• Non ci sono risultati.

Christian Schad

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 40-42)

Dal primo al secondo dopoguerra

1.1 Christian Schad

Christian Schad (1894-1982) nacque e crebbe in Germania. Terminati gli studi all’Accademia di Belle Arti di Monaco, nel 1915, per sfuggire alla guerra, si trasferì in Svizzera, dove entrò in contatto con il Dadaismo. Ben presto divenne una figura di primo piano del movimento.

Intorno al 1919 Schad cominciò a realizzare fotografie sfruttando unicamente la luce del sole e ritagli di giornale, scampoli di tessuto e altri materiali di scarto posizionati sulla carta fotosensibile.

Il procedimento consiste nel fare delle fotografie senza macchina fotografica. Si dispongono degli oggetti su una superficie sensibile (lastra o carta) e li si espone a una fonte luminosa. In due parole questo è il procedimento, ma le sue applicazioni sono molteplici. Si tratta soltanto di scegliere gli oggetti e di disporli in modo che ne risulti una enunciazione. Il gusto è determinante. Anche qui si può cadere nella volgarità. A mio parere si dovrebbero

utilizzare solo gli oggetti che hanno in sé una qualità magica. E questo non è così semplice.11

Con questi termini Christian Schad spiega, in una lettera indirizzata a Helmut Gernsheim12 nell’agosto del 1960, la semplicità del procedimento, a metà strada tra la

fotografia e il collage. I suoi fotogrammi – di dimensioni sempre piuttosto piccole – incarnavano lo spirito dadaista in due modi: erano anti-arte, in quanto non sfruttavano né i mezzi né i soggetti artistici tradizionali, ed erano anti-fotografia, perché tutt’altro simili alle immagini fotografiche che riproducevano soggetti riconoscibili13. Molto

spesso, per liberarsi del convenzionale formato quadrato, Schad interveniva sui propri lavori ritagliando la carta fotografica in forme astratte (Fig. 18).

Tristan Tzara (1896-1963), uno dei fondatori del Dadaismo, rimase affascinato dai lavori di Schad e decise di pubblicarne uno sulla rivista Dadaphone nel marzo del 1920 con il titolo Arp et Val Serner dans le crocodarlum royal de Londres. Nello stesso anno un altro fotogramma di Scahd comparì sulla rivista berlinese Dadaco. Fu sempre Tzara a battezzare i fotogrammi di Schad schadografie, giocando con la parola inglese shadow (ombra) e il cognome dell’artista.

Christan Schad produsse circa venticinque fotogrammi nel 1919 per poi abbandonare la tecnica e dedicarsi alla pittura. Riprese in mano il processo nel 1960, producendo una serie dedicata all’opera Gaspard de la Nuit del poeta francese Aloysius Bertrand (1807-1841). I fotogrammi prodotti negli anni Sessanta si distinguono da quelli di inizio

11 La citazione è stata tratta da Christian Schad e le Schadografie, 2011, http://daseyn.blogspot.it 12 Helmut Gernsheim (1913-1995) fu uno storico della fotografia, collezionista e fotografo tedesco.

13 F. M. Neusüss, From Beyond Vision. Photograms by Christian Schad, Man Ray, László Moholy-Nagy,

Raoul Hausmann, in Experimental Vision, T. Strauss (a cura di), Roberts Rinehart Publishers, New York,

secolo per la delicatezza compositiva, un rinnovato rapporto con la realtà e la forma non più sagomata irregolarmente ma rettangolare.

Pur essendo il primo artista ad aver rinnovato la tecnica della fotografia per contatto e ad averne rinnovato l’aspetto e le finalità, i lavori di Schad sono i meno conosciuti, rimanendo maggiormente legati alla personalità eccentrica di Tristan Tzara.

1.2 Man Ray

Nato Emmanuel Radnitzky, Man Ray (1890-1976) è stato un pittore, fotografo, grafico e autore di film statunitense, esponente del Dadaismo e del Surrealismo.

Man Ray sostenne di aver “inventato” il fotogramma nel 1922, dopo aver inavvertitamente lasciato un foglio di carta fotosensibile esposto alla luce con alcuni oggetti posati sopra. È anche possibile che Man Ray, entrato in contatto con Tristan Tzara nel 1921 in seguito al suo trasferimento a Parigi, sia stato ispirato da alcune schadografie possedute dall’artista rumeno. In ogni caso, “l’incidente” che gli permise di iniziare a produrre fotogrammi si colloca perfettamente nell’ambito della scrittura

automatica surrealista, originata dalla libera associazione di idee e dal manifestarsi

dell’inconscio in una condizione paragonabile a quella onirica. Il collegamento con la scrittura automatica dei surrealisti è suggerita anche dal titolo della raccolta di dodici splendidi fotogrammi pubblicata da Man Ray nel 1922: Les Champs délicieux (Fig 19). Il titolo richiama l’opera di scrittura automatica Les Champs magnétiques pubblicata nel 1920 dal teorico del surrealismo André Breton (1896-1966) e Philippe Soupault (1897- 1990).

