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Nuove tecnologie al servizio dell’off-camera

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 100-129)

Dagli anni Settanta a ogg

3 Nuove tecnologie al servizio dell’off-camera

Il mondo contemporaneo ha assistito alla nascita di nuove tecnologie e al miglioramento di quelle già esistenti, permettendo ai fotografi di confrontarsi con nuovi media e di sfruttarne le potenzialità, spingendo l’off-camera verso mete sempre più sorprendenti. La particolarità delle immagini realizzate risiede nello stridente connubio tra il fotogramma – la più semplice e antica tecnica fotografica – e le meraviglie offerte dalle più moderne tecnologie.

Già a partire dagli anni Sessanta alcuni artisti iniziarono a utilizzare le prime fotocopiatrici per scopi artistici, ottenendo immagini in cui il bianco delle figure che si stagliano sullo sfondo nero e la modalità di realizzazione ricordano da vicino le fotografie per contatto. L’avvento del digitale e la comparsa sul mercato dei primi scanner hanno donato un ulteriore impulso alla tecnica, arricchendola con il colore e la possibilità del ritocco tramite computer. La scanner photography (o scanography) è il più moderno esempio di fotografia senza macchina fotografica e permette di ottenere immagini che spaziano dall’assoluto astrattismo al più totale realismo. Servendosi di uno scanner gli artisti dispongono sul piano di lettura di vetro oggetti di diversa fattura, eseguono la scansione e, se necessario, ritoccano l’immagine digitalmente. Ricalcando la tradizione delle fotografie per contatto di specie botaniche, diversi artisti si servono di fiori e piante. Se da un lato Dale Hoopingarner crea composizioni geometriche e caleidoscopiche (Fig. 85), Kim Kaufmann esalta le texture di petali e foglie realizzando fotografie che richiamano stoffe e tessuti. Il mondo animale è, invece, esplorato da Christian Staebler, che dà vita ad habitat digitali di insetti (Fig. 86) e piccoli roditori e da Tamara Stoneburner, i cui scanographs indagano le geometrie e i pattern di piume e conchiglie. Anche il corpo umano trova spazio nelle sperimentazioni con lo scanner: Matus lo studia in maniera scientifica (Fig. 87), mentre Elena Kropaneva lo deforma realizzando ritratti floreali. Rebecca Wild e Jamie Ruas si servono, invece, del vetro dello scanner come supporto per dipingere e versare liquidi colorati i quali, una volta immortalati, danno vita a esplosioni di colore o sottili tratti calligrafici (Fig. 88). Un approccio diverso è offerto da Seth Lambert. La sua “ossessiva ricerca della perfezione”69 ha spinto l’artista a organizzare tutte le opere appartenenti alla serie Failures in reticoli: la più semplice rappresentazione dell’ordine, della coerenza e

dell’oggettività. Per realizzare Shaved Facial Hair (Two Week Growth) (2006) Lambert attese due settimane prima di radersi la barba direttamente sulla lastra dello scanner eottenerne l’immagine. Successivamente analizzò il risultato al computer e isolò 13733 peli che dispose ordinatamente in una griglia composta da 117 righe e 117 colonne, con un avanzo di 44 unità. Lo stesso procedimento fu eseguito per Glass Shards from 69 S. Lambert nella video intervista concessa in occasione della mostra The Edge of Vision: Ab- straction in Contemporary Photography alla Aperture Foundation a New York nel 2009.

a 18”x70” Mirror (2007). Lambert fece cadere da un’altezza corrispondente al doppio

della propria uno specchio largo e alto quanto se stesso su un reticolo di fogli di carta della stessa dimensione della lastra del suo scanner. Successivamente posizionò ciascuna scheggia di vetro sullo scanner in base alla posizione in cui era caduta ed eseguì la scansione. Digitalmente l’artista riorganizzò i 7034 pezzi di vetro in 84 righe e altrettante colonne, con un avanzo di 62 pezzi. Il desiderio di ordinare in griglie gli oggetti quotidiani, spinse l’artista a schematizzare gocce d’acqua, le proprie impronte digitali, le pieghe su un foglio di carta, ma anche il nulla. In Nothing on the Bed of an

Epson Expression 10000XL (2006), infatti, i 3505 minuscoli “artefatti”, come li battezzò

Lambert, che compaiono nella griglia sono frutto di graffi, imperfezioni e depositi di polvere presenti sul vetro dello scanner nel momento in cui l’artista effettuò una scansione a vuoto, senza porre nulla nello scanner. Le griglie realizzate da Lambert non sono mai quadrati perfetti, è sempre presente una riga finale con meno elementi delle altre. Questa imperfezione, per quanto trascurabile e difficilmente riscontrabile a occhio nudo, rappresenta l’inutilità degli sforzi dell’artista nel raggiungere la perfezione, che rimane un’utopia lontana.

