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Ocnos: Albanio, il Paraíso e la Caída

3.7 Desolación de la quimera: l’autobiografia riassuntiva

4.2.1 Ocnos: Albanio, il Paraíso e la Caída

I poemas en prosa che compongono Ocnos risalgono al soggiorno inglese, americano e messicano di Luis Cernuda e la loro stesura impegna

375 J. Valender, Cernuda y el poema..., op. cit., p. 90. 376 Ibidem, p. 131.

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l’autore per tutto l’arco temporale dell’esilio, dal 1940 al 1963, anno della sua morte.

L’opera - della quale si contano tre edizioni378 - accoglie al suo interno la “materia de recuerdo” e la “materia de reflexión”379, dal momento che, partendo dalla rievocazione dell’infanzia sivigliana e dalla celebrazione dell’edenico paradiso andaluso, Cernuda si inoltra in una profonda meditazione sugli aspetti esistenziali ed estetici della sua poesia, giungendo, così, a riaffermare la propria identità poetica e metafisica380. Riproponendo il pensiero di Valender, lo studioso nota come l’obbiettivo della meditazione non è propriamente il ricordo in sé, quanto il meccanismo attraverso il quale esso riaffiora nella mente, ravvisando in ciò una analogia con Proust381: un po’ come Marcel Proust, protagonista del romanzo À la recherche du temps

perdu, viene catapultato mentalmente nel suo passato assaggiando una

semplice madeleine, così un qualsiasi “objeto trivial” acquista valore magico riportando il protagonista Albanio, alias Cernuda, a “unos días placenteros” d’infanzia, come scrive nel testo “Las campanas” (OCNOS 79)382. Il nostro autore - come ormai abbiamo appreso - ricorre sovente all’aiuto di figure sulle quali proiettare le sue sensazioni. In Ocnos suo alter

ego è Albanio, un giovane già comparso nei poemas en prosa della fase

giovanile. La sua presenza nell’opera è funzionale a descrivere la genesi e lo sviluppo del dissidio interiore sorto nel poeta dopo avere preso coscienza dello scorrere del tempo. L’opera si costruisce, infatti, integralmente, sul

378 Cernuda pubblica tre differenti edizioni di Ocnos: la prima ad Oxford, nel 1942; la

seconda a Madrid, nel 1949; la terza a Xalapa, in Messico, nel 1963. La seconda e la terza edizione presentano una aggiunta di testi che si sommano al materiale già esistente, fatto oggetto di ulteriori revisioni da parte dell’autore (cfr. J. Valender, Cernuda y el poema..., op. cit., p. 25).

379 P. Aullón de Haro, “Ensayo sobre la aparición y desarrollo del Poema en Prosa en la

literatura española”, in Analecta Malacitana, II, 1, 1979, pp. 109-136, p. 133.

380 J. Valender, Cernuda y el poema..., op. cit., p. 30. 381 Ibidem, p. 86.

382 Per tutti i poemas en prosa di Cernuda citati nel presente progetto, mi rifaccio a L.

Cernuda, Ocnos: seguido de Variaciones sobre tema mexicano, ed. de J. Gil de Biedma, Madrid, Taurus Ediciones, 1977. Le sigle OCNOS e VARIACIONES, seguite dal numero di pagina - incorporate al testo o in nota - indicano i testi facenti parte, rispettivamente, di

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motivo letterario del tempus fugit, descrivendo il duplice e contrastante atteggiamento, da parte dell’uomo, di iniziale rifiuto e angoscia e, in seguito, di serena accettazione di esso. Avendo presente qualche nozione mitologica, già il titolo dell’opera ci indirizza su questa strada. Ocnos, infatti, rinvia al personaggio omonimo descritto da Goethe all’interno del

