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La Spagna e l’impossibilità del ritorno

3.7 Desolación de la quimera: l’autobiografia riassuntiva

3.7.1 La Spagna e l’impossibilità del ritorno

La consapevolezza del tempo che passa e l’imminenza della morte, quale tema portante dell’intera opera, sono all’origine di tutti gli altri temi

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sviluppati, compreso il motivo della hispanidad. Il lungo esilio, che ormai sta per concludersi, addirittura porta Cernuda a rifiutare l’idea della nostalgia per la patria. In una lettera a José Luis Cano, datata 1956, Cernuda scrive: “¿Crees que yo siento esa nostalgia de Andalucía que tú me atribuyes? Yo no la siento en modo alguno”346. E conferma questa sua tesi in apertura della prima parte del componimento “Díptico español” (PROSA 476), intitolata “Es lástima que fuera mi tierra”:

Cuando allá dicen unos Que mis versos nacieron De la separación y la nostalgia Por la que fue mi tierra,

¿Sólo la más remota oyen entre mis voces? Hablan en el poeta voces varias:

Escuchemos su coro concertado, Adonde la creída dominante

Es tan sólo una voz entre las otras (vv. 1-9).

Di una terra dove “todo nace muerto, / Vive muerto y muere muerto”347 (vv. 20-21) Cernuda non può sentire la mancanza. Anzi, presentandosi ai suoi occhi come “la tierra de los muertos” (v. 19), nella quale ogni speranza di vederla risorgere dalle proprie ceneri è ormai svanita, l’autore manifesta apertamente “un despego profundo de España”348 che si traduce nella sua volontà di non farvi ritorno349, giungendo persino a negare la sua identità di spagnolo:

Soy español sin ganas

346 Epistolario inédito de Luis Cernuda, recopilación y prólogo de 146 cartas inéditas de

Cernuda por Fernando Ortiz, Sevilla, Ayuntamiento de Sevilla, Col. Compás Sevilla, 1981, p. 21.

347 “Díptico español” (PROSA 476, vv. 20-21).

348 R. Martínez Nadal, Españoles en la Gran Bretaña..., op. cit., p. 128.

349 Per tutta la produzione dell’esilio Cernuda dimostra una grande coerenza nel non

voltarsi mai indietro - se non letterariamente - e, invece, nel guardare sempre in avanti, sebbene il suo futuro - di cui egli sembra cosciente, soprattutto in Desolación de la quimera - non si prospetti propriamente roseo. Già nel 1944, ad esempio, nella lettera datata 5 luglio, Cernuda scrive dall’Inghilterra: “Recibo de vez en cuanto cartas de América, de escritores jóvenes que sienten simpatía por mi trabajo. Eso me atrae más y más hacia aquellas tierras. En cambio, siento hoy un despego profundo de España. No quiero volver a España, y eso deja el futuro para mí completamente vacío, ya que nada puede sustituir la relación de tierra y hombre, de hogar y trabajo” (cfr. Ivi, p. 128).

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Que vive como puede bien lejos de su tierra Sin pesar ni nostalgia. He aprendido El oficio de hombre duramente,

Por eso en él puse mi fe. Tanto que prefiero No volver a una tierra cuya fe, si una tiene, dejó de ser la mía,

Cuyas maneras rara vez me fueron propias, Cuyo recuerdo tan hostil se me ha vuelto

Y de la cual ausencia y tiempo me extrañaron. (vv. 67-75)

L’antiespañolismo di Cernuda raggiunge l’acme nel 1960, quando, in una lettera a Concha de Albornoz, datata 17 novembre, l’autore scrive: “Yo tengo un odio y un resentimiento a la que fuera mi tierra que cada día crece más, si es posible, y ya aparece bien visible en algunas de las cosas que escribo”350. Per José Teruel Benavente almeno due fattori contribuiscono ad incrementare il suo sentimento negativo nei confronti della madrepatria: in primo luogo, l’indifferenza con la quale viene accolta in patria la sua

Estudios sobre poesía española contemporánea e, in seguito, il difficile iter

- a causa della censura - per la pubblicazione di Poesía y literatura.

L’autore mantiene, tuttavia, intatto il legame con la lingua, patria sostitutiva di quella reale, la quale permette al poeta di continuare a praticare la sua attività letteraria e di espletare al meglio il ruolo di portavoce della massa:

No he cambiado de tierra,

Porque no es posible a quien su lengua une, Hasta la muerte, al menester de poesía.

La poesía habla en nosotros

La misma lengua con que hablaron antes, y mucho antes de nacer nosotros,

Las gentes en que hallara raíz nuestra existencia; No es el poeta sólo quien ahí habla,

Sino las bocas mudas de los suyos A quienes él da voz y les libera.

