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Il Chicago Bauhaus

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 52-65)

Dal primo al secondo dopoguerra

4 Il Chicago Bauhaus

La diffusione della fotografia off-camera negli Stati Uniti si deve a László Moholy Nagy e all’apertura del New Bauhaus di Chicago nel 1938. Lasciata la cattedra al Bauhaus di Dessau nel 1928, Moholy Nagy proseguì le sue ricerche esponendo i suoi lavori in diversi paesi europei, trasferendosi stabilmente a Londra nel 1935. Un paio di anni più tardi, su suggerimento di Walter Gropius – fondatore del Bauhaus – si candidò per la 35 Ei Kyu, For the Liberal Production of Photograms, in Photo Times, 1930. Il riferimento è stato tratto da Photograms after WW II, http://www.photograms.org

direzione del nuovo Bauhaus che avrebbe aperto l’anno successivo a Chicago. Come anticipato in precedenza, la scuola chiuse in meno di un anno a causa di problemi finanziari. Grazie alla sua dedizione e perseveranza, Moholy-Nagy riuscì a fondare la propria Scuola di Design, che nel 1944 fu accorpata all’Illinois Institute of Technology. Nel corso dei primi anni di apertura della scuola, diversi artisti entrarono in contatto con Moholy-Nagy e i suoi lavori furono d’ispirazione per la loro opera.

L’idea di imitare la natura era già stata scartata a fine Ottocento in quanto non più in grado di soddisfare l’occhio e la sensibilità moderna. Oltre a considerare la luce come nuovo mezzo espressivo e creativo, Moholy-Nagy vide nella liberazione dalla strumentazione fotografica la stessa libertà conferita dall’astrattismo in pittura. Il fotogramma rappresentava per lui un fattore di riordino dello spazio e del tempo, nonché un atto profondamente rivoluzionario36. In modo più o meno profondo,

Moholy-Nagy influenzò studenti e insegnanti che collaborarono con lui a Chicago. Arthur Siegel (1913-1978) contribuì in maniera massiccia alla fotografia sperimentale del Novecento. Poco prima della morte di Moholy-Nagy gli fu affidata la cattedra di fotografia all’Istituto di Design di Chicago. Realizzò i primi fotogrammi tra il 1930 e il 1940 seguendo le orme dell’artista ungherese senza apportare particolari innovazioni. Fu quando ritornò a insegnare a Chicago che i suoi lavori divennero più interessanti e personali. Negli anni Quaranta realizzò fotogrammi retro-illuminando o proiettando luce attraverso mascherine di vari materiali su carta fotografica, battezzando i lavori

lucidagrams. Proprio come Moholy-Nagy, Siegel tentò di svelare tutte le potenzialità di

un mezzo – la fotografia – fondato sulla presenza della luce. Forme, colori e materiali diversi vennero impiegati dall’artista americano per creare composizioni astratte di forte impatto visivo. Siegel si dedicò alla realizzazione di fotogrammi fino agli anni Settanta.

Al pari di Arthur Siegel, Henry Holmes Smith (1908-1986) fu uno dei docenti di fotografia più influenti del secolo scorso. Si interessò alla fotografia off-camera fin dagli anni Venti, ispirato dalla ricerca di László Moholy-Nagy, che lo invitò a insegnare al New Chicago Bauhaus nel 1938. Partendo dalle ricerche sulla luce di Moholy-Nagy, dal 1948 Smith cominciò a esplorare le possibilità di rifrazione luminosa attraverso sciroppi e liquidi vari colati su lastre fotografiche, ottenendo fotogrammi in cui forme astratte galleggiano sullo sfondo e ombre taglienti si alternano a sagome luminose. Le immagini, stranianti e surreali, creano un universo metaforico grazie ai titoli attribuiti alle opere: come The Alchemist, Grotesque (Fig. 31), o Giant.

Artista e designer di origini ungheresi, György Kepes (1906-2001), fu docente al New Bauhaus e alla successiva School of Design, dove fu responsabile del laboratorio di Luce e Colore. Kepes fu, tra gli artisti di Chicago, il più vicino e in sintonia con la ricerca 36 T. Barrow, Moholy-Nagy and the Chicago Bauhaus, in Experimental Vision, T. Strauss (a cura di), Roberts Rineharts Publishers, New York, 1994.

di Moholy-Nagy. I due artisti ungheresi avevano già collaborato a Berlino negli anni Trenta e si trasferirono insieme negli Stati Uniti nel 1937. Nel 1944 pubblicò Language

of Vision, un saggio sulla percezione visiva, illustrato da suoi fotogrammi e da quelli di

Moholy-Nagy e Man Ray. Arte e scienza, uomo e natura, cultura e tecnica sono binomi su cui insistette particolarmente e per i quali si sforzò di trovare una compenetrazione. Tutti i suoi lavori off-camera mirano a trovare un metaforico equilibrio tra le strutture artificiali e naturali in cui l’uomo è immerso. Kepes sfruttò ogni tipo di materiale, giocò con il positivo e il negativo fotografico e imparò a controllare il caso dimostrando come l’arte e la scienza abbiano lo stesso linguaggio visivo: l’astrazione.

