CAPITOLO QUARTO
4.1 Uscita, ritorno e trasformazioni del religioso
Come si è anticipato sin dall’introduzione di questo studio di dottorato, Marcel Gauchet offre un’analisi del reale che argomenta tra filosofia e storia, con inevitabili ricadute nel sociale e nel politico. La sua interpretazione del disincanto del mondo si discosta e, come per Taylor, va oltre Weber, poiché disincanto e razionalizzazione sono soltanto rappresentazioni che la società occidentale moderna ha di se stessa, senza considerare che «Dio non muore, smette semplicemente di immischiarsi nelle faccende politiche degli uomini»162. Se è vero che il processo di uscita dalla religione non cessa e che il cristianesimo
può rappresentare la religione dell’uscita dalla religione è anche vero che riemerge un’attenzione per il sacro e per il religioso più in generale. In fondo la modalità religiosa di strutturazione del reale è sordamente sopravvissuta agli impeti autonomisti della modernità. Scrive Gauchet: «La definizione extrareligiosa della città degli uomini si è basata su fondamenti implicitamente religiosi»163. Ecco che la domanda sul futuro del cristianesimo e
del suo spazio pubblico, che si inserisce sempre più in un contesto plurale e complesso ci sembra di sicuro interesse, proprio perché il filosofo e storico francese offre una articolata riflessione sull’uscita, ritorno e trasformazioni del religioso, attingendo a categorie dello storico, del politico, dell’antropologico, del sociale e, appunto, del religioso che è stato e che sarà.
Fine del ruolo sociale della religione (ammesso che sia così – e non è – se non per la cultura occidentale ultramoderna) non significa fine della fede religiosa. La storia europea libera la politica dalla religione, ciò significa che una eventuale maggioranza di credenti non comporta un’organizzazione religiosa della Città. Eppure, in un movimento che a diverse tradizioni di pensiero appare immediatamente secolare e persino anti religioso, Marcel Gauchet individua una spinta fondamentale del cristianesimo:
all’interno di questo processo io attribuisco un ruolo determinante al cristianesimo. In particolare è la maniera assai speciale con la quale il cristianesimo intreccia il cielo e la terra che mi sembra fornire il supporto decisivo a quella dinamica dell’autonomia terrestre che
162 Ibid., p.67. 163 Ibid., p.23.
costituisce il nocciolo della originalità occidentale. È per questi motivi che credo si possa parlare, a proposito del cristianesimo, di «religione dell’uscita dalla religione». Il cristianesimo ha generato un mondo che lo contesta e che ha l’ambizione di fare a meno del suo apporto. Un mondo del quale resta tuttavia la matrice e rispetto al quale ha grandi chances di rimanere associato grazie a progressivi adattamenti ed evoluzioni164.
Il filosofo francese sostiene che nonostante la modernità abbia rappresentato – e rappresenti – il radicalmente altro che ha espulso il cristianesimo, specie il cattolicesimo, è pur questa l’unica religione compatibile con la modernità stessa. Vale anche «per la Chiesa, l’esempio di istituzione che la modernità è portata a contestare, e che si mostra invece profondamente radicata nella storia che la contesta»165. Eppure, se si chiede a Gauchet se ciò
corrisponde a un reincanto del mondo, la risposta è decisamente negativa. Non si tratta di ritorno del religioso in senso stretto, perché anche si registrasse un intensificarsi della fede ciò non corrisponderebbe ad una organizzazione dello spazio umano secondo i registri del sacro. Anche quando – nell’opera che stiamo visitando, pubblicata a vent’anni dal lavoro che lo ha reso famoso, e che nella sostanza conferma la medesima formulazione programmatica, e che raccoglie saggi e interviste del filosofo che toccano ad ampio spettro il fenomeno religioso – si parla di ritorno dell’islam, di affermazioni nazionaliste come nel caso polacco o di nuove forme di spiritualità, il pensatore francese ribadisce la sua posizione precisando che si tratta di espressioni della religione come vettore identitario o politico, specie dopo il crollo della principale religione secolare, il comunismo escatologico, che «ha liberato il paesaggio e, in modo diverso e ineguale, ha riportato alla luce vecchie forme e dato nuovi sbocchi alle energie in circolazione»166. Ma si tratta di qualcosa di diverso dalla religione, considerata nel
suo senso profondo. Forse si può parlare di ritorno del religioso nel senso di riorganizzazione del reale solo nel caso del fondamentalismo islamico o del fondamentalismo induista, letti però come reazione all’irruzione quotidiana della modernità occidentale, vista come un’aggressione. Non è questo, almeno non direttamente, l’orizzonte interrogativo cui ci spinge l’ampia interpretazione storico-politica del filosofo francese. Sull’asse interpretativo cristianesimo-modernità, sorgono invece interrogativi pressanti e, vorremmo dire, inevitabili. Se ha ragione Gauchet, quando afferma che il cristianesimo rimane la matrice del mondo moderno e post-moderno pure con doverosi adattamenti, ci si chiede: quale cristianesimo?