Di stampo concettuale è Digital Scores (after Nicéphore Niépce) (1995) di Andreas Müller- Pohle (n. 1951). Eseguendo la scansione di Vista dalla finestra a Le Gras, la fotografia realizzata da Niépce nel 1826, l’artista ne estrapolò il codice digitale attribuitole dal computer e lo copiò su otto pannelli. Ogni segmento rappresenta un ottavo di byte di memoria, una sorta di DNA digitale della prima fotografia (Fig. 89).

Il limite estremo offerto dalle tecnologie moderne è la possibilità di creare immagini da zero, servendosi unicamente di codici numerici. Anche se difficilmente considerabili fotografie, in quanto qualsiasi legame con la realtà è assente, sono diversi i fotografi – o per meglio dire, gli artisti – che si dilettano a costruire immagini. Il fotografo tedesco Thomas Ruff (n. 1958) ha saputo sfondare le barriere del fotogramma realizzando la serie Photograms in cui nessun oggetto reale è stato adoperato per ottenere le immagini. Collaborando con un esperto di produzione di immagini 3D, Ruff creò una camera oscura virtuale che gli permise di sperimentare indicando forma, dimensione, colore, materiale e trasparenza della materia digitale. Gli oggetti immaginati, unitamente alla progettazione delle caratteristiche della carta e dell’illuminazione, hanno dato vita a fotogrammi virtuali in cui sfere, angoli, onde e ombre si stagliano su sfondi colorati (Fig 90).

Quando si realizzano fotogrammi senza l’ausilio di una macchina fotografica, si può certamente parlare di fotografia astratta, in quanto mancano le lenti e il mezzo di registrazione corrispondente. Non si ottengono più immagini della realtà o di oggetti, ma solo le loro ombre. È un po’ come la caverna di Platone, dove si poteva solo immaginare la

realtà; i veri oggetti non erano visibili.70

A servirsi dei computer è anche il giovane artista indiano Aditya Mandayam, ma invece che lavorare con codici e scritture digitali adopera semplicemente la luce offerta dallo schermo. Mandayam ha creato i laptopograms: fotogrammi realizzati esponendo la carta fotografica su schermi di computer, smartphone e tablet per qualche secondo. L’artista definisce il laptopogram “una cosa mnemonica, come lo sono alcune foto. È un sistema per ricordare le cose quotidiane”71. Proprio come i primi fotografi e i pionieri dell’off-

camera, Mandayam parla proprio presente, in questo profondamente influenzato e colonizzato da dispositivi elettronici.

A calarsi profondamente nel mondo contemporaneo è anche il fotografo inglese Nick Veasey, la cui indagine del quotidiano non si ferma alla superficie.

Viviamo in un mondo ossessionato dall’immagine. Il nostro aspetto, l’aspetto dei nostri vestiti, delle nostre case, delle nostre macchine.. Mi piace ribattere a questa ossessione per l’apparenza superficiale usando i raggi x per togliere gli strati e mostrare cosa c’è sotto la

superficie. Spesso la bellezza integrale aggiunge fascino a ciò che è familiare.72

Come alcuni studiosi di fine Ottocento, dunque, Veasey sfrutta la radiazione x per indagare la realtà e produrre immagini artistiche. Nel corso degli anni ha avuto modo di puntare la sorgente dei raggi verso migliaia di oggetti diversi, a partire da piccoli fiori fino a interi aerei. Le opere di Veasey, realizzate su più lastre e poi unite tramite Photoshop, incuriosiscono e spingono l’osservatore a immergersi nei più piccoli dettagli di oggetti che si vivono tutti i giorni. L’uomo è stato attratto da ciò che è misterioso e si cela alla vista fin dai tempi più remoti. Grazie alla scoperta di Röntgen svelare l’invisibile non era più solamente un sogno irrealizzabile; con le tecnologie moderne nessun oggetto riesce a sottrarsi al nostro occhio indagatore (Fig. 91).

Anche Heather Ackroyd (n. 1959) e Dan Harvey (n. 1959) realizzano le proprie opere utilizzando una tecnica di per sé semplice e molto nota ma declinandola in maniera originale grazie a strumentazioni all’avanguardia. Il duo artistico si occupa di

photosynthetic photography, una modalità di stampa fotografica che sfrutta la variazione

di colorazione dell’erba in base alla sua esposizione alla luce. In assenza di luce i fili d’erba germogliano ma al posto della clorofilla vengono prodotti altri pigmenti che donano alla pianta un colore giallo. In piena luce, al contrario, la clorofilla si sviluppa 70 Citazione di T. Ruff riportata nel comunicato stampa della mostra Thomas Ruff: Photograms and

Negatives organizzata alla Gagosian Gallery di Beverly Hills nel 2014. http://www.gagosian.com

71 A. Mandayam nell’intervista rilasciata a Clickblog nel 2010. http://www.clickblog.it

72 N. Veasey in X-Ray Photography by Nick Veasey, D. Tomić Hughes, 2013. http://www.yellowtra- ce.com.au

in abbondanza colorando di un verde intenso l’erba (Fig. 92).