350 Cfr. J. Teruel Benavente, “La fuerza del desdén: Desolación de la quimera o la identidad

moral de Luis Cernuda”, op. cit., pp. 139-154, pp. 144-145

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¿Puede cambiarse eso? Poeta alguno Su tradición escoge, ni su tierra, Ni tampoco su lengua; él las sirve, Fielmente si es posible.

Mas la fidelidad más alta

Es para su conciencia; y yo a ésa sirvo Pues, sirviéndola, así a la poesía Al mismo tiempo sirvo (vv. 49-66).

Poco dopo, però, Cernuda sembra contraddirsi, perché nella seconda parte del dittico che reca il titolo “Bien está que fuera tu tierra” - dove questo “tu”, come ormai sappiamo, è riferito al poeta stesso - il solo nome di un luogo o di una strada “provocaba en ti la nostalgia / De la patria imposible, que no es de este mundo” (vv. 147-148). In realtà, tale contraddizione è solo apparente, perché, definendo la patria “imposible”, Cernuda si riferisce non alla Spagna reale, “obscena y deprimente / En la que regentea hoy la canalla” (vv. 167-168), bensì alla Spagna idealizzata, cantata sin da Las nubes. Ma il pessimismo di Cernuda di questo periodo è talmente profondo che persino la Spagna aurea - di cui “El ruiseñor sobre la piedra” (PROSA 272) ne è la rappresentazione più esaustiva - è insufficiente a garantirgli un ristoro dalle intemperie che incombono. La sola Spagna che è in grado di offrigli consolazione è quella “viva y siempre noble” (v. 169) che si incontra nei libri di Galdós e di Cervantes. Ora il processo di idealizzazione della Spagna è portato al massimo:

Hoy, cuando a tu tierra ya no necesitas, aún en estos libros te es querida y necesaria, más real y entresoñada que la otra:

no ésa, mas aquélla es hoy tu tierra, la que Galdós a conocer te diese, como él tolerante de lealtad contraria, según la tradición generosa de Cervantes, heroica viviendo, heroica luchando por el futuro que era el suyo,

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Ancora una volta, l’arte diventa la soluzione al ripiegamento su se stesso: Galdós e Cervantes diventano il simbolo di una patria ideale nella quale vige la tolleranza e la libertà, l’unica nella quale l’autore desidera approdare. Cernuda, infatti, esclude categoricamente l’idea del regreso fisico in Spagna. E ne spiega il motivo nella lirica “Peregrino” (PROSA 508), dove l’autore accosta la sua condizione di esule al pellegrino per eccellenza, ossia Ulisse. Diversamente da questi, però, il poeta è destinato a non ricongiungersi ai suoi affetti né a riappropriarsi della sua Itaca. La mancanza di una Penelope o di un Telemaco in Spagna che lo aspettino, lo induce a non guardare al passato, ma a indirizzare gli occhi verso il futuro, dimostrandosi coerente e fermo con la decisione di perseguire l’ideale della libertà, come dimostra la reiterazione della forma imperativa “sigue, sigue” al verso 11, che dirige a se stesso. Cernuda si inoltra in una breve, ma profonda, riflessione, avvalendosi di un tono colloquiale, quasi prosaico. Il componimento, infatti, assume una struttura dialogica tra l’yo poetico e un

tú, il quale altro non è che una sua proiezione. Ecco di seguito il testo

integrale:

¿Volver? Vuelva el que tenga, Tras largos años, tras un largo viaje, Cansancio del camino y la codicia De su tierra, su casa, sus amigos, Del amor que al regreso fiel le espere. Mas, ¿tú? ¿Volver? Regresar no piensas, Sino seguir libre adelante,

Disponible por siempre, mozo o viejo, Sin hijo que te busque, como a Ulises, Sin Ítaca que aguarde y sin Penélope. Sigue, sigue adelante y no regreses, Fiel hasta el fin del camino y tu vida, No eches de menos un destino más fácil, Tus pies sobre la tierra antes no hollada,

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Dai versi appena citati, come evidenzia Juan Matas Caballero, emerge la “convicción de Cernuda de seguir siempre adelante y de no volver nunca atrás”, confermandosi, così, un “verdadero desarraigado y peregrino”351, che proprio nell’esilio, paradossalmente, trova la sua autentica patria. Proprio come Ulisse, Cernuda intraprende un viaggio che lo porta lontano dalla sua terra per diversi anni, ma, a differenza del pellegrino per antonomasia, il suo lungo e travagliato girovagare per il mondo non implica l’idea di un νόστος materiale ai luoghi di origine, come abbiamo visto.