164 M. Gauchet, Un mondo disincantato? Tra laicismo e riflusso clericale, cit., p.72. 165 Ibid., p.72.
Anche perché, nemmeno il filosofo transalpino è cieco di fronte a una crescente decristianizzazione del vecchio continente e, in altre pagine esclude fermamente una sorta di ri-cristianizzazione dell’Europa. La società europea moderna, se non atea, resta saldamente laica. Quale cristianesimo, allora, e con quale/quali spazi sociali? Forse un cristianesimo che recupera una appartenenza funzionale di fronte a nuove minacce fondamentaliste? E ancor più è lecito chiedersi a quale manifestazione del cattolicesimo assisteremo nei prossimi decenni, considerando – fra le altre – che, in linea con l’invecchiamento della popolazione europea si registra un invecchiamento del clero e un vistosissimo calo delle vocazioni alla vita consacrata e religiosa. Potrà ancora resistere una struttura del cattolicesimo legata alla tradizione si qui conosciuta? Tenuto conto, ovviamente, delle variazioni già intervenute. E, ancora, sarà davvero l’Europa a garantire la continuità di questa religione che – almeno in termini moderni – potremmo considerare fondativa del mondo che conosciamo? Oppure si assisterà a un reincanto di prospettiva tayloriana, in cui una nuova pluralità culturale e religiosa – paradossalmente – contenderà gli spazi dell’organizzazione umana e sociale alla post-modernità secolarizzata?
È necessario a questo punto chiarire però un passaggio che, crediamo, ci consenta di rendere più evidente il senso di questo studio di dottorato. Né Taylor né Gauchet pensano che per reincanto del mondo o ritorno del religioso si intenda una “rinasciata” del cristianesimo e una sua nuova capacità di informare il reale. Gauchet, in particolare, è un anti-durkheimiano che non vede nessuna consustanzialità del sacro al sociale. Contrariamente al famoso sociologo francese, Gauchet sostiene che la religione nella sua forma elementare (o primitiva) rappresenti la sua espressione più coerente e complessa. L’evolversi della religione attraverso la storia non significa un intensificarsi della presa religiosa ma il suo esatto contrario: «più gli dèi sono grandi, più gli uomini sono liberi»167. Attraverso la rivoluzione politica
(Machiavelli), la rivoluzione scientifica (Galileo) e la rivoluzione religiosa (Lutero) tutte figlie del cristianesimo, il mondo occidentale è divenuto, di fatto, un mondo fuori dalla religione.168 Eppure la spinta, potremmo dire un’interiore necessità di religioso, sopravvive
167 M. Gauchet, Il disincanto del mondo: una storia politica della religione (1982), Einaudi, Torino, 1992,
p.51.
all’età secolare; e in questo senso non aveva torto Emile Durkheim quando trattando delle forme elementari della vita religiosa scrive: «non studieremo perciò la religione molto arcaica di cui si parlerà solo per il piacere di raccontarne le bizzarrie e le singolarità. Se l’abbiamo assunta come oggetto della nostra ricerca è perché di è parsa adatta più di ogni altra a far comprendere la natura religiosa dell’uomo, cioè a rivelarci un aspetto essenziale e permanente dell’umanità»169. Il religioso, insomma, conserva una sorta di eccedenza che sfugge a tutti i
tentativi di imprigionarlo. Certo, per Gauchet ciò si risolve in una opzione individuale. Nulla di nuovo, in fondo, almeno dopo la Riforma luterana, se non nella constatazione, attualissima, per cui l’opzione individualista del credere ha contaminato, anche, ampie aree della cultura cattolica. Se questo può essere vero per ciò che rimane delle espressioni del cristianesimo in Occidente e ancor più in Europa, diventa interessante costruire un’ipotesi sull’Occidente e sull’Europa in rapida trasformazione etnico-antropologica. E in questa direzione, anche se indirettamente, ammoniva pure Taylor. Non va scordato, infatti, che nei prossimi trent’anni oltre un terzo degli europei (e un terzo circa della popolazione italiana) saranno immigrati o figli di immigrati; senza dimenticare che l’Europa conterà quarantasette milioni di autoctoni in meno. Siamo certi (senza interrogare gli estremi del fondamentalismo) che le future comunità sikh, indù, buddiste, ecc., adotteranno – in linea con l’Europa secolarizzata – una religiosità secondo l’opzione individuale del credere? Da quel che ci è dato di capire oggi, la risposta non è così scontata. La comunità buddista in Francia, per esempio (e dire Francia la dice lunga…) conserva la propria ritualità e nei limiti della struttura simbolica del loro sistema di credenza, anche un certo senso di comunità. È solo un’immagine, che potrebbe farci pensare a una società (forse anche auspicabile) religiosa e laica assieme. È possibile, per così dire, immaginare un processo a rovescio rispetto alla modernità, dove sia il secolare a subire una erosione, pure senza sparire?
Se così fosse, come si è capito anche dal precedente capitolo, il religioso avrebbe – e probabilmente avrà – tinte e sfumature che fino a trent’anni fa erano completamente sconosciute alle culture Nord-Atlantica ed Europea, quantomeno come fenomeni che potessero presentare un certo radicamento in loco e, certamente, in queste stesse aree geografiche e culturali non è pensabile un riaffacciarsi socialmente sensibile della tradizione cristiana, come ha già ricordato il filosofo francese. Ancor più interessante allora, sarà chiedersi cosa resterà del cristianesimo e, volendo, ancor più del cattolicesimo, e quale
169 E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa (1912), tr. it. a cura di Remo Cantoni, Comunità,
relazione sia possibile tra la religione che culturalmente ha informato l’Occidente per duemila anni e lo spazio pubblico, debitore anch’esso, peraltro, della medesima tradizione religiosa e culturale.