale vicenda.

Il capitolo quarto, quello conclusivo, sarà invece dedicato a due opere ascrivibili al poema en prosa, genere letterario meno praticato dal nostro autore, ma pur sempre essenziale ai fini di una comprensione approfondita della sua poetica. In Ocnos e Variaciones sobre tema mexicano si ripercorrono, infatti, le stesse linee tematiche della produzione propriamente in verso. Dopo un breve excursus sulla storia del poema en prosa, considereremo singolarmente le due opere, mettendo in evidenza gli

(9)

9

espedienti usati dall’autore per non sprofondare nel baratro dell’angoscia, ma anzi fronteggiare la piaga dell’esilio.

(10)

10

CAPITOLO PRIMO

L’esilio, l’intellettuale e la letteratura desterrada

1.1 Il dopoguerra spagnolo: la diaspora repubblicana e la cultura dell’esilio

La fine della Guerra Civile (1936-1939), che aveva imperversato sanguinosa per tre lunghi anni, coincise con l’inizio di una infelice era per la Spagna, contrassegnata, tra l’altro, dall’esodo di una folta schiera di letterati e persone di ogni professione ed estrazione sociale verso nuove destinazioni, per sottrarsi al feroce clima di repressione messo in atto dal regime franchista. La disfatta del fronte repubblicano da parte delle truppe del

Caudillo concorse, infatti, a spegnere le ultime, oramai labili, speranze di

vedere trionfare quei valori e quegli ideali di libertà e democrazia che soltanto pochi anni prima avevano portato alla proclamazione della Seconda Repubblica1.

Di fronte alla certezza di un presente limitante e soffocante, mezzo milione di spagnoli preferì la via dell’esilio, consapevole di andare incontro ad un destino ignoto, ma, almeno, di avere salva la vita. Chi invece rimaneva doveva adeguarsi al nuovo sistema. Diversamente, incorreva in ogni sorta di persecuzione: violenze, soprusi, sequestri e carcerazioni si moltiplicarono esponenzialmente nell’immediato dopoguerra e per oltre trent’anni costituirono il principale modus operandi di un governo che, giorno dopo giorno, assumeva una deriva sempre più autarchica. L’ingente

1 A distanza di poco meno di sessant’anni dalla Prima Repubblica (1873), la Spagna si

trovò nuovamente a vivere un periodo di democrazia: la partenza del re Alfonso XIII, avvenuta il 14 aprile 1931, verso l’Italia, dove trascorse l’esilio, portò alla instaurazione della Seconda Repubblica, che ebbe decisamente vita più lunga rispetto ai dieci mesi della Prima (per tutti i riferimenti relativi al periodo storico considerato si veda A. Beevor, La

guerra civile spagnola, trad. it. E. Peru, Milano, Rizzoli, 2006, ed. orig. The battle for Spain: The Spanish Civil War, 1936-39, London, Weidenfeld & Nicolson, 2006).

(11)

11

mobilitazione di una consistente fetta di popolazione - già iniziata, in realtà, durante la guerra fratricida - concorse, non poco, a mutare la fisionomia culturale ed economica del Paese, dal momento che, la partenza di “intelectuales, [...] personas más humildes, obreros y labradores”2 significò la perdita di illustri intelletti e forza lavoro che finirono per contribuire allo sviluppo e al potenziamento delle stesse realtà fuori dai confini spagnoli, laddove decidevano di stabilirsi. La Spagna si trovava, così, a indossare al tempo stesso la duplice veste di carnefice e di vittima.

Nell’inverno del 1939, all’indomani della caduta di Barcellona e della marcia su Madrid, oltre 400.000 spagnoli oltrepassarono la frontiera franco-spagnola dando luogo alla cosiddetta España peregrina3, nella quale confluì quella “generazione dell’esilio”, di cui una buona parte era costituita da un folto drappello di artisti e di intellettuali spinti a cercare altrove quella libertà di espressione e di scrittura che il dirigismo culturale in atto in patria aveva loro negato. A definire l’omogeneità di questo gruppo era l’esperienza condivisa dell’allontanamento - forzato o resosi necessario dalla tragica piega che gli eventi avevano preso - e la sensazione di sradicamento dal suolo natio. Ciò fece scaturire ben presto negli animi dei suoi componenti sentimenti contrastanti di nostalgia e di odio verso la madrepatria, che li accompagnò costantemente lungo tutto il corso della loro esistenza e che ispirò alcune delle più grandi produzioni letterarie degli “autori dell’esilio”.

La speranza di trovare un po’ di pace e l’opportunità di una vita migliore, fuori dai confini spagnoli, si scontrò presto con la cruda realtà: la

2F. Ferrándiz Alborz, “¿Qué será de España?”, in España Republicana, Buenos Aires, 30

de agosto de 1957, apud F. Caudet, “Dialogizar el exilio”, in El exilio literario español de

1939. Actas del Primer Congreso Internacional (Bellaterra, 27 de noviembre-1 de diciembre de 1995), Volumen I, ed. de M. Aznar Soler, Barcelona, Associació

d’Idees-GEXEL, 1998, pp. 31-56, pp. 31-32.

3Nome di una rivista nata nel febbraio 1940 su iniziativa di un gruppo di intellettuali

spagnoli esiliati in Messico. Fondata da José Bergamín, la rivista accolse, tra gli altri, il pensiero di autori come Juan Vicens, José Garner, Juan Larrea e Francisco Giner de los Ríos (cfr. A. Tissera, “La España peregrina”, in Tabanque, n. 12-13, 1997-1998, pp. 219-230).

(12)

12

Francia, già meta di diverse ondate migratorie iniziate allo scoppio della Guerra Civile, fronteggiò la retirada4 allestendo veri e propri campi di concentramento, caserme e carceri, in cui persone di ogni età e genere erano costrette a vivere in condizioni disumane e in ambienti tutt’altro che salubri. A conferma della traumatica esperienza della prigionia francese - che lasciò tracce indelebili nel corpo e nello spirito degli esuli spagnoli - basti considerare che un intero blocco di quella che è conosciuta come “letteratura dell’esilio”, ossia quella nutrita compagine di opere sorte in seguito alla diaspora, comprende una notevole quantità di testimonianze al riguardo. È sufficiente la laconica, ma al tempo stesso agghiacciante, espressione ex-hombres5, formulata da Max Aub, a rendere l’idea di quanto sconvolgente e alienante possa essere stata l’esperienza dell’internamento, da lui vissuta in prima persona. Aub, tra le principali voci dall’esilio, nonché paradigma della moderna narrativa letteraria spagnola, in particolare, condanna l’atteggiamento miope dei francesi, che preferirono “cerrar los ojos”6 di fronte al susseguirsi degli eventi, piuttosto che offrire un concreto aiuto agli esuli, rendendosi così corresponsabili dell’aggravarsi della loro già difficile condizione e costringendone molti a orientare la propria rotta verso nuove destinazioni.

Al di là dell’oceano, Messico e Argentina furono i primi a mostrare solidarietà verso la causa repubblicana, aprendo le porte a quanti, in virtù di affinità climatiche, culturali e linguistiche, avevano scelto l’America Latina come suolo dove tentare di ricostruirsi una vita o di soggiornare, in attesa, fiduciosi, della caduta della dittatura franchista. La lungimiranza di questi

4 Con tale espressione è conosciuta la migrazione di massa avvenuta tra il gennaio e il

febbraio del 1939.

