CAPITOLO TERZO
3.5 La spiritualità nell’epoca del dio impersonale
Le avanguardie degli anni sessanta negli Stati Uniti, attori sociali di quella rivoluzione espressiva che sta a fondamento dell’«epoca dell’autenticità», così come l’ha definita il filosofo canadese che ha occupato il lungo tratto centrale di questo lavoro – e non poteva essere diversamente sia per la ricchezza della riflessione sia per l’ampiezza dell’opera – costituiscono, anche, i prodromi del carattere dominante nella «religione oggi» nelle aree Nord Atlantiche e in Europa; vale a dire la ricerca e il credere in un Dio impersonale. A proposito della enorme fatica profusa da Charles Taylor nella stesura di questo denso volume, va detto che questa non è esente da critiche; motivate e condivisibili per quanto riguarda la forma narrativa (ma vorrei vedere chiunque in un’impresa del genere), forse meno laddove si ravvisi qualche spunto ideologico. Scrive ad esempio Michael L. Morgan: «in quanto narratore, Taylor sembra costantemente frenato da una resistenza verso la linearità e il semplicismo; a volte i suoi movimenti in avanti avvengono quasi forzatamente. Per ogni passo in avanti della storia, Taylor fornisce dozzine di digressioni o ripetizioni di filoni della storia osservati da nuovi punti di vista, oppure esplorazioni di posizioni, figure, risposte e condizioni da prospettive alternative. Per meglio comprendere i capitoli storici del libro bisogna leggerli come argomenti a sostegno della complessità e delle sfumature, all’interno dei quali è inclusa la storia dell’emergenza e della diversificazione dell’umanesimo esclusivo»138, e sulla stessa linea Marty incalza: «Taylor brilla in tutto fuorché in linearità.
Invece di una chiara linea narrativa, egli affronta un argomento, poi l’abbandona, per poi ritornarci in seguito, dando vita, per così dire, a spirali sempre più larghe»139. Ora, Charles
Taylor non necessità di nostri sforzi apologetici. Rimangono però inevitabili le spirali larghe se, come lui, si vuol tentare di comprendere e/o interpretare la storia della complessità, una storia che riassume la complessità di miriadi di mondi vitali, se potessimo fare eco a Husserl o ad Habermas, una complessità – per quel che ci dato di capire – che il filosofo si sforza di leggere, senza rinunciare a un respiro religioso.
E sulla scia del suo discorrere, ritorniamo al nostro, canovaccio narrativo. Come si è già ricordato, la prosperità dello stile di vita di quegli anni, fondata sul triangolo famiglia, religione e Stato, poteva far pensare che l’America fosse una nazione fondata proprio per la realizzazione di quel disegno divino che, se è vero che poteva far valere il suo centro nell’età
138 M. L. Morgan, Recensione di A Secular Age, in “Notre Dame Philosophical Reviews”, 10 August 2008,
University of Notre Dame (online peer-reviewed).
139 M. E. Marty, Review of A Secular Age, in “Church History: Studies in Christianity and culture”, 2008, 3,
dei lumi e nell’epoca della mobilitazione, si può senz’altro dire che questa idea era centrale già nei padri pellegrini, i puritani fondatori del “nuovo mondo” e che non è per niente sconosciuta nemmeno ai processi di acculturazione dell’America contemporanea, specie se ci riferiamo all’America “vera”, quella distante dalle grandi città cosmopolite degli “americani col trattino” dove sopravvive ancora un senso di appartenenza Wasp (White anglosaxon protestant). Naturalmente deprivata delle vocazioni assimilazioniste e senza rigurgiti razzisti. Un’appartenenza spirituale che s’innerva nella struttura identitaria e che taluni definirebbero o definiscono “conservatrice”. Una controversia intellettuale, con risvolti socio-politici che, sin da allora offriva ambivalenze interpretative: «lo stretto intreccio di religione, stile di vita e patriottismo era biasimato da molti osservatori. Will Herberg, nel suo Protestant, Catholic, and Jew, vedeva queste nuove chiese come qualcosa che aveva a che fare più con l’identità sociale che non con Dio. E nel fondare una nuova chiesa presbiteriana, i nuovi residenti prendevano le distanze dalla preesistente chiesa presbiteriana della zona, che era nota per i suoi toni molto più apocalittici. In effetti, l’identità presbiteriana non veniva scelta per la sua teologia, ma perché si trovava proprio al centro dello spettro sociale delle denominazioni: non così antiquata come gli episcopali, non così popolare e poco dignitosa come i battisti»140.