Faust come un condannato dell’Ade obbligato ad intrecciare giunchi per

l’eternità, ma impossibilitato a portare a termine l’incarico per la presenza di un asino che, in continuazione, si ciba di erbacce, costringendolo ad un perpetuo e inutile sforzo383. Nell’ottica cernudiana Ocnos diventa, quindi, il simbolo dell’uomo che, inutilmente, si affanna a tessere il filo della vita, e l’animale, il tempo che divora immediatamente i momenti vissuti384. Il titolo risulta ancora più significativo se si considera che l’opera nasce con l’intento di rispolverare le memorie dell’autore, senza però limitarsi, come abbiamo detto, alla semplice rievocazione sentimentale dell’infanzia e dell’adolescenza, bensì desiderando fare di tali esperienze un oggetto di meditazione: un espediente efficace che permette all’uomo di appropriarsi del tempo, sfidando il suo scorrere inesorabile. Grazie alla capacità di bambino di “experimentar el mundo como «presente eterno»”385, Albanio non avverte il tempo come una presenza minacciosa, e perciò “un día, unas horas son […] cifra de la eternidad”386. Albanio - il cui nome è già sinonimo di purezza - è una sorta di Adamo solitario, in perfetta armonia con la natura e il mondo, un “místico natural”387 che, abitando lo spazio di quelle che Cernuda definisce “imágenes perfectas de un edén” - identificabili con el

383 S. Navarro Ramírez, “Mitos del tiempo: exilios y retornos en la poesía de Luis

Cernuda”, in Alfinge, 28, 2016, pp. 49-71, p. 51.

384 Ivi.

385 J. Valender, Cernuda y el poema..., op. cit. p. 30. Data l’ossessione di Cernuda per il

tempus fugit, Rogelio Reyes Cano definisce l’autore “un impertinente detractor del tiempo

presente” e “una suerte de desterrado más del tiempo que de la tierra misma”, il quale ha fatto della “fijación y recuperación literaria de la sensación de eternidad” il motivo che lo ha spinto a comporre Ocnos (cfr. R. Reyes Cano, “La infancia recobrada de Luis Cernuda: de “Ocnos” a “Variaciones sobre tema mexicano”, en Revista de la Universidad de México,

Nueva Época, n. 15, maggio 2005, pp. 10-22, pp.12-13).

386 “El Tiempo” (OCNOS 14).

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invernadero de un huerto, el jardín, el patio andaluz o los chopos”388 - incarna l’ideale della “vita minima”389, propugnato da Ortega y Gasset nella sua Teoría de Andalucía e applicato, in seguito, da Luis Felipe Vivanco alla poetica cernudiana390. Dal momento che il concetto di vita minima richiede, appunto, di ridurre al minimo lo sforzo per vivere in maniera serena e conciliante con la realtà circostante, è evidente che solo nell’infanzia è possibile raggiungere una visione panteistica, di perfetta armonia tra corpo e anima e fusione con la natura. Ma, alla soglia dell’adolescenza, allo svilupparsi dell’“autoconciencia en el niño”391, quest’ultimo si scopre in balia del tempo e si sente escluso dal magico paradiso con il quale sino ad ora viveva in simbiosi:

Llega un momento en la vida cuando el tiempo nos alcanza. [...] Quiero decir que a partir de tal edad nos vemos sujetos al tiempo y obligados a contar con él, como si alguna colérica visión con espada centelleante nos arrojara del paraíso primero, donde todo hombre una vez ha vivido libre del aguijón de la muerte. ¡Años de niñez en que el tiempo no existe! (“El tiempo”, OC 14)

Al prendere coscienza che l’eternità non appartiene alla quotidianità, ma piuttosto a un passato lontano e irrecuperabile e a un futuro inaccessibile392, e che l’uomo e il mondo naturale appartengono a ordini esistenziali differenti393, Albanio sprofonda in una abissale crisi esistenziale e sperimenta per la prima volta, la condizione di “soledad ontológica”394. Il testo “La eternidad” (OCNOS 9) riassume tutta l’angustia e la preoccupazione provata in tal senso da Albanio- Cernuda:

Sentía su vida atacada por dos enemigos, uno frente a él y otro a sus espaldas, sin querer seguir adelante y sin poder volver atrás. Esto, de haber sido posible, es lo que hubiera preferido; volver atrás, regresar a aquella región vaga y sin memoria de donde había venido al mundo.

388 G. Areta Marigó, “Retorno al Edén…”, op. cit., p. 120. 389 P. Silver, Luis Cernuda. El poeta..., op. cit., p. 169. 390 Cfr. Ivi, (in nota).