Man Ray battezzò la tecnica rayogramma, ricollegandosi alla tradizione dei primi fotografi di dare il proprio nome alle loro scoperte (dagherrotipo, talbotipia, etc.). I rayogrammi, a differenza delle schadografie, furono realizzati su carta developing out, che permetteva di vedere il risultato solo in seguito allo sviluppo in camera oscura e non in corso d’opera, aggiungendo alle opere un’incontrollabile aura di mistero. A differenza di Schad che prediligeva ritagli di giornale e scampoli di tessuto, Man Ray si serviva di oggetti tridimensionali arrivando addirittura a porre sulla carta fotografica il proprio volto e le proprie mani.

Il contatto diretto con la carta fotosensibile dispiega una relazione intima tra l’artista e il materiale fotografico, secondo alcuni studiosi addirittura erotica14. Carico di passione

è il rayogramma del 1922 in cui Man Ray e la sua amante Kiki si baciano sulla carta fotografica, imprimendo – in esposizioni successive – anche le loro mani, premute sul volto dell’altro. Parte della componente intima e passionale si sprigiona dall’atmosfera fumosa che avvolge il fotogramma. I toni di grigi assumono la veste di un alone di mistero, quasi a sottolineare la difficoltà nel comprendere la tecnica con cui l’opera è

14 F. M. Neusūss, From Beyond Vision. Photograms of Christian Schad, Man Ray, László Moholy-Nagy, Raul Hausmann, in Experimental Vision, T. Strauss (a cura di), Roberts Rinehart Publishers, New York, 1994, p. 10.

stata realizzata15 (Fig. 20).

Nel 1923 Man Ray realizzò Retour à la raison, pellicola cinematografica realizzata con la tecnica del fotogramma. L’artista distese alcune strisce di pellicola su un tavolo e le cosparse di sale, pepe, aghi, fili di lana e puntine da disegno. Successivamente accese la luce per impressionare la pellicola e la sviluppò. La pellicola fu montata alternando scene astratte a riprese di una giostra e del busto nudo di Kiki, sfociando in un cortometraggio di circa tre minuti, presentato all’ultima serata dadaista, Le Coeur à

barbe. La vorticosa danza degli oggetti sulla pellicola incarna sia lo spirito dissacrante

e anti-artistico di Dada, sia il mondo onirico del surrealismo.

Man Ray seppe applicare con successo la tecnica dei rayogrammi anche in ambito pubblicitario, realizzando nel 1931 Électricité, una serie di incisioni tratte da fotogrammi. Le photograveur furono commissionate da una società elettrica privata di Parigi con l’intento di promuovere lo sfruttamento domestico dell’elettricità. Man Ray usò come soggetti apparecchiature elettriche (lampadine, ferri da stiro, ventilatori, tostapane, etc.) e come fonte di luce la luce elettrica. Per simboleggiare l’invisibile corrente sprigionata adoperò cavi elettrici, sapientemente distribuiti sulle lastre fotografiche. Con Électricité Man Ray dimostrò come l’elettricità potesse essere non solo un nuovo e moderno medium, ma anche un soggetto artistico16 (Fig. 21).

Tzara commentò in maniera entusiasta i risultati ottenuti da Man Ray, definendo i suoi rayogrammi “di gran lunga superiori agli analoghi tentativi eseguiti alcuni anni prima da Christian Schad, un dadaista della prima ora, che aveva ottenuto semplici impressioni piatte, in bianco e nero”17. I rayogrammi combinano oggetti quotidiani

riconoscibili con altri meno riconducibili alla realtà, creando un immaginario del tutto surrealista. Nel 1923 l’artista e teorico dell’arte Karel Teige (1900-1951) recensendo Les

Champs délicieux sulla rivista cecoslovacca Zivot commentò: “La fotografia acquisisce

qui un proprio discorso autonomo e autodeterminato […] La fotografia non può mai abbandonare la realtà, neanche in questo caso, ma può diventare surrealista.”18.

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 40-42)