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CAPITOLO TERZO

3.1 Charles Taylor: una religione disincantata

“Soltanto” da una quindicina d’anni a questa parte la prolifica e proficua vicenda intellettuale del noto filosofo canadese si rivolge allo studio sistematico e all’analisi del fenomeno religioso, anche se la fede cristiana negli anni della sua adolescenza aveva già rappresentato un impulso decisivo per il suo personale processo di maturazione intellettuale.

Gli scritti di Charles Taylor sulla secolarizzazione si possono leggere come una sorta di anello intellettuale che ingloba una vita di studi dedicati ad aspetti certamente secolari dell’esistenza, che toccano la politica e la società moderna più in generale. “Una filosofia in larga misura «antropocentrica», o quantomeno non primariamente votata alle cose ultime, sembrerebbe aver lasciato spazio nella sua fase finale a una riflessione a cavallo tra sociologia della religione e teologia che ha suscitato nei numerosi lettori del filosofo canadese, a seconda dei casi, sorpresa, curiosità, indifferenza e talora insofferenza. Ma è questo un ritratto attendibile della parabola intellettuale di Taylor?”71.

Lasciando per il momento in sospeso il quesito posto da Paolo Costa, che ha curato l’introduzione all’edizione italiana di Incanto e disincanto. Secolarità e laicità in Occidente (2014), e cercando lemmi più utili ai fini diretti di questa trattazione, in un altro lavoro recente del filosofo di Montréal s’intravvede il verso della categoria weberiana: Una religione «disincantata». Il cristianesimo oltre la modernità (2012), che raccoglie anche un contributo di Carmelo Dotolo. In verità la questione è più complessa. Del resto, dagli scritti di un secolo fa del pensatore tedesco a oggi la complessità del mondo si è fatta esponenziale. Se è vero che il disincanto di matrice weberiana può trovare una costante ri-attualizzazione è anche vero che Taylor si spinge oltre, sia nell’analisi delle cause e dell’origine della secolarizzazione sia in una sua declinazione attuale, tutt’altro che fantasiosa. Non a caso il filosofo canadese utilizza anche la coppia “disincanto/re-incanto”. Chiarisce lo stesso Taylor nelle pagine che seguono: “I termini disincanto e re-incanto vengono spesso utilizzati assieme: il primo per indicare le principali caratteristiche del processo che conosciamo con il nome di «secolarizzazione», il secondo come la presunta negazione del primo, una scelta che può essere sia temuta che desiderata, a seconda del punto di vista di ciascuno di noi. Ma il rapporto fra questi due

71 P. Costa (a cura di), Introduzione a C. Taylor, Incanto e disincanto. Secolarità e laicità in Occidente, EDB,

termini è più complicato. In un certo senso, possiamo osservare, il processo di disincanto è irreversibile. Parliamo di mondo incantato per designare quelle caratteristiche di cui si è privato il disincanto”72. Taylor si riferisce a un mondo ricco di spiriti e forze morali che

influenzavano la vita degli esseri umani, un mondo liquidato troppo in fretta perché inaccettabile dalla mentalità scientifico-razionalista e, perciò stesso, relegato nelle sfere del magico o della superstizione. Eppure, nota con inoppugnabile precisione Taylor:

Ho accennato al fatto che dal disincanto non si può tornare indietro. In realtà molti dei nostri contemporanei sono già tornati «indietro» a quel mondo. Credono in alcuni rituali per ristabilire la salute o per ottenere successo, e li mettono in pratica. Questa mentalità sopravvive, anche se nascosta. Tuttavia, il grande cambiamento, quello veramente difficile da contrastare, è quello che ha rimpiazzato l’Io labile e sensibile di un tempo con quello che descriverei come un Io «dotato di paracolpi» nei confronti del mondo73.

In altre pagine di questo recente scritto il filosofo è ancora più preciso: “Così la questione del re-incanto può essere posta nei seguenti termini: una volta che abbiamo abbandonato il mondo degli spiriti e non crediamo più nella Grande Catena dell’Essere, quale senso possiamo dare alla nozione secondo cui l’universo che ci circonda è il luogo in cui trovano posto i significati che per gli esseri umani sono oggettivi nel senso che non sono solo semplicemente frutto di una proiezione legata a una scelta soggettiva o a un desiderio contingente?”74

A questo punto il filosofo canadese risponde invocando una scelta: la possibilità di attribuire questi significati e per l’esistenza individuale e per quella collettiva optando per le valutazioni forti e precisa:

la distinzione cui alludo tra valutazioni forti e valutazioni deboli deriva da questo. Una valutazione debole è quella che dipende da scelte che potremmo anche non fare, o dalla condivisione di scopi che potremmo anche non accettare. Nel caso delle valutazioni forti non possiamo tirarci indietro e il nostro tentativo di fare ciò si riflette negativamente su di noi. Questa distinzione nell’ambito della morale può essere illustrata attraverso l’opposizione mostrata da Immanuel Kant tra imperativo categorico e imperativo ipotetico. […] Il dibattito sul disincanto e sul re-incanto prende le mosse dalla rivendicazione ad opera di molte persone,

72 C. Taylor, C. Dotolo, Una religione «disincantata». Il cristianesimo oltre la modernità, cit., pp. 19. 73 Ibid., pp. 19-21.

sia atei sia credenti sia persone che stanno nel mezzo, secondo le quali la combinazione fra razionalizzazione di stampo weberiano e scienza post-galileiana, insieme al declino della religione, ci hanno lasciato un mondo privato di ogni significato e di ogni possibilità di consolazione75.