391 J. Valender, Cernuda y el poema..., op. cit., p. 30. 392 Ibidem, p. 32.

393 P. Silver, Luis Cernuda. El poeta..., op. cit. p. 181. 394 Ibidem, p.166.

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La sensazione positiva che l’opera sembra veicolare al principio, si vede ora compromessa dalla impossibilità di proiettare nel futuro il sogno perfetto che l’infanzia rappresenta: ogni tentativo, da parte del personaggio, di riappropriarsi della sua identità si scontra, infatti, con numerosi ostacoli. Solo mediante la parola scritta, ossia la creazione poetica, Albanio-Cernuda sembra trovare la via di fuga dalla condizione di alienazione che lo attanaglia:

A través de la palabra escrita, intuye la posibilidad de expresar, y así fijar, la realidad invisible a la cual, en momentos de intensa contemplación, tiene acceso privilegiado. Es decir, las sacudidas emocionales que sufre el adolescente tienen el efecto de despertar su vocación como poeta395.

Laddove la rievocazione del passato non è in grado di garantire al poeta un contatto con il mondo trascendente, l’espressione artistica si conferma, ancora una volta, àncora di salvezza ed elemento di unione dell’uomo con la natura. Per usare le parole del critico Gabriel Insausti, “la escritura se convierte en un proceso de autoconstrucción del sujeto”396.

Ocnos attraversa tutta l’esistenza di Cernuda come esule e ripercorre il

suo itinerario fuori dalla patria: non sorprende quindi che al suo interno, accanto a testi dai titoli speranzosi come, ad esempio, “La luz”, “La primavera”, “Santa”, “El placer”, “El amor”, scritti ricordando gli anni felici trascorsi - infanzia e periodo ante bellum -, compaiano poemas en prosa dalla tematica e dal tono cupo, “La tormenta”, “Aprendiendo olvido”, “Sombras”, “Sortilegio nocturno”, “El miedo”, che evidenziano i cambiamenti psicologici dell’autore, derivanti dalla vita girovaga alla quale lo costringe l’espatrio forzato397. L’opera è anche attraversata da una vasta

395 J. Valender, Cernuda y el poema..., op. cit., p. 35.

396G. Herrero-Velarde Insausti, “Apostrofar una ausencia: los poemas dedicados de Cernuda”, in Luis Cernuda. Perspectivas europeas y del exilio, Madrid, Ediciones Xorki, 2014, pp. 87-100, p. 351.

397 D. Musacchio, “Introducción a Luis Cernuda”, in Ocnos, Barcelona, Seix Barral, 1989,

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gamma di emozioni e sentimenti che Cernuda prova a seconda del momento in cui scrive o a cui si riferisce. Alle volte troviamo sentimenti contrastanti all’interno dello stesso componimento, come accade in “Guerra y paz” (OCNOS 59): il testo, il cui oggetto è l’abbandono della Spagna, rievoca il momento in cui Cernuda supera la frontiera ed entra in Francia, lasciando dietro di sé una terra “sangrante y en ruinas” e dando inizio, così, al suo eterno esilio. L’incipit appare positivo e fiducioso perché Cernuda, nel mezzo di una stazione francese, si rende conto di essere scampato ad un grave pericolo e di avere davanti a sé la possibilità di un avvenire nuovo:

Sentado en medio de aquella paz y aquel silencio recuperados, existir era para ti como quien vive un milagro. Sí, todo resultaba otra vez posible. Un escalofrío, como cuando nos recuperamos pasado un peligro que no reconocimos por tal al afrontarlo, sacudió tu cuerpo. Era la vida de nuevo; la vida, con la confianza en que ha de ser siempre así de pacífica y de profunda, con la posibilidad de su repetición cotidiana, ante cuya promesa el hombre ya no sabe sorprenderse398.

In chiusura, invece, il tono si incupisce e l’amarezza prende il sopravvento, per la convinzione del poeta di essere uno straniero, sia fuori che dentro la sua patria:

¿Qué puede el hombre contra la locura de todos? Y sin volver los ojos ni presentir el futuro, saliste al mundo extraño desde tu tierra en secreto ya extraña399.

Tanta frustrazione e pessimismo ispirano poemas en prosa del calibro di “Maneras de vivir” (OCNOS 70) o “Ciudad Caledonia” (OCNOS 62), composti una volta che Cernuda approda nel territorio inglese: dalla critica all’aristocrazia anglosassone e all’eccessiva industrializzazione di Glasgow - definita da Cernuda la sua “cárcel”400 per vari anni - emerge chiaramente la difficoltà dell’autore di adattarsi ad una realtà completamente diversa da

398 “Guerra y paz” (OCNOS 59). 399 Ivi.