S’intravvede qui la spaccatura delle due grandi aree religiose del protestantesimo americano, quella conservatrice e quella liberal che, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, in special modo con l’affacciarsi del neofondamentalismo evangelico, delinea la peculiarità di un messaggio religioso, o di messaggi religiosi che rimandano a lobbies in lizza per l’accesso diretto alla sfera politica. Da ricordare a proposito di neofondamentalismo, che ha la sua matrice genetica nel protestantesimo, «la Moral Majority Inc. costituita da molti milioni di americani – siamo nel 1983 – , compresi pastori, rabbini e preti, i quali sono profondamente preoccupati del declino morale della nostra nazione e sono stanchi del modo con cui esponenti amorali del secolarismo umanista e molti liberali stanno distruggendo le migliori tradizioni e i valori della famiglia e della società. Come si può notare un duplice esplicito, quanto ambizioso tentativo: da un lato costituire un fronte morale per combattere la deriva secolari sta e dall’altro chiamare a raccolta non solo i protestanti che condividono questa meta, ma anche militanti di altre religioni storiche negli Stati Uniti, come i cattolici e gli ebrei»141. Un
tentativo in parte riuscito – come rileva Enzo Pace – specie per il complesso degli atteggiamenti morali nei confronti dell’etica sessuale e familiare. Ma, a parte un successo di
140 C. Taylor, L’età secolare, cit., p.636.
141 E. Pace, Credere nel relativo. Persistenze e mutamenti nelle religioni contemporanee, Utet, Torino, 1997, pp.
breve durata, riemerge oggi, un’etica liberale, che con particolare riferimento alle questioni morali citate, recupera tutto il portato della rivoluzione sessuale ed espressiva del ventennio precedente; senza dimenticare che, negli anni ottanta, i conservatori devono accusare il colpo degli eccessi del neofondamentalismo che in ordine alla contestazione delle pratiche abortive e della pornografia, assume reazioni spropositate e violente. Da segnalare per contro, dopo questo breve scatto in avanti, che negli anni sessanta – quantomeno sotto il profilo antropo- sociologico – si registra l’impegno di alcuni per realizzare una società pienamente plurale. Tra questi «Horace Kallen che sollecitava l’impegno di una classe di cittadini autonomi, autodisciplinati, capaci di cooperazione e disponibili allo scambio fra le culture, nella realizzazione della società della differenza. Secondo Kallen, scrive Ulderico Bernardi, ciò rendeva possibile l’assimilazione economica e politica nel mantenimento della differenza culturale. Egli collocava il senso di appartenenza fuori dalla politica, in una concezione “religiosa” (da ebreo- americano) della etnicità, come centro su cui poggia – per l’individuo – il punto d’incontro della sue più intime relazioni sociali, e quindi della sua vita emotiva più intensa»142. Tematiche attualissime, specie per l’Europa, riprese più di recente anche da
filosofi come Michael Walzer, e che negli Stati Uniti hanno dato a vita a politiche d’integrazione interculturale, abbastanza soddisfacenti.
La temperie dominante negli anni dell’autenticità, in sostanza, manifesta insoddisfazione per una prosperità informata sulla tradizione: «A che cosa si può assimilare la vita spirituale emersa dalla rivoluzione espressiva, con la sua mutata etica sessuale? Molti giovani stanno seguendo i propri istinti spirituali, per così dire, ma che cosa stanno cercando? Molti sono alla ricerca di un’esperienza più diretta del sacro, di una maggiore immediatezza, spontaneità e profondità spirituale. Ovviamente, il mondo creato dalla modernità occidentale ha suscitato spesso questo tipo di reazione nel corso (quantomeno) degli ultimi due secoli. Potremmo mutuare come suo slogan il titolo di una canzone della cantante americana Peggy Lee: “È tutto qua?”. Dev’esserci qualcosa di più nella vita, oltre a ciò che le nostre attuali definizioni di successo sociale e individuale ci indicano. Questo fattore ha sempre avuto un peso nei precedenti ritorni alla religione, come nel caso delle conversioni al cattolicesimo nella Francia di fine Ottocento e del primo Novecento. Ma in quei casi era intrecciato con un’identità neodurkheimiana e ancor più con un progetto di restaurazione dell’ordine civilizzato. È, invece, questa, una ricerca personale, e può essere facilmente codificata nel
142 U. Bernardi, Culture e Integrazione, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 136. Vedi anche H. Kallen, Culture and
linguaggio dell’autenticità: sto cercando di trovare la mia strada o di trovare me stesso»143.