5 M. Aub, Diario de Djelfa (Obras incompletas), México, Editorial Joaquín Mortiz, 2 ed.,

1970, p. 25. L’espressione compare in una poesia datata 3 gennaio 1942 e scritta nel campo di internamento di Djelfa, in Algeria, dove Aub fu deportato nel 1941. Lì rimase sino al maggio 1942 quando, una volta raggiunta Casablanca, riuscì a imbarcarsi alla volta di Veracruz, in Messico.

6 L’espressione fa parte del titolo di un’opera teatrale di Max Aub in due atti, scritta nel

(13)

13

governi stranieri nell’intravedere gli enormi benefici che l’arrivo degli esuli spagnoli sul proprio suolo avrebbe comportato fu, infatti, all’origine di una politica di accoglienza - almeno all’apparenza - flessibile e morbida. Certo non mancarono episodi di xenofobia da parte della popolazione ospitante nei confronti di coloro che erano considerati ancora il retaggio degli antichi

conquistadores. Ostilità e atti di intolleranza nei confronti dell’esule, che

incarnava in sé tutti gli stereotipi esistenti sulla figura dello straniero, si verificavano quotidianamente, rendendo difficile e lenta la sua integrazione nella nuova realtà sociale e culturale. Tuttavia, nonostante le numerose “miradas lejanas” e la “indiferencia inquisitiva”7 di cui divennero bersaglio, l’adattamento - o almeno il tentativo di adattarsi - era una sfida che gli esuli erano chiamati a intraprendere, anche solo per sottrarsi a una esistenza vissuta, per dirla con le parole di Ramón Sender, “al borde del abismo”8 , ossia “su un confine reale, per il frequente spostamento da una paese all’altro, da una città all’altra, e su un altro ideale, fra la memoria e l’oblio, la presenza e l’abbandono, la vita e la morte”9. A volte, invece, si riduceva alla sola scelta che avevano, come suggerisce la famosa risposta che gli esuli in Messico, davano a chi gli domandava della loro esperienza oltreoceano: “O te aclimatas o te aclimueres”10.

Tantissimi furono gli scrittori che trascorsero il proprio esilio spostandosi continuamente da un luogo all’altro, varcando frontiere che assunsero presto un significato che andava ben oltre quello di semplici confini geografici: esse si tradussero concretamente in barriere linguistiche, sociali, culturali ed etniche - alle volte insormontabili - che andarono a costituire quello che, in un suo saggio, Fernando Aínsa definisce un

7 R. J. Sender, Relatos fronterizos, Barcelona, Destino, 2 ed., 1972, p. 112. 8 Ibidem, p. 127.

9 F. Cappelli, “Frontiere dell’esilio in Sender”, in Orillas, 4, 2015, pp. 1-12, p. 11.

10 Cfr. C. Feixa, La ciudad en la antropología mexicana, Lleida, Quaderns del Departament

(14)

14

“espacio de diferencia”11. Proprio quest’ultima ci permette di leggere l’eterno peregrinare dell’esule come il sintomo di un malessere interiore generato dalla sensazione di non appartenere a nessun luogo e, di conseguenza, dall’incapacità di mettere radici12. Per coloro che lo subirono, l’esilio si rivelò infatti una esperienza traumatica, uno strappo radicale che non si limitava alla semplice privazione della terra natale, degli affetti, della

professione, della lingua, della

quotidianità: esso arrivò a toccare le corde più intime dell’animo umano, a incidere profondamente sulla psicologia dell’individuo e a mettere in discussione il suo posto nel mondo. Come suggerisce Reinaldo Arenas, poeta cubano esiliato dalla sua terra a causa dell’antagonismo al regime castrista, l’esiliato diventa “un ser desprovisto de su autenticidad en continuo peregrinaje por lugares en los que no se reconoce y con la memoria fija en el país que abandonó”13, il quale giunge a sperimentare, per dirla con le parole di un altro studioso “un despojo identitario que lo aboca a una suerte de extinción ontológico-existencial” 14 . L’eventualità di un “extrañamiento propio”15 innesca nell’esule un atteggiamento di costante

11 F. Aínsa Amíguez, Espacio literario y fronteras de la identidad, San José C.R., Editorial

de la Universidad de Costa Rica, 2005, p. 145.

12 È interessante notare come l’“espacio de diferencia” di cui parla Aínsa sia presente, in

maniera considerevole, anche in Messico, terra esotica nella quale la condivisione della medesima lingua dovrebbe favorire l’integrazione sociale degli esuli spagnoli con la popolazione locale. In realtà, i messicani nutrivano un forte antispagnolismo nei confronti dei rifugiati europei e una forte intolleranza verso la ripetitività degli argomenti trattati nelle loro conversazioni e la fastidiosità dei toni vocali forti. In La verdadera historia de la

muerte de Francisco Franco, uno dei migliori racconti dell’esilio di Max Aub, il

protagonista Nacho manifesta apertamente la sua insofferenza per le discrepanze fonetiche tra lo spagnolo messicano e quello iberico, che fanno risultare quest’ultimo insopportabile (cfr. F. Cappelli, “Un’orda di iberico frastuono: idiosincrasie socio-linguistiche fra messicani e rifugiati spagnoli in Max Aub”, in Giudizi e pregiudizi. Percezione dell’altro e

stereotipi tra Europa e Mediterraneo, vol. II, Firenze, Alinea, 2009, pp. 207-218).

13 Cfr. C. Espinosa Domínguez, “La vida es riesgo o abstinencia. Entrevista con Reinaldo

Arenas”, in Quimera, 101, 1990, pp. 54-61, p. 61.

14 J. I. Gutiérrez, Cartografías literarias del exilio. Tres poéticas hispanoamericanas,

Lewiston, NY, The Edwin Mellen Press, 2005, p. 89.

15 M. T. Férriz Roure, “Relectura de la tradición literaria española desde el exilio”, in Actas

(15)

15

oscillazione tra la “continuidad” e l’“adaptación”16, tra il non perdere le sue radici originarie e il mettere radici altrove. Ecco quanto sostiene Simone Weil (1996) in una delle sue opere più celebri, Echar raíces:

Echar raíces quizá sea la necesidad más importante e ignorada del alma humana [...]. Un ser humano tiene una raíz en virtud de su participación real, activa y natural en la existencia de una colectividad que conserva vivos ciertos tesoros del pasado y ciertos presentimientos del futuro17.

L’uomo non può pensare di costruire un avvenire prescindendo dal suo vissuto, specie se quest’ultimo si identifica per lui con una esperienza travagliata e complessa. Avvalorano questa tesi le parole dell’illustre critico Edward Said:

El exilio es [...] la grieta imposible de cicatrizar impuesta entre un ser humano y su lugar natal, entre el yo y su verdadero hogar: nunca se puede superar su esencial tristeza [...]. Los logros del exiliado están minados siempre por la pérdida de algo que ha quedado atrás para siempre18.

Lo stesso Said - esule costantemente accompagnato dalla sensazione di sentirsi “fuori luogo” in qualsiasi posto che non fosse la Palestina - identifica l’esiliato con colui che vive “in un territorio intermedio: non del tutto assuefatto al nuovo ambiente né completamente svincolato dal vecchio” 19. Ma proprio “tale posizione decentrata”20, tale condizione di marginalità - che nei casi più estremi assume la forma di una vera e propria esclusione, o peggio, ghettizzazione - permette all’individuo di godere del privilegio “di vedere ogni cosa da una doppia prospettiva, ogni situazione

[https://cvc.cervantes.es/literatura/aih/pdf/11/aih_11_4_018.pdf, ultima consultazione il 1-03-2018].