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quella di origine. Gli anni del soggiorno inglese non fanno che accrescere in Cernuda quei sentimenti di timore per il tempo che passa, facendogli sembrare la vecchiaia sempre più vicina: la solitudine si tramuta nello stato d’animo che lo contraddistingue e la morte diventa “irremediable”401.

Con il trasferimento negli Stati Uniti il tono torna ad essere più sereno e fiducioso. Il viaggio in nave verso New York è raccontato da Cernuda in “La llegada” (OCNOS 81), testo che, per Valender, racchiude un concentrato di emozioni: l’impazienza di salpare dal porto, l’attesa di attraccare, lo stupore per gli altissimi edifici che si stagliano nel cielo. Ma la voglia irrefrenabile di conoscere la Grande Mela, nella speranza che essa possa presentare i connotati della tipica città mitica che gli ricorda la sua Siviglia, si scontra da subito con la realtà, perché, come nota ancora Valender, la lentezza che scandisce il viaggio, che sembra interminabile, simboleggia “la vana búsqueda de su ideal”402. Di fronte ai continui tentativi falliti di accedere ad un mondo trascendentale, per superare la “división de la caída”403 Cernuda ricorre all’aiuto di determinate “fuerzas elementales de la naturaleza”404, sia animali che vegetali. La natura, d’altronde, svolge un ruolo di primo piano nella poetica di Cernuda, presentandosi come “algo vivo”405 che può essere compreso solo in maniera intuitiva e non razionale. Da questo punto di vista, il rimando ai poeti romantici da lui ammirati appare inevitabile. Così, “El Huerto” (OCNOS 10), “El jardín antiguo” (OCNOS 25), “El mar” (OCNOS 50), “Río” (OCNOS 63), “La Primavera” (OCNOS 72), “La Luz” (OCNOS 75), “El Parque” (OCNOS 77), “El mirlo” (OCNOS 64) rappresentano una fonte di consolazione per il poeta. L’ultimo, in particolare, è interessante dal momento che, incarnando l’istante del godimento che permette di stabilire un ponte tra la morte e la vita, il canto

401 “Las viejas” (OCNOS 68).

402 J. Valender, Cernuda y el poema..., op. cit., p. 84. 403A. López Castro, “Luis Cernuda en... “, op. cit., p. 258. 404 Ibidem, p. 251.

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melodioso del merlo diventa il simbolo della voce poetica che si propone di fare altrettanto:

Tiene su cantar ahora la misma ligereza sin cansancio ni sombra que tuvo a la mañana, y al recogerse tras de la jornada volandera calla en su garganta la misma voz alegre de su despertar. Para él la luz del poniente es idéntica a la del oriente, su sosiego de plumas tibias ovilladas en el nido idéntico a su vuelo de cruz loca por el aire, donde halla materia de tantas coplas silbadas.

Desde el aire trae a la tierra alguna semilla divina, un poco de luz mojada de rocío, con las cuales parece nutrir su existencia, no de pájaro sino de flor, y a las cuales debe estas notas claras, líquidas, traspasando su garganta. Igual que la violeta llena con su olor el aire de marzo, el mirlo llena con su voz la tierra de marzo. [...]

Como si la muerte no existiera, ¿que puede importarle a mirlo la muerte?, como si ella con su flecha pesada y dura no pudiera pasarle, silba el pájaro alegre, libre de toda razón humana. Y su alegría contagiosa prende en el espíritu de quien oscuramente le escucha, formando con este espíritu y aquel cantar, tal la luz con el agua, un solo volumen etéreo406.