Taylor spiega che questo seme arriva dritto dritto fino ai nostri giorni, dove questa ricerca interessa gli eredi della rivoluzione espressiva che, a onor del vero, rifiutavano l’immanenza della tradizione per poi celebrare, pure nello spirito della ricerca del sé, l’immanenza del consumo dei corpi, come ci ha ricordato più sopra Herbet Marcuse. Si rivendica il sentimento contro la supremazia della ragione, la centralità del corpo e dei suoi piaceri rispetto alla collocazione subalterna in cui era stato confinato nell’identità disciplinata e strumentale. Si cerca salute, bellezza, come mediazioni di salvezza, il linguaggio mescola individualità, olismo, armonia, equilibrio, flusso, integrazione concordia, concentrazione144. Insomma,
come avvertono alcuni psicologi, una ritrascrizione del reale in termini psico-affettivi, dove il sentimento si sostituisce all’anima, lo spirito alla mente e diventa piuttosto difficoltoso per un simile approccio, considerare condizioni come sofferenza, dolore, scomparsa, morte; una ritrascrizione del reale che rischia di diventare negazione del reale o costruzione di una realtà a scomparti, dove il confine tra realtà e fantasia, bisogno e desiderio, si fa sfumato e confuso, e dove, a volte, il “ritorno” alla realtà non è scevro di eventi traumatici o violenti. Qui il riferimento alle cosiddette denominazioni New Age è irrinunciabile. Si tratta di modalità di espressione e/o di ricerca “religiosa” che a volte assumo la costituzione sociale della setta, altre come “centri di servizi spirituali”. Uno degli esempi più noti è quello della Chiesa di Scientology che, un po’ ovunque (nel caso specifico del Veneto ad esempio) ha moltiplicato la propria presenza, incorrendo talvolta anche in condanne per plagio e per truffa in diversi Paesi del mondo. L’organizzazione “spirituale” New Age, si articola come un collage di elementi tratti da sistemi simbolici di credenza religiosa, ma non solo; una vera e propria immagine di neo-sincretismo che raccoglie in sé tracce di spiritualità o religioni orientali, elementi del cristianesimo, in specie protestante, psicanalisi, yoga e altro ancora; senza dimenticare una presunta lettura “astrologica” che vede “la nuova età dell’acquario sostituirsi all’età dei pesci”, il cristianesimo. Siamo di fronte a qualcosa di simile a quello che Gauchet chiama «cristiano-buddismo»145 e di cui diremo nel prossimo capitolo. La struttura sociale di
queste organizzazioni risponde alla formula che i sociologi definiscono MSP, Militanza Senza Partecipazione, che immediatamente appare come un ossimoro, ma che vediamo di cogliere nella sua sostanzialità:
143 C. Taylor, L’età secolare, cit., p. 637. 144 Ibid., p. 637-638.
In particolare si può dire che la forma di cui stiamo parlando si ha quando una persona ritiene di dover spendere una parte della propria vita per l’affermazione-difesa-diffusione di un certo credo religioso senza sentire il bisogno di condividere la vita interna dell’organizzazione di appartenenza, senza, infine, sposare in pieno i fini organizzativi che animano il gruppo cui egli fa capo: insomma, c’è un’adesione ideologica convinta, ma una estraneità sostanziale alle attività interne del gruppo. I casi emblematici sono rappresentati dai nuovi culti e movimenti religiosi che si sono sviluppati negli ultimi venti anni in Occidente, che strutturalmente sono organizzati come un insieme di servizi (centri di meditazione, ristoranti alternativi, luoghi dove praticare tecniche di rilassamento ecc.); in tutti questi casi, appunto, c’è una militanza cui non corrisponde un coinvolgimento attivo nell’organizzazione del gruppo. Ci si sente innanzitutto un utente, di certo convinto, tant’è che il credo di riferimento viene diffuso, ma nulla più146.