16 M. T. Férriz Roure, “Relectura de la tradición...”, op. cit., p.133. 17 S. Weil, Echar raíces, Madrid, Editorial Trotta, 1996, p. 51.

18 E. Said, Reflexiones sobre el exilio, Barcelona, Debate, 2001, p. 179.

19 E. Said, Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, trad. it. di M. Gregorio, Milano,

University Press, 1994, p. 60.

20 G. Benvenuti, La condizione dell’esilio: l’intellettuale come «coscienza critica» in

(16)

16

come contingente e transitoria”21. Addirittura, l’esilio giunge ad assumere una dimensione metafisica, offrendosi come rivelazione“della verità personale e storica”22, nonché come opportunità di rinascita. Ce lo testimoniano le parole di María Zambrano, una tra le autrici e filosofe più apprezzate del destierro repubblicano, la quale individuò nel suo stato di esiliata la possibilità di comprendere la verità sulla propria condizione ontologica:

Yo no concibo mi vida sin el exilio que he vivido. El exilio ha sido como mi patria, o como una dimensión de una patria desconocida, pero que una vez que se conoce, es irrenunciable. [...] Creo que el exilio es una dimensión esencial de la vida humana, pero al decirlo me quemo los labios, porque yo querría que no volviese a haber exiliados, sino que todos fueran seres humanos y a la par cósmicos, que no se conociera el exilio. Es una contradicción, qué le voy a hacer; amo mi exilio, será porque no lo busqué, porque no fui persiguiéndolo. No, lo acepté; y cuando se acepta algo de corazón, porque sí, cuesta mucho trabajo renunciar a ello23.

Le numerose e diverse biografie degli spagnoli all’estero confermano il carattere, sempre meno monolitico e sempre più polisemico, di un esilio che non si limitò alla semplice mobilità spaziale, ma fu, al tempo stesso, un fenomeno umano, politico, sociale, culturale e morale, collettivo e individuale alla volta. Un fenomeno che, se da un lato generò solo disincanto e disillusione, dall’altro significò anche “una liberación personal en cuanto supuso oportunidades de vida y trabajo como no podían haber soñado en sus tierras de origen”24, così come la possibilità per gli scrittori di affrontare tematiche che mai avrebbero potuto trattare restando in Spagna.

21M. T. Chialant, Erranze: transiti testuali. Storie di emigrazioni e di esilio, Napoli,

Edizioni scientifiche letterarie, 2005, p. 13.

22A. Ricciotti, “María Zambrano: l’esiliato, sacrificato della storia”, in Aurora. Papeles del

«Seminario María Zambrano», n. 15, 2014, pp. 34-43, p. 34.

23 M. Zambrano, “Amo mi exilio”, in Las Palabras del regreso, ed. de M. Gómez Blesa,

Salamanca, Amarú, 1995, pp. 13-14.

24 G. Notaro, “Un’esperienza d’esilio sui generis: Ramón Chao”, in La scrittura altrove.

(17)

17

La scrittrice portoricana Iris Zavala mette in evidenza questo aspetto dell’esilio:

El exilio representa la condición de posibilidad de la creación artística. Cuando el país de origen queda lejos puede nacer la literatura; abandonar la patria es adquirir de golpe el derecho a la libertad artística25.

Va però tenuto conto del fatto che il vivere positivamente o negativamente il distacco dipendeva principalmente dalla diversa natura delle cause che avevano determinato la partenza di migliaia di persone verso nuovi territori e nuove realtà. Infatti, sebbene declinino “la stessa figura dell’alterità e della non appartenenza”26, l’essere emigrados e refugiados27 - termini spesso usati impropriamente come sinonimi di exiliados - non implica un totale annullamento di sé stessi e della propria identità; né fa del desiderio del rientro in patria un pensiero costante, diversamente dal

desterrado che, individuando in “un nessun dove” la “condizione

d’esistenza” 28 , fa del perpetuo girovagare senza una precisa meta l’incarnazione di tale speranza. Resta da definire il concetto di transterrado, vale a dire colui che si eleva a condizione di “trapiantato” in quella “patria de destino”29 che, spesso anche geograficamente distante dalla terra di origine, finisce per convertirsi nella sua nuova casa. L’espressione si deve al filosofo José Gaos, il quale la coniò durante il periodo di esilio in Messico

25 I. Zavala, “Escribir desde el exilio”, in Hispamérica, 39, n. 117,2010, pp. 65-72, p. 69. 26 M. T. Chialant, Erranze: transiti testuali. Storie di emigrazioni e di esili, Napoli,Edizioni

scientifiche letterarie, 2005, p. 13.

27 Condizioni di vita precarie e mancanza di lavoro muovono “los emigrados” a cercare

una vita migliore altrove, mentre persecuzioni e discriminazioni di ogni genere spingono la massa a cercare rifugio e protezione lontano dalla propria patria.

28 F. Sossi, Migrare. Spazi di confinamento e strategie di esistenza, Milano, Il Saggiatore,

2006, p. 20.

29 Il concetto di “patria de destino”, in contrapposizione a quello di “patria de orígen”, si

deve al filosofo José Gaos, anch’egli vittima dell’espatrio forzato. Gaos identifica quest’ultima - nel suo caso, la Spagna - con un luogo che l’uomo casualmente riceve ma non sceglie, mentre la “patria de destino” con la terra nella quale l’esule sceglie liberamente di stabilirsi: nella personale esperienza di Gaos, essa è il Messico (cfr. J. L. Abellán, “Tres figuras del desgarro: refugiado, desterrado, exiliado”, in Homenaje a Alain Guy, ed. de J. M. Romero Baro, Barcelona, Universitat de Barcelona, 2005, pp. 9-19, p. 11).

(18)

18

per simboleggiare il sentimento di riconoscenza da parte degli spagnoli nei confronti del presidente Lázaro Cárdenas e del suo governo, i cui decreti, avevano decisamente agevolato la loro integrazione.

Le difficoltà della aclimatización, così come la solitudine e il

desarraigo che lo spostamento inevitabilmente produce, impregnano le

elaborazioni artistiche e letterarie degli esuli spagnoli, raccolte sotto la denominazione di “cultura dell’esilio”. Trova posto in questa anche la corrispettiva produzione di coloro che, per impossibilità o volontà di non partire, proseguivano l’attività militante in Spagna anche nella “etapa de posguerra agresiva” 30 , convertendosi così in “exiliados interiores desahuciados en su propia casa, y aunque no sufrieron el dolor de la distancia, como los exiliados emigrados o exteriores, tuvieron que asimilar el dolor de la cercanía”31.