La Ackroyd e Harvey proiettano su porzioni di erba negativi fotografici utilizzando ingranditori. Con il passare del tempo i fili d’erba variano la propria colorazione in base alla quantità di luce che ricevono, dando vita a immagini che sono letteralmente disegnate dalla luce . Si tratta di immagini fragili, effimere, la cui durata è limitata nel tempo e legata a condizioni che non si possono controllare.

L’utilizzo di piante viventi e della fotosintesi per creare un’immagine evoca un complesso insieme di relazioni associate al tempo e allo spazio. La fotografia si sviluppa tramite la materia organica, inevitabilmente legata al deperimento e alla scomparsa, e intrinsecamente simbolo dell’eterno ciclo naturale. […] Mentre abbracciamo la natura effimera dei materiali, in un certo modo la fragilità di queste apparizioni di clorofilla ci spinge a cercare un modo per preservarle. Concettualmente giustifichiamo questa inclinazione in quanto segue il processo consolidato di esporre, sviluppare e fissare l’immagine emergente, come avevano

inizialmente concepito quasi duecento anni fa i pionieri della fotografia.73

73 Ackroyd & Harvey nell’intervista rilasciata a Marco Antonini pubblicata in Experimental Photo-

graphy. A Handbook of Techniques, M. Antonini, S. Minniti, F. Gómez, G. Lungarella, L. Bendandi, Thames

Fig. 46: B. Conner, Sound of Two

Hand Angel, Fig. 47: B. Conner, Teardrop Angel, 1974

Fig. 50: R. Heinecken, Are You Rea #2, 1964-1968 Fig. 51: R. Heinecken, Recto/Verso #3, 1989

Fig. 52: R. Heinecken,

Iconographic Art Lunches #3, 1984

Fig. 54: C. Marclay, Allover (Genesis, Travis Tritt, and others), 2008

Fig. 55: C. Marclay, Large

Cassette Grid No. 6, 2009

Fig. 57: S. Derges, River Taw, ca. 1995, collage di alcuni fotogrammi della serie

Fig. 58: S. Derger, Arch 4, Summer, 2007-2008

Fig. 60: R. Huarcaya, Amazogramas, 2014, collage di due fotogrammi della serie

Fig. 61: A. Broomberg e O. Chanarin, The Day Nobody Died, 2008

Fig. 59: L. Oppenheim, Heliograms, July 8th, 1876/December

Fig. 1: M. Snow, Field, 1973-1974 Fig. 63: C. Bucklow, Tetrarch 1, 2016

Fig. 64: G. F. Miller, Breething in the Beech

Wood, Homeland, Dartmoor, Twenty-four Days of Sunlight, May 2004, 2004

Fig. 66: E. Carey, Dings and

Shadows, 2010-2015

Fig. 67: E. Carey, Push Pins, 1995, collage di tre fotogrammi della serie

Fig. 68: E. Carey, Pen Lights, 2007

Fig. 70: J. Welling, 2004-2007, fotogramma della serie

Flowers

Fig. 71: W. Beshty, Six Magnet, Three

Color Curl (CMY: Irvine, California, September 6th 2009, Fuji Crystal Archive Type C), 2009

Fig. 72: J. Welling, 2009-2012, fotogramma della serie Water

Fig. 74: S. Takeda, Trace #7, 2012

Fig. 75: W. Beshty, Six Magnet, Three Color Curl

(CMY: Irvine, California, September 6th 2009, Fuji Crystal Archive Type C), 2009

Fig. 76: R. Buelteman, Purple Clematis, 2003-2006

Fig. 80: S. Rankaitis, CT #2, 2011 Fig. 78: A. Fuss, Medusa, 2010

Fig. 81: M. Breuer, Tilt (C-339), 2003 Fig. 79: A. Fuss, Love, 1992

Fig. 82: I. Wolff, Earth, 1998-2002

Fig. 83: L. Evans, Inside Out, 2012

Fig. 85: D. Hoopingarner, Serenity Fig. 86: C. Staebler, Elements from July

Fig. 87: Una scanografia di Matus

Fig. 89: A. Müller-Pohle, Digital Scores (After

Nicéphore Niépce), 1995

Fig. 90: T. Ruff, phg. 01, 2012

Fig. 91: N. Veasey, Lightbulb A. P., 2006

Fig. 92: H. Ackroyd e D. Harvey, Myles, Basia,

Capitolo 5

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 100-129)