In sostanza, nella società contemporanea o post-moderna, venuta meno la capacità dei sistemi simbolici tradizionali, della religione ortodossa, per dirla con Taylor, nello specifico la religione del Dio personale, il cristianesimo, di porsi come centro orientativo della vita morale, individuale e collettiva delle persone, si affaccia sulla scena sociale, per così dire, un nuovo “mercato” dei beni religiosi – termine che i sociologi della religioni hanno mutuato dell’economia – con le sue offerte plurali di spiritualità, sostegno psicologico, orientamento morale che, nelle organizzazioni appena descritte, trova diffusa rappresentazione. Ci si approccia alla “bancarella” dell’organizzazione prescelta, per ottenere risposte attraverso, meditazioni, letture alternative, consulenze psicologiche e psicanalitiche, nel tentativo di incontrare una “salvezza” che, molto spesso, si consuma nel binomio salute-bellezza, magari condito con buone pratiche di autostima; insomma ci si aspetta di sentirci dire ciò che ci fa star bene. E si paga il servizio. Certo, gli esiti e i convincimenti, talvolta, sembrano poco apparentati con atteggiamenti razionali. Se, ad esempio, tra i cattolici, specie se vecchi, anziani e, in pochi casi ormai, adulti, sopravvive qualche rito che oggi potrebbe incontrare il marchio della “superstizione”, come nel caso dell’accensione della candela della Madonna della candelora, benedetta nella festa della presentazione di Gesù al tempio (2 febbraio), del bruciarne al fuoco un rametto d’ulivo benedetto nella domenica delle Palme e di “segnare” il tempo, in caso di fortunali particolarmente pericolosi; per quanto ci si sforzi di comprendere, risulta molto più irrazionale l’idea che grazie “all’energia dell’universo” si possano auto- guarire le malattie! Pare indubbiamente più razionale, se si crede in un Dio creatore – e questo
146 S. Acquaviva, E. Pace, Sociologia delle Religioni, Carocci editore, Roma, 1999, p. 110. Vedi anche E. Pace,
appartiene anche a parte della razionalità di derivazione illuminista – sostenere che a Lui appartenga il tempo e la storia e perciò che possa intervenire per evitare i pericoli della natura. Senza dimenticare qui, che l’abbandono del Dio personale, oltre alle espressioni che si riassumono come New Age, vede emergere in Occidente altre forme e altri sistemi di credenza, non sempre orientati alla pace sociale; un discorso questo che riprenderemo con Marcel Gauchet. Queste nuove forme di ricerca spirituale che si volgono – come in un passato assai remoto, anche se con modalità differenti – a suggestioni che richiamano divinità impersonali o spiritualismi panteistici, e quindi ancora ancorati all’eventuale idea di un dio impersonale, cadono spesso sotto l’accusa di eccessivo immanentismo o di individualismo, perfettamente in linea con un modus vivendi che pare irrevocabilmente dominante nelle aree Nord Atlantiche e nell’Europa contemporanea. Ma è su questa posizione che l’osservazione del filosofo canadese si fa interessante:
Ma l’idea che esso valga per tutti, che questo genere di ricerca per sua stessa natura debba gravitare verso l’interesse personale più angusto, è un’illusione che scaturisce dal dibattito spesso scomposto tra, da un lato, coloro il cui senso dell’autorità religiosa è offeso da questo genere di ricerca e, dall’altro, i fautori delle forme più centrate sul sé e sull’immanente, ciascuno dei quali ama indicare l’altro come il proprio principale antagonista. “Vedi cosa accade quando abbandoni l’autorità preposta” (cioè la Bibbia, o il Papa, o la tradizione, a seconda del punto di vista), dice il primo; “Non capisci che solo noi offriamo un’alternativa all’irragionevole autoritarismo”, replica il secondo. Entrambi rafforzati nella propria posizione dal pensiero che l’unica alternativa sia così completamente repellente. Ma così si perde di vista una parte importante della realtà spirituale della nostra epoca. […] Il tipo di ricerca cui alludo qui, e che è centrata su quella che gli autori chiamano “spiritualità”, e a cui contrappongono la “religione”, è effettivamente definito da una sorta di esplorazione autonoma, antitetica alla semplice resa all’autorità; e coloro che intraprendono questo tipo di percorso spirituale sono effettivamente stufi del moralismo e del feticismo delle regole che essi riscontrano nelle Chiese. […] In effetti, gli autori ritengono a ragion veduta che la spiritualità che noi chiamiamo “New Age” sia permeata in larga misura da un umanesimo che si ispira alla critica romantica del moderno agente strumentale e disciplinato, la quale, ha svolto un ruolo cruciale negli anni sessanta: l’accento cade qui sull’unità, l’integrità, l’olismo, l’individualità. Una spiritualità che si differenzia dalla “comune cultura soggettivistica del
benessere” per il desiderio generalizzato di andare al di là di essa. Da ciò deriva un approfondimento della ricerca»147.