In questo compendio di scritture migranti sono raccolte le voci di svariati poeti, romanzieri, drammaturghi, cronisti, critici, docenti, che affidarono alla scrittura l’esigenza e l’urgenza di dare testimonianza degli eventi appena trascorsi e della propria esperienza personale. Il dramma storico e umano che la guerra fratricida e il successivo esodo rappresentarono non si limitò a sconvolgere le vite degli intellettuali, ma determinò le caratteristiche delle loro creazioni letterarie, costituendo spesso il motivo di un cambiamento decisivo verso nuovi generi, ora più impegnati e partecipati, ora più riflessivi e introspettivi. L’allontanamento dalla patria e le sue conseguenze diventarono presto il fulcro della propria poetica, così come ricorrenti e ossessivi divennero il ricordo del passato e la nostalgia per ciò che era ormai perduto. Il luogo che si lascia, in quanto “imagen de todos

30 Mirta Núñez Díaz-Balart, La gran represión. Los años de plomo de la posguerra

(1939-1948), Barcelona, Flor del viento, 2009, p. 5.

31 M. J. Piñeiro Domínguez, “Introducción. La narrativa del exilio en el entorno

peninsular”, in Dos vidas y un exilio. Ramón de Velenzuela y María Victoria Villaverde:

estudio y antología, ed. de C. Mejía Ruiz, Madrid, Editorial Complutense, 2011, pp. 17-24,

(19)

19

los bienes”32, produce la sua mistificazione e si trasforma in una sorta di “paraíso terrenal”33. In molti casi, il paese di accoglienza diventa solo un luogo di transito in cui l’esule sta, ma non abita: la sua permanenza è solo transitoria e il desiderio del ritorno, manifestato chiaramente in numerose opere autobiografiche, riviste, articoli di giornale e poesie, lo accompagna costantemente.

Ma quanto più si prolungava l’esilio, tanto più si affievoliva la speranza del regreso a España. Complice la longevità del Generalísimo, numerosi scrittori non riuscirono a rimettere piede in patria prima della propria morte, sia perché le condizioni fisiche ormai non glielo permettevano più, sia perché impossibilitati da un punto di vista economico. Qualche caso di rientro in Spagna si era registrato anche in pieno regime, contribuendo ad acuire la tensione tra coloro che, al momento di attraversare la frontiera spagnola, nel 1939, avevano subito preso coscienza della condizione irreversibile della partenza e coloro che, invece, attribuirono ad essa il carattere temporaneo di un distacco che - per quanto doloroso - non sarebbe durato per sempre. Ma la freddezza e l’indifferenza con la quale fu, per esempio, accolto Alejandro Casona, uno tra i primi intellettuali a rientrare, nel 1963, tra le critiche generali dei colleghi esuli che non condividevano la sua scelta, furono la prova evidente di una nazione ancora sotto la morsa di un clima repressivo e di un sistema censorio che non permetteva al suo interno la libera circolazione della “letteratura dell’esilio”, confermando il progetto del franchismo di “crear una historia excluyente” e “simplista”34, in cui c’era posto solo per autori e opere affini all’ideologia dominante. Così, la speranza di trovare una Spagna democratica e diversa da quella che ci si era lasciati alle spalle naufragò, lasciando il passo a

32 V. Llorens, Literatura, historia y política, Madrid, Ediciones de la Revista de Occidente,

1967, p. 26.

33 Ibidem, p. 34.

34F. Larraz, “El lugar de la narrativa del exilio en la literatura española”, in

Iberoamericana, XII, 47, 2012, pp. 101-113, p. 111

(20)

20

sentimenti di amarezza e delusione, misti a rassegnazione, che condussero numerosi uomini e donne che vi avevano fatto ritorno a prendere definitivo congedo da essa.

Per lungo tempo la “cultura dell’esilio” fu costretta a vivere in un cono d’ombra, considerata solo come “rama apartada”35 e non parte integrante del canone letterario spagnolo. La sua esistenza venne persino messa in discussione nel testo del 1981 dallo scrittore e critico Francisco Ayala - esule vissuto a Cuba, in Cile, in Argentina e negli Stati Uniti - La

cuestionable literatura del exilio, dove si legge: “el exilio es uno de tantos

mitos [...]. Es un poco irritante que se lloriquee por la patria ausente y esas bobadas cuando los que verdaderamente podían quejarse eran los que estaban allí”36. Per Ayala, quindi, come sostiene Juan Rodríguez, l’esilio altro non è che una creazione della “cultura del interior huérfana de una tradición que le había sido extirpada violentamente y de una libertad de expresión que no conocían”37. Ayala, addirittura, per ridimensionare gli effetti che, inevitabilmente, l’esilio geografico esercitò sulla scrittura dei colleghi desterrados, attribuisce la responsabilità dei “cambios notables en la orientación artística” di questi ultimi, non “a la concreta circunstancia del exilio”, bensì “a la mudanza de los tiempos” e “al influjo de los acontecimientos históricos sobre la vida de los hombres”38. Ayala ritiene che non sia possibile parlare di una letteratura desterrada, dal momento che il solo fatto che “el único rasgo común que une a los escritores del exilio” sia “el exilio mismo” non costituisce “una experiencia específicamente literaria sino vital”39. Anche Rafel Conte, rinomato critico e giornalista,

35 G. Torrente Ballester, Panorama de la literatura española contemporánea, Madrid,

Guadarrama, 1956, p. 322.

36 Cfr. F. Caudet, El exilio republicano de 1939, Madrid, Cátedra, 2005, p. 293.

37 J. Rodríguez, El exilio literario en la perifería de la literatura española, Alicante,

Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2005, p. 3 [http://goo.gl/dicVP, ultima consultazione il 12-06-2018].

38 F. Ayala, “La cuestionable literatura del exilio”, in Los Cuadernos del Norte, II, 8, 1981,

pp. 62-67, p.63.

(21)

21

sostiene la tesi del collega: per lui parlare dell’esilio non significa trattare di “una literatura, ni de un movimiento literario, sino de una situación histórica determinada”40.

Ma non è possibile pensare di scrivere la storia della letteratura spagnola senza tener conto di quella letteratura che, per dirla con le parole di Fernando Larraz, poteva parlare del tempo passato, del “Érase una vez…”, liberamente, ma i cui autori, invece, “no eran ya parte del “Continuará…”41. Realizzare il canone della cultura di un Paese o la sua storia implica, infatti, tenere in considerazione sia le relazioni sincroniche, ovvero tra testi contemporanei, sia le relazioni diacroniche, tra testi della tradizione passata e quella successiva42. Sfortunatamente, l’isolamento al quale la letteratura dell’esilio è stata sottoposta rende questa operazione alquanto complessa e difficoltosa, dal momento che i nomi degli autori dell’esilio - e quindi le loro opere - non figurano nelle antologie “de clásicos”, seppur compaiono spesso nelle collezioni “de heterodoxos, rescatados o raros de las editoriales”43. Un primo processo di recupero della letteratura desterrada si è registrato durante gli anni della cosiddetta

transición dal governo dittatoriale ad una Spagna nuovamente democratica:

la morte di Franco consentì a molti autori di rientrare in patria e di far conoscere le proprie opere al pubblico spagnolo, guadagnandosi, così, un posto nel panorama letterario nazionale. Tuttavia, questa “operación retorno”44 riguarda, in particolare, una rosa di nomi e predilige il genere della sola narrativa. Perciò non può essere considerata esaustiva ai fini di un reintegro della literatura del destierro nella sua interezza. Nella storia

40 R. Conte, El pasado imperfecto, Madrid, Espasa-Calpe, 1998, p. 242.

41 Cfr. F. Caudet, “¿De qué hablamos cuando hablamos de literatura del exilio republicano

de 1939?”, in ARBOR. Ciencia, Pensamiento y Cultura, CLXXXV 739, 2009, pp. 993-1007, p. 996 [10.3989/arbor.2009.739n1068, ultima consultazione il 13-04-2018].