In questo caso, quindi, il canto giunge a rivestire una importante funzione nella poetica di Cernuda, offrendosi al poeta come una ulteriore fonte di rivelazione della verità. L’autore trova nella musica quella sensazione di pienezza che solo la poesia è in grado di dargli: la musica, infatti, grazie alla sua capacità di trasformazione, rappresenta un ritorno all’origine407, il cammino verso la libertà. A questa forma artistica Cernuda dedica il testo “La música”, nel quale essa si identifica con la contemplazione e in ciò che rende possibile il transito dal visibile all’invisibile, dalla incompletezza alla totalità. Il grande spazio che Cernuda dedica alla musica è da attribuirsi certamente all’influenza romantica, ma soprattutto al suo amore per l’educazione musicale, da lui coltivata sin da bambino e sulla quale lo stesso Cernuda dice: “La música ha sido para mí,

406 “El mirlo” (OCNOS 64).

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aún más quizá que otra de las artes, la que prefiero después de la poesía”408. Ancora una volta, da queste parole, abbiamo la conferma che arte e vita in Cernuda sono inscindibili, ossia l’attività di scrittore non può non prescindere dalla sua esperienza vitale. Vari altri poemas en prosa hanno come oggetto di canto la musica: in “La poesía”, ad esempio, l’autore l’associa alla dimensione onirica; in “El acorde”, addirittura essa si fonde con la parte spirituale dell’uomo che tende all’infinito. In ogni caso la musica rappresenta per Cernuda una sicura via di fuga.

Altra immagine ricorrente nella poetica desterrada di Cernuda è il

jardín: lo studioso Cesare Acutis si è soffermato sul significato di questo

luogo, identificandolo con la patria lontana, la quale, nella distanza reale dell’esilio coincide a sua volta con il paradiso perduto409. La sua presenza è funzionale per il poeta soprattutto in quei momenti in cui “lo coglie l’ansia del raccoglimento dopo la sconfitta”410: i muri entro le quali sorge, infatti, offrono all’uomo un riparo sicuro, difendendo il suo desiderio dal potere distruttivo del tempo. Al tempo stesso, però, il giardino simboleggia “la negazione della vita come evoluzione”411, perché i muri impediscono al desiderio di realizzarsi.

L’ulteriore cambio di tono e di registro che alcuni testi di Ocnos presentano è il frutto dell’incontro di Cernuda con il Messico, dove il nostro autore si reca in vacanza durante il soggiorno negli USA. I pochi giorni lì trascorsi sono sufficienti a far riemergere in Cernuda il sentimento amoroso, mai sopito, e la felicità che da tempo ha abbandonato. In Messico, infatti, egli si innamora di un giovane, ma la fine della vacanza lo costringe a stroncare la relazione. Neppure l’amore, “el secreto de la eternidad” - così lo definisce Cernuda in “Escrito en el agua” (OCNOS 93) - è in grado di

408 Cfr. Ibidem, p. 189.

409 L. Cernuda, Ocnos, ed. a cura di C. Acutis, Torino, Pubblicazioni dell’istituto di

Letteratura spagnola e ibero-americana, 1966, p. 17.

410 Ivi. 411 Ivi.

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restituirgli la spensieratezza degli anni giovanili. Dalla lettura di “Regreso a la sombra” (OCNOS 86), poema en prosa che descrive il ritorno negli USA alla sua attività di docente, traspare tutta la sua malinconia:

Atrás quedaban los días soleados junto al mar, el tiempo inútil para todo excepto para el goce descuidado, la compañía de una criatura querida como a nada y como a nadie. El frío que sentías era más el de su ausencia que el de la hora temprana en un amanecer de otoño. Despojado bruscamente de la luz, del calor, de la compañía, te parecio entrar desencarnado en no sabías qué limbo ultraterreno. Y con agustia creciente volvías atrás la mirada hacia aquel rincón feliz, aquellos días claros, ya irrecobrables.

Qué agonía en aquel alba desolada, entre los objetos sórdidos del existir cotidiano, hecho por y para aquellos que no pueden ser, ni podrán ser nunca parte de ti. Al entrar en tanta extrañeza tu vida se volvió, ella también, otro objeto inerte y vacío, como concha de la cual arrancarán su perla412.

Alla fine di tutto, è giusto ricordare che i diversi temi riscontrati - la contemplazione della vita, la natura come fonte di consolazione, la desolazione per la morte incombente413 - sono uniti dal filo conduttore della “nostalgía de la niñez”414, la quale conferisce all’intera opera un tono elegiaco. Ocnos è infatti il ritorno alla unità originaria, antecedente la caduta dal Paradiso, e a un universo dove è possibile l’equivalenza realtà- desiderio415.