Theodore Roszak (1907-1981) conobbe le opere di Moholy-Nagy negli anni Trenta mentre studiava tra Monaco e Praga. Ebbe modo di conoscerlo di persona quando cominciò a lavorare come consulente al Design Laboratory di New York. L’influenza di Moholy-Nagy e della sua scuola di Chicago furono particolarmente forti, tanto da spingerlo a iniziare a realizzare fotogrammi nel 1941. Oggetti quotidiani e luce sono i semplici elementi sfruttati da Roszak. Tutt’altro che semplici e banali sono i risultati che ottenne: composizioni di carattere che enfatizzano la geometria e l’astrazione delle forme (Fig. 32).

Christian Schad, Man Ray e László Moholy-Nagy hanno il merito di aver saputo guardare alla fotografia con occhi nuovi, concentrandosi sui due soli semplici elementi che la compongono: il segno e la luce. Gli sperimentatori contemporanei della fotografia senza macchina fotografica guardano non solo alle ricerche dei tre pionieri dell’off- camera, ma devono moltissimo anche ai lavori compiuti dagli altri artisti di inizio secolo, profondamente influenzati dalle Avanguardie.

Il periodo che comprende i due dopoguerra, come si è visto, è particolarmente ricco di innovazioni in campo artistico e fotografico. Mentre il nuovo modo di guardare e di rappresentare la realtà in ambito artistico verrà mantenuto solo in parte nei decenni successivi, la fotografia off-camera continuerà, invece, a indagare il mondo con occhi diversi fino ai giorni nostri.

La Seconda guerra mondiale ha rappresentato un profondo spartiacque non solo dal punto di vista politico e sociale ma anche in ambito artistico. Molte delle ricerche e degli ideali delle Avanguardie e del Bauhaus furono bruscamente interrotti dal conflitto mondiale, diversi artisti furono costretti a espatriare e la capitale artistica mondiale si spostò da Parigi agli Stati Uniti.

Negli anni della Guerra la fotografia si concentrò soprattutto sulla documentazione della realtà e sul raccogliere testimonianze degli orrori che si stavano perpetrando in Europa. Il regime nazista aveva duramente condannato l’arte d’avanguardia – dall’Espressionismo al Dadaismo, dal Surrealismo alla Nuova Oggettività – definendola

“arte degenerata” in quanto non rispecchiava gli ideali estetici del Nazismo e della razza ariana. A essere censurata fu anche la fotografia sperimentale i cui soggetti, lontani da una rappresentazione oggettiva della realtà, erano considerati immorali, imbarazzanti e, più in generale, da condannare. L’arte prodotta dopo la Seconda guerra rispecchiava i nuovi sentimenti in seno alla popolazione mondiale, profondamente scossa dagli eventi bellici. Anche in ambito fotografico gli artisti si fecero portatori di un sentimento di rivalsa, esplorando nuovi orizzonti e modalità di rappresentazione. La fotografia fu in grado di ridare voce non solo alle ricerche e agli ideali delle Avanguardie ma anche di sostenere le ricerche artistiche nate tra gli anni Cinquanta e Sessanta. L’off-camera riuscì, in modo particolare, a riflettere l’estetica dell’astrattismo, dell’Arte Informale e dell’Op-art.

Fig. 18: C. Schad, 1918, schadografia

Fig. 19: Man Ray, 1922, collage dei dodici rayogrammi pubblicati in Les Champs dèlicieux

Fig. 20: Man Ray, The Kiss, 1922

Fig. 21: Man Ray, 1931, collage dei rayogrammi che compongono Èlectricitè

Fig. 22: L. Moholy-Nagy, 1926, fotogramma

Fig. 23: B. Munari, Suoni, 1933

Fig. 24: J. A. Boiffard, 1930

Fig. 25: El Lissitzky, 1924, fotogramma per la campagna pubblicitaria di Pelikan

Fig. 26: A. Rodchenko, L’Armata Rossa, 1938 Fig. 27: K. Hiller, Kompozycja heliograficzna (IV), 1932

Fig. 28: C. Moffat, ca. 1930

Fig. 30: N. Yasui, Magnetic Field, 1939

Fig. 32: T. Roszak, 1937-39

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 52-65)