42 F. Larraz, “El lugar de la narrativa...”, op. cit., p. 106. 43 Ivi.

(22)

22

dell’evoluzione della letteratura spagnola, di conseguenza, incontriamo spesso dei tasselli mancanti, degli spazi vuoti, che impediscono una reale costruzione della storiografia spagnola. Tutt’oggi sono in corso vari progetti che si propongono di sottrarre la letteratura dell’esilio dalla condizione di marginalità alla quale è stata relegata, ricostruendo la memoria storica, culturale e letteraria dell’esilio spagnolo45, in modo da ridare voce a tutti coloro che il franchismo ha condannato al silenzio e all’oblio. Sfortunatamente, però, nonostante i buoni propositi, a causa di certi aspetti poc’anzi citati e di punti di vista diversi tra gli studiosi, la strada da percorrere si presenta ancora in salita.

1.2 L’intellettuale esule e la scrittura autobiografica: recupero dell’ identità

¿Para quién escribimos nosotros? è il titolo di un celebre saggio in

cui Francisco Ayala mostra il suo rammarico per l’assenza di un pubblico al quale destinare le proprie opere. L’esperienza dell’esilio aveva reciso ogni legame tra lo scrittore e il suo seguito, impedendone ogni contatto: la peggiore condanna per un intellettuale, perché, senza pubblico, lui e la sua arte non hanno modo di esistere. Nell’impiegare la forma verbale plurale, Ayala arriva a riconoscere che “todos los escritores viven hoy en exilio, dondequiera que vivan”46, sostenendo così, anch’egli, l’esistenza di un

exilio interior alla Spagna, dove, da un lato, l’attività dei suoi colleghi era

fortemente indirizzata dal regime e sottoposta a censura, dall’altro, era vietata la circolazione degli autori esuli, confinati in quella literatura

45 Uno dei maggiori e più noti progetti è quello portato avanti da GEXEL, Grupo de

Estudios del Exilio Literario del Dipartimento di Filologia Spagnola dell’Università Autonoma di Barcellona, i cui membri - docenti, ricercatori, studiosi – si propongono di riscattare le opere degli autori éxules, rendendo loro omaggio per avere dimostrato fedeltà ai valori della democrazia, preferendo abbandonare il proprio Paese senza rinunciare alla propria libertà, e di uomini e di artisti (cfr. El Grupo de Estudios del Exilio Literario [http://www.gexel.es/presentacion.html, ultima consultazione il 13/06/2018]).

46 F. Ayala, “¿Para quién escribimos nosotros?”, in El escritor en su siglo, Madrid, Alianza,

(23)

23

soterrada, la cui collocazione all’interno del canone letterario spagnolo è

stata oggetto di svariate discussioni, ancora oggi non del tutto concluse. A tal proposito Alabarce scrive:

Privado de su público [...], el escritor exiliado, [...] escribe para sí mismo [...]. Censurados en España, desconocidos en América, no muy leídos por su compañeros de emigración, pasaron más de veinte años para que comenzaran a tener alguna resonancia en las nuevas generaciones a ambos lados del Atlántico47.

Silenziare la voce della cultura allontanava la probabilità di far trasparire al di fuori la reale fotografia della Spagna franchista e impediva all’intellettuale di comunicare la verità sulla situazione in cui il popolo spagnolo versava. In poche parole, equivaleva a ridimensionare sensibilmente il ruolo di guida e di portavoce della massa di cui lo scrittore si sentiva investito, specie in un momento storico delicato e di crisi. Per dirla con le parole del critico Sebaastian Faber, la Guerra Civile aveva provocato una “mutilazione culturale” 48 dalla portata ingente, interrompendo una generazione di artisti e, al tempo stesso, la continuità di una tradizione letteraria che sino a quel momento stava vivendo un periodo di splendore quasi paragonabile ai Secoli d’Oro. Paradossalmente, però, proprio la produzione culturale dell’esilio, la vera depositaria della “canción”49, si erse a garanzia della sopravvivenza di quella tradizione, dal momento che la Spagna e quanto la riguardava si confermò il principale nucleo di interesse degli “autori dell’esilio”.

Ma la costante sensazione di essere stato “borrado del mapa”50, come scrive Aub nel suo toccante racconto El remate, concretizzatasi poi

47 S. Alabarce, “Letras”, in Exilio español en México 1939-1982, Messico, Salvat

Editores-FCE, 1982, p. 384.

48 Faber recupera l’espressione dal già citato intellettuale esule palestinese Edward Said

(cfr. S. Faber, “The Privilege of Pain: The Exile as Ethical Model in Max Aub, Francisco Ayala and Edward Said”, in Journal of the Interdisciplinary Crossroads, 3, 1, 2006, p. 11).

49 Come vedremo più avanti, il poeta esule Léon Felipe, avverso al regime franchista,

utilizza il termine “canción” come sineddoche per indicare la poesia autentica e libera da vincoli e limitazioni, che egli individua in quella dell’esilio.

50 M. Aub, “El Remate”, in Enero sin nombre. Los relatos completos del laberinto mágico,

(24)

24

nell’estromissione dal panorama letterario spagnolo, indusse spesso l’intellettuale esule ad una sospensione della propria attività creativa e a lunghe pause e silenzi la cui causa può essere ricercata nella “falta de una disposición interior acordada a los estímulos externos, que es condicionante para la creación artística”51. Cancellato dalla cartina geografica e dalla realtà culturale spagnola, l’artista vive un doppio esilio: come uomo e come scrittore. Né può espletare la missione del compromiso literario che il papel

sacerdotal, di cui si sente investito, gli conferisce.

L’idea dell’engagement, ossia dell’impegno, postulata dal filosofo e scrittore francese Jean-Paul Sartre - secondo il quale l’“oficio de escritor consiste en representar el mundo y dar testimonio de él”52- , si vide compromessa anche dalla mancanza di interesse da parte della popolazione locale nei confronti di una letteratura che sostanzialmente dava prova di non volersi sganciare dal quadro delle lettere spagnole, risultando alquanto monotematica e ossessiva. Lo scrittore esule vive ai margini della storia e costantemente intimorito dall’eventualità di essere dimenticato, pertanto affida la propria esperienza alla parola scritta, nel tentativo di contrastare questa paura e di alleviare il dolore dello sradicamento. Antonio Muñoz Molina riscontra proprio come gli scrittori in esilio:

se empeñan obsesivamente en rememorar el pasado, en recostruirlo, en dar testimonio de lo que vivieron. [...] La mejor literatura del exilio es un gran empeño de recapitulación, una tentativa de comprensión del disastre, y en ella con frecuencia la memoria histórica personal desemboca en los sobresaltos del tiempo histórico, de modo que lo rivado y lo publico se confunden en un solo relato53.

pronunciata dal protagonista del racconto aubiano, Remigio Morales Ortega - scrittore spagnolo emigrato in Messico - ad un amico che condivide la medesima condanna. Essa rappresenta l’amarezza e la consapevolezza dell’esule di essere stato non solo estromesso dalla realtà geografica spagnola, ma addirittura di essere stato cancellato dal quadro delle lettere spagnole.

