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La fotografia concreta e l’off-camera

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 69-72)

Gli anni Cinquanta e Sessanta

3 La fotografia concreta e l’off-camera

Gli anni Cinquanta e Sessanta assistettero alla nascita del concetto di fotografia concreta, secondo il quale lo scopo della fotografia non risiede unicamente nella riproduzione di oggetti, ma nella creazione di nuove immagini autonome, legate unicamente al mezzo fotografico e non riconducibili ad alcunché di reale.

Nel 1968 il movimento Generative Fotografie si fece promotore delle ricerche della fotografia concreta.

La fotografia generativa è una specie di “fotografia produttiva” che si distacca dalla tradizionale idea di esattezza nella riproduzione fotografica. Non si limita più a riprodurre semplicemente gli oggetti, ma produce essa stessa nuove forme. […]

Non si limita più a riprodurre oggetti, come la fotografia convenzionale, ma produce nozioni astratte: figure immaginate, teoremi, modelli, idee. Non trasmette solamente un punto di vista “esterno” ma anche un punto di vista “interno”, un’immagine intrinseca del sistema pittorico uomo/macchina. […]

La fotografia generativa crea un linguaggio fotografico concreto e costruttivo, con l’intento

di portare alla luce immagini nascoste nel processo fotografico.45

Con queste parole il fotografo tedesco Gottfried Jäger (n. 1937), teorico del movimento, descrive la fotografia generativa. La chimica, la fisica e la materia fotografiche sono gli 45 G. Jäger, Generative Photography: A Systematic, Constructive Approach, in Leonardo vol. 19, 1986, pp. 19-20. http://www.gottfried-jaeger.de

elementi essenziali con cui creare immagini e mondi del tutto nuovi. I già citati Pierre Cordier e Heinz Hajek-Halke fuorno, insieme a Jäger, i principali sostenitori del nuovo movimento.

Va sottolineato che già prima della nascita del concetto di fotografia concreta furono diversi gli artisti e i fotografi che si occuparono di realizzare immagini slegate dalla realtà oggettiva – primi fra tutti Christian Schad, Man Ray, László Moholy-Nagy e molti degli esponenti delle Avanguardie –, ma fu solo verso la fine degli anni Sessanta che alcuni fotografi focalizzarono la loro ricerca verso la liberazione delle immagini intrinsecamente nascoste e legate al mezzo fotografico. La fotografia generativa si discosta da quella sperimentale soprattutto per quanto riguarda il rapporto con il caso: se quest’ultima è strettamente dipendente dalla casualità con cui luce e oggetti agiscono sulla carta fotografica, la fotografia concreta affonda le proprie radici nel pensiero logico e scientifico, attraverso il quale il caso può solo flebilmente imporre la propria presenza.

La fotografia concreta esplora, dunque, la fotografia dal punto di vista dei suoi elementi essenziali: carta, emulsione, chimica, tempo e luce, ma anche – successivamente – computer e digitale. Pur ancorandosi al desiderio di creare una fotografia pura, legata unicamente al mezzo fotografico e in grado di dar vita a immagini del tutto nuove e autarchiche, l’immaginario estetico della fotografia generativa spazia dall’astrattismo all’arte optical fino a raggiungere dimensioni quasi surreali. Si tratta di un modo di concepire e realizzare la fotografia quasi filosofico e che, oltre a poter essere ricondotta alle ricerche fotografiche d’avanguardia, si protrae fino a oggi.