Ciò che Charles Taylor intende dire è che la «fragilizzazione del reale»148, il rischio che l’uomo dell’età post-moderna si areni nelle secche del non-senso è un rischio reale e diffuso. Ecco che la spinta alla ricerca va accolta, in fondo, come quel bisogno di trascendenza o di radicalmente altro, antropologicamente fissato nel cuore dell’uomo, probabilmente smarrito dopo la perdita o la rinuncia al Dio personale o alle Chiese che sono depositarie del mistero trinitario, con lo sguardo improntato all’umanesimo e non all’opposizione ideologica. Perché non è escluso – se la prospettiva è quella del confronto dialogico – che questa ricerca di spiritualità si concluda per molti, con un trovare o ri-trovare cittadinanza e risposta nella tradizione o in quella che Taylor chiama religione ortodossa. Il senso del ponderoso lavoro del filosofo canadese, in effetti, si consuma nel «tentativo di studiare il destino della fede religiosa nell’Occidente moderno, intendendola però in un’accezione forte: la credenza in una realtà trascendente, da un lato, e la connessa aspirazione a una trasformazione che vada oltre l’ordinaria prosperità umana, dall’altro»149. E intorno a queste considerazioni farebbe
senz’altro eco Peter Berger: «in seno alla cultura secolarizzata continueranno ad esserci delle isole notevoli di soprannaturalismo»150. E perciò stesso ancora spazio anche per la religione
del Dio personale per competere sul terreno della spiritualità; competizione intesa come annuncio evangelico di salvezza che abbia come primo fine la cura d’anime. La chiosa di Taylor ribadisce che nella «nostra epoca è in corso una battaglia tra posizioni neo e postdurkheimiane: tra forme di religione o spiritualità che antepongono a tutto l’autorità, e perciò ostili ai modelli contemporanei della ricerca di spiritualità, e quelle che sono impegnate in tali ricerche e che tramite queste possono arrivare o meno a riconoscere l’una o l’altra forma di autorità. Una contrapposizione che nella nostra civiltà risale a cinquecento anni fa, all’epoca della Riforma»151. Non c’è dubbio comunque sul fatto che se l’esigenza di credere
in qualcosa di superiore si allarga; le ricerche – soprattutto della sociologia – mostrano che «sono sempre meno numerosi coloro che dichiarano di credere in un Dio personale, mentre molti confidano in qualcosa di simile a una forza impersonale; in altre parole, cresce il numero di quanti manifestano credenze religiose che si allontanano dall’ortodossia cristiana. Nella medesima direzione procede la crescita delle religioni non cristiane, specie di quelle di
147 C. Taylor, L’età secolare, cit., pp. 639-641. 148 Ibid., p.892 e segg.
149 Ibid., p. 641.
150 P.L. Berger, Il brusio degli angeli. Il sacro nella società contemporanea, il Mulino, Bologna, 1995, p. 42. 151 C. Taylor, L’età secolare, cit. p. 642.
origine orientale, e la proliferazione di pratiche New Age, di visioni che colmano il varco tra ciò che è umanista e ciò che è spirituale, di pratiche che legano spiritualità e terapia»152.
Daniéle Hervieu-Leger parla di una “divaricazione tra credenza e pratica. Di uno scollamento tra credenza, appartenenza e riferimento identitario, mentre Grace Davis usa l’espressione: “credere senza appartenere”153, di cui si è detto più indietro. Aggiunge Taylor:
Lo stretto legame normativo tra una determinata identità religiosa, la credenza in alcune proposizioni teologiche e una pratica tipica non regge più per un gran numero di persone. Molti di essi sono impegnati nell’assemblare la loro personale prospettiva mediante una sorta di “bricolage”; ma esistono anche alcuni modelli ampiamente diffusi, che contrastano con le costellazioni tradizionali. Oltre a chi dichiara di avere una qualche fede in Dio, e s’identifica con una Chiesa senza realmente frequentarla (“credere senza appartenere”), esiste anche un modello scandinavo d’identificazione con la Chiesa nazionale, che viene frequentata solitamente per i principali riti di passaggio, mentre si professa un diffuso scetticismo riguardo alla sua teologia. Lo stretto legame tra l’identità nazionale, una determinata tradizione