51 F. Ayala, Recuerdos y olvidos, Madrid, Alianza, 1991, p. 178. 52 J. P. Sartre, Situación, II, Buenos Aires, Losada, 1990, p. 246.

53 A. Muñoz Molina, “Nubes atraversadas por aviones: la novela fantasma de Paulino

Masip”, in P. Masip, El diario de Hamlet García, Madrid, Visor Comunidad Aútonoma de Madrid, 2009, p. 9.

(25)

25

Scrivere del proprio vissuto assume allora il significato di un riscatto degli errori di cui la Storia è stata artefice e un modo per affermare la propria esistenza. L’esiliato è, in una parola sola, memoria: grazie alla sua opera egli riesce a salvare “per lo meno la «propria» Spagna, per lo meno nella propria coscienza, da un oblio a cui pareva condannata”54 e a mantenere vivi i ricordi e le storie che lo abitano.

L’attività letteraria di evasione trova concretezza soprattutto nel genere autobiografico, perché è quello che più di ogni altro consente di mettere a nudo la propria anima e scandagliare gli strati più profondi della propria interiorità in una maniera autentica e priva di filtri. Secondo Aleksandra Hadzelek il ricorso alla scrittura autobiografica coincide con “la ruptura de la integridad cultural del país a raíz de la Guerra Civil y, en el caso de los escritores exiliados, con una ruptura más determinante que es la experiencia traumática del destierro”55. Sono numerosi, infatti, gli autori e le autrici repubblicani che si avvalsero della scrittura autobiografica per rompere il silenzio riguardo all’esperienza della Seconda Repubblica, della guerra civile e, infine, dell’esilio. Tra i tanti possiamo ricordare: Max Aub (La gallina ciega, diario español, 1971 e El laberinto mágico, 1946-1968), Enrique de Rivas (Destierro: ejecutoria y símbolo), Enrique Líster (Nuestra

Guerra: Memorias de un luchador, 1977) e, tra le donne, sicuramente

meritano una menzione speciale María Zambrano (Delirio y destino: los

veinte años de una española, 1989), Rosa Chacel (Desde el amanecer: autobiografía de mis primeros diez años, 1972) e María Teresa León

(Memoria de la Melancolía, 1970).

Raccontandosi e narrando le esperienze vissute, l’autore instaura un rapporto ancora più sincero e vero con i suoi lettori, dal momento che rende pubblico il proprio spazio intimo e privato. Ma ricordare significa

54A. Ricciotti, “María Zambrano: l’esiliato…”, op. cit., p. 38.

55 A. Hadzelek, “¿Por qué la autobiografía? El exilio en la autobiografía o la búsqueda de la

(26)

26

ripercorrere a ritroso il cammino che lo ha condotto al momento presente, riaprire vecchie ferite mai del tutto cicatrizzate, riportare alla luce anche episodi drammatici e dolorosi. Per questo, accanto alle opere propriamente autobiografiche in cui l’io-autore coincide con l’io-narrante, incontriamo numerosi testi de ficción, ispirati ad avvenimenti realmente accaduti all’autore, ma proiettati trasferisce su un alterego. Operazione, questa, che forse gli permette di mantenere una certa distanza rispetto al trauma subito e che lo protegge dall’eventualità di riaffacciarsi direttamente su di esso. La letteratura appare allora investita di un valore fortemente terapeutico: scrivere diventa un esercizio catartico tramite il quale l’autore riesce a compensare la perdita di “referencias personales”, creandosi “espacios alternativos y circulares, tanto físicos como textuales”56. “Spazi circolari”, in quanto la scrittura diventa il mezzo attraverso il quale riappropriarsi di ciò di cui si era stati privati, la patria in primis. Non in senso materiale, bensì letterario. La scrittura autobiografica, allora, si tramuta in “un espacio para exorcizar la pena del exilio”57 e diventa un luogo in cui abitare, come sostiene Theodor W. Adorno: “Quien ya no tiene ninguna patria, halla en el escribir su lugar de residencia“58.

Ricostruire il proprio “yo” è l’altro grande imperativo etico e morale che scandisce la vita, non solo letteraria, degli autori esiliati. Il concetto di identità - intesa soprattutto in senso personale, ma anche nazionale - risulta, infatti, profondamente compromesso, non solo dalle privazioni di ogni genere alle quali l’esule viene sottoposto, ma anche da quell’amaro senso di “sfasamento spaziale” e di “sradicamento temporale”59 che lo pervade costantemente. In spagnolo esistono due neologismi, desespacio e

destiempo, coniati rispettivamente da Montejo e Wittlin, che rendono

56 J. M. Naharro-Calderón, Entre el exilio y el interior: el «entresiglo» y Juan Ramón

Jiménez, Barcelona, Anthropos, 1994, p. 256.

57 L. M. Giraldo, “En otro lugar. Migraciones y desplazamientos en la narrativa colombiana

contemporánea, Bogotá, Editorial Pontificia Universidad Javeriana, 2008, p. 9.

58 T. W. Adorno, Mínima moralia, Madrid, Editorial Taurus, 2006, p. 91.

59 E. Trapanese, “Nararre, narrarsi l’esilio”, in Funes. Journal of Narratives and Social

(27)

27

perfettamente l’idea di quanto alterata fosse la percezione spazio-temporale in esilio. Se sulla dislocazione è già stato detto qualcosa a riguardo, sul concetto di un tempo che, in esilio, “non fluisce, ma affluisce”60, Wittlin scrive:

In spagnolo c’è un termine speciale, per definire un esule: destierro, cioè [la condizione di] un uomo privato della sua terra. Io vorrei coniare un’altra definizione: destiempo, cioè [la condizione di] un uomo privato del tempo, di quel tempo che continua a scorrere nel suo paese. Il tempo in esilio è un’eternità completamente diversa: qualcosa di abnorme, di quasi folle. Perché un esule vive simultaneamente a due diversi livelli temporali, il presente e il passato. Vivere nel passato richiede talvolta più energie che vivere nel presente, e può esercitare un’influenza tirannica sull’intera psiche di un esule, influenza questa che può avere conseguenze positive o negative61.

L’incontro con l’alterità, con una realtà nuova, non sempre è fonte di perdita e di alienazione; in vari casi, anzi, riprendendo quanto sostiene María Jesús Piñeiro Domínguez, è fondamentale “reconocerse en el ‘otro’ para configurar la propia identidad y construir una nueva raíz positivamente” 62 . Allo stesso modo, può configurarsi come un arricchimento a livello culturale sia per l’intellettuale esule, sia per il collega del paese che lo accoglie, il quale, non di rado, riconosce nel primo una personalità e una qualità artistica tanto importanti da garantirgli un posto nel pantheon dei suoi scrittori più illustri. Uscire da quella condizione di anonimato a cui l’esilio li aveva destinati, porta gli autori a moltiplicare la produzione di diari, memoriali, confessioni - in sintesi quella literatura

testimonial -, in cui la passività del soggetto muore per lasciare spazio alla

volontà di essere padroni di se stessi e di avere il pieno controllo del proprio vivere. Anche sotto questo punto di vista l’esilio continua a mostrare il suo

60 Ibidem, p. 8.

61 J. Wittlin, “Splendore e miseria dell’esilio”, in Settanta, III, 24, 1972, pp. 33-42, p. 38. 62 M. J. Piñeiro Domínguez, “Introducción. La narrativa del exilio en el entorno