Il contributo di Gottfried Jäger alla fotografia concreta fu ovviamente fondamentale. La sua ricerca in ambito fotografico era inizialmente orientata a fare di lui un fotografo convenzionale, ma con il tempo esplorò le potenzialità artistiche del mezzo e rimase talmente affascinato dalle infinite possibilità creative della fotografia da arrivare ad applicarle sia nella sfera pratica che in quella teorica. All’inizio degli anni Sessanta realizzò la serie Rost, composta da decine di fotogrammi che indagano le molteplici potenzialità espressive ed estetiche di un pezzo di metallo arrugginito. Ogni fotogramma è legato a quello precedente e ne rappresenta lo sviluppo. Nel 1965 lavorò alla serie Polarizations (Fig. 39). Si tratta di immagini ottenute posizionando un pezzo di cellophane su carta fotografica colorata ed esponendola a luce polarizzata. L’anno successivo iniziò a occuparsi dei Photogenic Landscapes (Fig. 40): fotogrammi di liquidi e soluzioni che danno vita a micro e macrocosmi esteticamente simili a superfici lunari. Prendendo come punto di partenza i suoi primi lavori di fotografia sperimentale, Jäger si convinse dell’esistenza di immagini latenti, legate intrinsecamente alla materia fotografica, e lavorò assiduamente per cercare di rivelarle. Tra le tecniche che utilizzò, risalgono alla fine degli anni Sessanta le Pinhole Structures: vere e proprie camere oscure che lasciavano filtrare la luce, imprimendo sulla carta fotografica una distesa di punti

luminosi (Fig. 41).

La ricerca di Jäger fu sostenuta in maniera consistente dallo sviluppo dei primi apparecchi informatici che iniziò a utilizzare per creare nuove immagini. Ancora oggi la tecnologia riveste un ruolo fondamentale nella sua opera.

Kilian Breier (1930-2011) si inserì perfettamente nel panorama fotografico degli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 1954-55 alcuni suoi lavori, tra cui un’opera realizzata versando lo sviluppatore sulla carta fotografica, furono esposti a Subjektive Fotografie 2, e successivamente fu uno dei pionieri della fotografia concreta. La sua ricerca si concentrò soprattutto sulla realizzazione di luminogrammi, in cui la luce – elemento fotografico per eccellenza – dà vita a forme e immagini. A partire dal 1960 sfruttò la luce generata da un fiammifero per illuminare carta fotografica piegata, stropicciata e manipolata. Il fuoco fa scaturire immagini della carta che parlano della carta stessa, delle sue forme e della sua superficie.

La fotografia concreta ha avuto due importanti sostenitori in ambito svizzero. Benché la sua ricerca fosse inizialmente orientata verso la riproduzione della realtà, René Mächler (1936-2008) iniziò gradualmente a interessarsi della pura scrittura di luce. La passione per la cameraless photography crebbe tanto da fargli abbandonare definitivamente la macchina fotografica. Prendendo come punto di riferimento László Moholy-Nagy e la sua idea di luce come nuovo strumento artistico, Mächler diresse la propria opera verso il puro design di luce e abbracciò la teoria della fotografia concreta. I fotogrammi e i luminogrammi realizzati dal fotografo svizzero si caratterizzano per una marcata presenza di forme geometriche e il tema della luce che riflette se stessa.

Anche lo svizzero Roger Humbert (n. 1929) fu uno dei più influenti e produttivi esponenti della fotografia concreta e ancora oggi si fa portatore degli stessi ideali. “Io fotografo la luce”. Poche e semplici parole descrivono precisamente l’intento di Humbert: catturare la concretezza della luce, il mezzo stesso e non il manifestarsi della luce attraverso gli oggetti. Il luminogramma è la tecnica di cui si servì maggiormente. Lavorando nella completa solitudine della camera oscura, Humbert permise alla luce di agire sulla carta fotografica modulandola attraverso stencil, lastre di plexiglass, e griglie. Le sue opere creano una nuova forma di realtà in cui la luce disegna se stessa dando a vita a costellazioni scintillanti46 (Fig. 42).

I fotogrammi di Humbert si distaccano da quelli “classici” nella loro analiticità. L’artista non è mai stato interessato a trasformare la materia in forme e linee, né a dover trattare le sue opere come materiale astratto. Obiettivo di Humbert era catturare la luce nella sua sensualità attraverso un approccio sia tecnico che teorico47.

46 G. Dietrich, T. Rodriguez, Concrete Photography Generative Photography, Photo Edition Ber- lin, Berlino, 2016

47 B. Stiegler, Konkrete Fotografie als Programm. Roger Humbert, Photo Edition Berlin, Berlino, 2017, p. 19.

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 69-72)