Di conseguenza gli esseri umani dovrebbero affrontare con coraggio un mondo vuoto, valutare se sia stata una scelta oculata quella di rifiutare la religione, oppure trovare altre fonti da cui attingere significati per l’umano esistere. Ma il filosofo di Montréal non è convinto che il mondo sia assolutamente imprigionato nel disincanto, e invoca due celeberrime “immagini” della filosofia morale moderna: il cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi e la metafora dell’uomo come canna sbattuta dal vento, ma sempre una canna che pensa. Emmanuele Kant e Blaise Pascal perciò lo accompagnano nella riflessione sul nuovo immaginario cosmico, sulla vastità spazio-temporale dell’universo e sulla sua costituzione spinta fino a una dimensione infinitesimale, sulla percezione della nostra fragilità e della nostra mancanza di significato, e annota:

[…] sottolineiamo il fatto che da questa immensa macchina priva di significato emergono la vita, e poi le sensazioni, l’immaginazione e il pensiero. Qui troviamo quello che per una persona religiosa sarebbe facilmente identificabile come un senso di mistero. I materialisti spesso vogliono ripudiare tutto questo; la scienza nel suo progresso non riconosce alcun mistero, soltanto enigmi temporanei. Ma, ciononostante, la percezione che la nostra vita dotata di pensiero e sensazioni affonda le proprie radici in un sistema di tale inimmaginabile profondità, che la coscienza possa emergere da tutto questo, suscita timore e paura anche in loro76.

Tale dualismo era già stato anticipato nel ponderoso lavoro del 2007, A Secular Age, una sorta di opus magnum del pensatore canadese. E il quesito di fondo era chiaro: come possono coesistere l’eccezionalismo morale di cui si nutre più o meno consapevolmente il progetto civilizzazionale moderno e la sua enfasi esclusiva sull’ordinario, l’immanente, il secolare?

Dopo aver posto l’accento sulla natura storicamente contingente della modernità, dopo aver tematizzato e spiegato la vitalità e poliedricità delle religioni oggi, incluso il cristianesimo, –

75 Ibid., pp. 35. 76 Ibid., pp. 33-37.

precisa ancora Paolo Costa –, Taylor era ormai in possesso degli strumenti teorici indispensabili per leggere il fenomeno storico della secolarizzazione anche come un processo innovativo di trasformazione delle condizioni sociali e individuali dell’esperienza religiosa. In quest’ottica «l’età secolare» non appare più come l’esito irreversibile di un processo di razionalizzazione senza resti, ma come una vicenda storica plurivoca la cui interpretazione è, e deve restare, al centro di un contesa – pratica e teorica – aperta.77.

Il suo orizzonte interpretativo si presenta come un singolare ibrido tra le verità sollevate dal discorso di fede e antropologia e sociologia delle religioni, allo scopo di ottenere una condizione di equilibrio riflessivo a cui ogni osservatore della contemporaneità dovrebbe aspirare di fronte al prepotente ritorno delle religioni sulla scena pubblica internazionale. Proprio per questa evidenza, Charles Taylor è capace di rivolgersi anche ad altri sistemi simbolici di credenza religiosa, come quello cinese o indiano, dove a differenza della tradizione occidentale che, almeno in prima battuta, lascia emerge la netta separazione tra Chiesa e Stato, tra immanente e trascendente, la secolarizzazione, se da una parte tende a liberare la vita pubblica dalla religione, dall’altra vede tentativi concreti di aprire spazi di dialogo tra la dimensione religiosa e quella secolare. È una prospettiva che intende la stessa laicità come tentativo di individuare modelli di coesistenza tra le diverse comunità religiose che popolano la società plurale, e che lascia da parte il termine secolare, per come si è sviluppato nella tradizione occidentale. Precisa infatti lo studioso canadese: “si tiene così conto del fatto che le formule per una convivenza reciprocamente vantaggiosa si sono evolute in molte tradizioni religiose differenti e non sono il monopolio di quanti hanno adottato una prospettiva plasmata dalla diade occidentale moderna, in cui il secolare rivendica l’esclusiva sulla realtà”78.

77 P. Costa (a cura di), Introduzione a C. Taylor, Incanto e disincanto. Secolarità e laicità in Occidente, cit., pp.

6-11.