(28)

28

carattere eterogeneo, dal momento che vi è chi lo interpreta come un momento di cesura tra un prima e un dopo e poi ci sono quegli autori che lo concepiscono come una nuova opportunità di vita. In ogni caso, ciò che emerge e risalta è il tono dimesso e pessimista di queste opere, a conferma, ancora una volta, di quanto ingombrante fosse il fardello che gli autori repubblicani, ormai desangrados, si portavano dietro e di quanto arduo fosse il compito di preservare la propria identità. Alla luce di questo, quindi, appare naturale il fatto che l’autobiografia sia considerata il frutto e l’espressione di una nostalgia, che non è añoranza di luoghi o persone, quanto di se stessi. Scrivere di sé implica, insomma, per gli scrittori esuli, un processo di autodefinizione che passa attraverso due fasi: in primo luogo, l’identificazione con il passato, ossia la creazione di una forma “de ilusión de continuidad espacial y temporal” 63 con il mondo precedente all’esperienza del destierro e, in secondo luogo, la “incorporación en el mundo actual”64, vale a dire il superamento della rottura e l’inizio di una vita nuova.

1.3 La letteratura in verso del dopoguerra civile: la poesía del interior e la poesía del exterior

L’espressione “páramo intelectual”65, con la quale José Luis Abellán definisce la modesta produzione di opere letterarie e teatrali negli anni immediatamente posteriori al conflitto, stride con la fecondità di cui aveva goduto il mondo artistico e culturale soltanto pochi anni prima, durante la cosiddetta “Edad de Plata”. Va da sé che la censura e i rigidi strumenti di controllo, uniti ad ulteriori mezzi repressivi, funsero da deterrenti alla libertà di espressione di tutti quegli scrittori che, in quanto avversi al regime, per

63 A. Hadzelek, “¿Por qué la autobiografía...”, op. cit., p. 311. 64 Ibidem, p. 310.

65 J. L. Abellán, La cultura en España. (Ensayo para un diagnóstico), Madrid, Ed.

(29)

29

non subire, essi stessi o le proprie famiglie, ritorsioni si videro costretti al silenzio oppure a orientare la propria arte al suo servizio. Inoltre, come sappiamo, i nomi degli “autori dell’esilio” erano stati completamente ‘depennati’ dal panorama letterario nazionale e le loro opere, bandite in patria, erano invece confluite in quella España peregrina o ausente che abbraccia tutti quegli intellettuali che pubblicarono fuori dalla Spagna, a partire dall’insediamento del franchismo - e in certi casi anche prima - sino alla morte del Generalísimo. Nonostante la superiorità, in termini di quantità e qualità, della cosiddetta letteratura del exterior 66 e nonostante l’associazione - non unanimemente accettata - con la brughiera67, anche nella letteratura del interior iniziò presto a delinearsi una differenziazione di tendenze scaturite dalla volontà di rielaborare le tragiche conseguenze degli eventi appena trascorsi. La poesia fu il genere che più di ogni altro sperimentò una evoluzione a livello formale e contenutistico già da inizio secolo, quando numerose correnti letterarie straniere attecchirono nel fertile terreno spagnolo, con esiti anche interessanti.

L’uccisione di Federico García Lorca, avvenuta nel 1936 per mano dei filo-franchisti, e la partenza di alcuni membri della Generazione del ’14, tra cui Juan Ramón Jiménez e León Felipe, e della quasi totalità della Generazione del ’27 - tra cui Salinas, Guillén, Alberti, Prados, Altolaguirre e lo stesso Cernuda - avevano contribuito a mutare radicalmente il panorama

66 Lo studioso Manuel Aznar Soler, nell’analizzare la produzione letteraria degli autori

spagnoli dentro e fuori la Spagna, definisce l’opera letteraria degli anni quaranta prodotta dagli “autori dell’esilio” esteticamente superiore a quella prodotta nella Spagna franchista (cfr. “Las literaturas del exilio republicano español de 1939: el estado de la cuestión”, in

Insula: revista de letras y ciencias humanas, n. 627, 1999, pp. 3-5).

67 Come abbiamo accennato poc’anzi, il panorama letterario del dopoguerra civile è stato

paragonato ad un “páramo”, ossia una brughiera, in riferimento al numero limitato di opere letterarie comparse sulla scena spagnola in quegli anni. In realtà, non tutti i letterati dell’epoca né gli studiosi recenti e coevi condividono pienamente tale paragone, dal momento che l’ambito letterario - in particolare poetico - all’interno della Spagna risulta, seppur con limitazioni, piuttosto attivo.

(30)

30

della lirica nazionale, che non si presentava affatto come un “frente unitario”68. Anzi, è possibile distinguere diverse correnti per decadi.

Internamente alla Spagna, a partire dal 1936, con l’irruzione della Storia nella poesia, prese avvio il filone della cosiddetta poesía existencial, nella quale trovano ampio spazio significative riflessioni sull’individuo e sulla condizione umana, partorite da innumerevoli poeti che sentirono l’esigenza di meditare sugli eventi in corso. Da questa categoria, destinata a dominare l’intera decade degli anni quaranta, se ne dipartono altre due, antitetiche tra loro, non tanto in termini di contenuti, quanto nella maniera di trattare gli stessi: la poesia arraigada e la poesia desarraigada. Pur rispolverando infatti entrambe i grandi temi della tradizione, alla visione idealizzata ed entusiasta del mondo, veicolata dalla prima, i poeti

desarraigados contrappongono una visione del presente e del futuro

angosciante e negativa, dominata dal caos e dalla desolazione, sintomo reale della devastazione provocata dalla guerra fratricida. Il tentativo operato dagli arraigados di costruire “imágenes del mundo muy armónicas […] vinculadas a un ancla, a un fijo amarre”69 si spiega molto semplicemente con la loro piena adesione e sostegno al sistema vigente, contrariamente allo spirito ribelle e a quel “caos y […] angustia”70 che emerge nelle poesie dei colleghi, autentici oppositori del regime.

Le idee di questi due gruppi gravitavano intorno ad alcune riviste:

Escorial, fondata nel 1940 e Garcilaso, nel 1943, pubblicavano opere dei

poeti riuniti sotto l’etichetta di “Juventud creadora” ; incarnava, invece, gli ideali della poesia “sradicata” la rivista Espadaña, uscita nel 1944. Nello stesso anno Dámaso Alonso diede alla stampa Hijos de la ira, libro pioniere di tale poesia, e Vicente Aleixandre, Sombra del Paraíso, opera alla quale

68 V. G. de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975. Vol. I: De la preguerra a los

años oscuros (1935-1944), Madrid, Cátedra, 1987, p. 253.

69 D. Alonso, “Poesía arraigada y poesía desarraigada”, in Poetas españoles

contemporáneos, Madrid, Gredos, 1965, p. 345.

(31)

31

appartiene la celebre lirica “Insomnio”, ove gli abitanti di Madrid vengono più volte paragonati dall’autore a dei cadaveri.

Chiusa - anche se non propriamente - la parentesi della poesia esistenziale o rehumanizada, gli anni Cinquanta vedono il trionfo della poesia sociale o comprometida. Ora, mai come prima, i componimenti poetici diventano veri e propri mezzi di comunicazione, arrivando ad affiancarsi ai mezzi di informazione, se non addirittura a sostituirvisi. Ancora una volta possiamo intravedere, nel fulcro tematico delle poesie sociali, il tempus fugit, il dolore per la situazione in cui versa la Spagna, l’ingiustizia sociale, la mancanza di libertà e, nel linguaggio semplice e colloquiale, finalizzato a essere compreso da un pubblico quanto più vasto ed eterogeneo possibile, un richiamo alla poesia desarraigada, vero germe di quella realista di metà secolo. Blas De Otero, José Hierro, Gabriel Celaya sono solo alcuni dei maggiori poeti “sociali” che intendono cambiare la realtà nella quale vivono attraverso questo tipo di lirica che Guillermo Carnero definisce “poesía humana colectiva”71, alludendo all’universalità dei temi affrontati e dei soggetti coinvolti.

La poesia sociale si trascina anche nel decennio successivo, nel quale si distinse la “Generación del medio siglo” o i cosiddetti “niños de la guerra”. Tra di essi: Ángel González, Carlos Barral, José Agustín Goytisolo, Claudio Rodríguez, Félix Grande. Questi poeti focalizzano la propria attenzione sull’essere umano, ma muovendo da esperienze personali. In più, si avvalgono dell’ironia per mascherare lo scetticismo riguardo all’idea di una letteratura che possa cambiare il mondo.

Anche “los novísimos” degli anni Settanta rinunciano a vedere nella letteratura un’arma contro le ingiustizie e, rifiutando la tradizione letteraria

71 G. Carnero, “Precedentes de la poesía social de la posguerra española en la anteguerra y

guerra civil”, in Las armas abisinias. Ensayos sobre literatura y arte del siglo XX, Barcelona, Anthropos, 1989, pp. 274-298, p. 275.

(32)

32

spagnola, si aprono a quella europea, ispano-americana e statunitense coeve, individuando negli autori stranieri, quali Jorge Luis Borges, Octavio Paz, Ezra Pound, delle fonti di ispirazione. La cultura pop, la televisione e i

comics in questo periodo esercitano una forte influenza e si registra anche

una grande attenzione per la forma e l’aspetto estetico.

Abbandonata la poesia d’avanguardia e antirealista, gli anni Ottanta vedono l’affermarsi della poesía de la experiencia, caratterizzata da un ritorno ad un linguaggio chiaro e lineare, privo di artifici e ardite figure retoriche, e da un vivo interesse per la sfera più intima e personale dell’uomo. Luis García Montero, Jon Juaristi, F. Benítez Reyes ne sono gli esponenti più emblematici.

Al di fuori della Spagna la produzione letteraria, non “appiattita sull’estetica del regime”72, appare, come abbiamo già ricordato, molto prolifica. La poesía del destierro offre un ampio ventaglio di nomi e di situazioni differenti: accanto ad autori ampiamente riconosciuti come Luis Cernuda, León Felipe, Rafael Alberti, Manuel Altolaguirre, vi sono personalità meno altisonanti o altre che si formano nei paesi di accoglienza73. La poesia diventa la valvola di sfogo per tutti quegli scrittori che, lontani da casa, cercano di dare un senso alla propria condizione di esuli e ripiegano, perciò, su temi esistenziali - relativi a sé stessi e a chi stava vivendo la stessa situazione - per dare vita a una scrittura che, a volte, risulta frustrata e intrisa di amarezza e di pessimismo, mentre altre volte auspica la rinascita.

Sebbene sia la narrativa il genere che la fa da padrone nell’esilio - in particolare il racconto, per la sua maggiore capacità di circolazione e fruibilità da parte di un pubblico più vasto - è la poesia “el género más

72 G. Ferracuti, Profilo storico della letteratura spagnola, Trieste, Mediterránea, 2013, p.

479.

73 Poesía del siglo XX en lengua española.(Selección y estudio), París, Consejería de

(33)

33

adecuado para expresar la experiencia del destierro”74, secondo John M. Spalek, esperto di letterature dell’esilio, nonchè il genere che tende a ricostruire la “componente ausente”75 e l’identità dell’esule. Con il verso, infatti, come dice Antonio Machado, “se canta lo que se pierde”76.

Víctor García de la Concha, tuttavia, ci mette in guardia dal considerare che la letteratura dell’esilio in versi sia costituita da un solo “bloque centrípeto”, ossia quello nostalgico e del pianto degli esiliati. Una più attenta analisi delle opere ad essa ascrivibili, ci conduce, infatti, “en direcciones centrífugas, hacia una gran diversidad”77, sia dal punto di vista tematico che stilistico. Accanto alla poesía del destierro propriamente detta, la quale presenta le tipiche espressioni dell’esilio - alienazione, nostalgia, solitudine, desiderio del ritorno, idealizzazione o rancore verso la patria -, lo studioso riconosce, infatti, una poesía de los desterrados 78, intesa come amalgama delle opere di tutti quegli intellettuali esuli che non scrivono esclusivamente della propria esperienza di desterrados, appunto, bensì accolgono gli influssi letterari dei paesi ospitanti, spesso con dei risultati eccellenti, dando prova così di una perfetta convivenza tra le due culture, quella locale e quella straniera. Dare una “lectura unilateral” 79 alla produzione poetica desterrada è, quindi, l’errore che De la Concha ci invita a non commettere. Soffermandoci, però, sulla poesía del destierro in qualità di proiezione dell’ombra della nostalgia, ma anche della protesta, notiamo che il corpus poetico dell’esilio è, per certi aspetti, affine a quello prodotto in patria. In particolare, condivide alcune tematiche esistenziali con la corrente della poesia rehumanizada, ma se ne distanzia per i toni nostalgici di cui è impregnata: i ricordi degli autori repubblicani, infatti, sono costantemente in primo piano, così come il rifiuto del presente e la speranza

74 Cfr. J. M. Naharro-Calderón, Entre el exilio y ..., op. cit., p. 70.

75 M. Jato, El lenguaje bíblico en la poesía de los exilios españoles de 1939, Kassel,

Edizione Reichenberger, 2004, p. 231.

76 Cfr. Ivi.

77 V. G. de la Concha, La poesía española..., op. cit., p. 259. 78 Ibidem, p. 254.

Riferimenti

Documenti correlati

Specific aims were: (i) to build a collection of meat cuts representing the major species/categories and a variety of suppliers and conditions; (ii) to characterize through a

Frequentando i corsi al Muséum lo studente, il giovane medico o l'amatore incontrano non soltanto rinomati autori di articoli, di opere e di ricerche consacrate alla storia

E in questo spazio, di pratiche e di norme che lasciano spazio all’interpretazione ce ne sono di molto varie: dalla diversità dei valori e delle idee delle persone che agiscono

We hypothesized that microorganisms in spider mites (Tetranychus urticae) could regulate the induc- tion of HIPVs, because spider mites were found to induce accumulation of

S’intende porre attenzione, da una parte, al dialogo tra Neurodidattica, peda- gogia e didattiche disciplinari, mediante la presa in esame delle coordinate principali del

For example, some studies during mountain ultra-marathons used level running protocols to analyze changes in Cr while graded running conditions should be a more accurate model to

Findings from large observational-prospective or cross-sectional studies reviewed in this paper have consistently demonstrated that a higher intake of wholegrain is associated with

A più riprese, la richiesta di ottenere la cittadinanza nella Francia della III Repubblica da parte della famiglia Epstein svanisce nel nulla: malgrado la