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Il mondo come camera oscura

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 87-91)

Dagli anni Settanta a ogg

1 Scrittura di luce

1.3 Il mondo come camera oscura

Le pareti del proprio studio non rappresentano più un limite per i fotografi off-camera contemporanei. Lasciando la camera oscura, gli artisti hanno iniziato a esplorare il mondo esterno e a servirsi di tutto ciò che mette a disposizione: il buio, la luce proveniente dal sole, dalla luna e dalle stelle, la radiosità intermittente delle lucciole, l’acqua, le piante e la terra. La materia fotografica va fisicamente alla ricerca dei propri soggetti, creando con essi un legame che difficilmente si sarebbe consolidato nei limiti dello studio fotografico.

Acqua, aria, terra e le loro trasformazioni occupano l’intera ricerca di Michael Flomen e di Susan Derges. La collaborazione della natura nella realizzazione dei fotogrammi è fondamentale per l’artista canadese Flomen (n. 1952): la luce lunare, lo sfarfallio luminoso delle lucciole, pioggia, neve e acqua sono i materiali di cui si serve. L’artista lavora di notte in aperta campagna e in ogni stagione dell’anno catturando immagini che in piena luce non sarebbero visibili. “Fotografo cose che non vediamo ma che sappiamo essere presenti”52: la danza luminosa delle lucciole, la discesa silenziosa

della neve, lo scorrere dell’acqua.

I risultati sono sorprendenti. Sentiamo la Terra aprirsi intorno a noi, sia da sopra che da sotto. Scopriamo mondi che confondono la nostra comprensione, mondi brulicanti di creatività, dove il molecolare si intreccia all’etereo. Non sono mondi immaginari; sono il nostro mondo. Le immagini di Flomen affermano l’esistenza di una presenza dinamica e sensibile in natura – che noi abbiamo abbandonato o che ignoriamo. In quanto fotografie ci provocano; ci parlano con voci che non possiamo udire perché ne abbiamo quasi perso la capacità. Da spettatori ci sentiamo trascinati in modo irresistibile in uno scambio e verso

l costruzione di un personale dialogo con la natura.53

L’idea per la serie Higher Ground (2001-09) nacque durante un soggiorno nel Vermont. Flomen decise di voler catturare le traiettorie luminose disegnate dalle lucciole al crepuscolo ma senza l’ausilio di una fotocamera o di luce artificiale. Servendosi di fogli 52 M. Flomen. Citazione tratta dal comunicato stampa della mostra Michael Flomen: Wild Nights, organizzata dalla Boîte Noir Gallery di Los Angeles nel 2014.

53 Descrizione dell’opera di Flomen fornita dalla pagina web a lui dedicata del Forward Thinking Museum, collezione virtuale dedicata alla fotografia. http://www.forwardthinkingmuseum.com

di carta fotografica di grande formato distesi tra l’erba, Flomen aspettò che gli insetti vi camminassero e vi volassero sopra esponendo alla propria luce intermittente la carta. Grovigli luminosi si distendono sul supporto alternandosi alle flebili ombre dei fili d’erba. Si tratta di fotogrammi che a prima vista potrebbero apparire astratti, ma che aprono in realtà una finestra su un mondo poco noto.

In Littoral Zone e Teeming (realizzate a partire dai primi anni Duemila) l’artista esplorò il flusso dell’acqua e lo sciabordio delle onde in riva al mare. In un processo profondamente meditativo a contatto con gli elementi naturali, Flomen chiede all’invisibile di manifestarsi e alla carta fotografica di catturare ciò che si cela alla vista. Flutti, bolle, detriti e pesci lasciano la propria ombra sul supporto fotosensibile, in un’indagine più metaforica che scientifica (Fig. 56).

Altamente simbolici sono anche i lavori di Susan Derges (n. 1955), fotografa inglese affascinata dal legame tra uomo e natura. Riferimento costante nella sua ricerca è l’acqua, elemento complesso e in continua trasformazione, fondamentale per la vita di animali e piante. La serie River Taw (della metà degli anni Novanta) fu realizzata immergendo grandi fogli di carta fotografica nell’acqua. Le immagini furono ottenute di notte esponendo il supporto fotosensibile alla luce di una torcia. I risultati sfiorano il poetico: l’artista congela l’impeto del fiume, cattura il riflesso di alberi e foglie, documenta lo scorrere delle stagioni (Fig. 57).

Camminando lungo il fiume realizzai che se avessi lavorato all’aperto al buio con qualcosa di reale, se avessi lavorato di notte, allora la notte stessa sarebbe diventata la mia camera oscura e il fiume una grande trasparenza. Sarei stata in grado di lavorare direttamente

con il soggetto, senza intermediari e lenti a dividerci.54

Le pieghe sull’acqua, le gocce che saltano e i pattern creati dai flutti sono ugualmente catturate nella serie Shoreline (1997-98). Ogni fotogramma nasce da un’onda che si infrange sulla carta fotografica trasportando con sé sabbia e detriti marini.

Tra il 2007 e il 2008 la fotografa britannica dedicò la propria ricerca alla serie Arch, quattro immagini di grande formato (220x150 cm) che rappresentano le stagioni. Ogni opera appare incorniciata da una finestra ad arco che spinge l’osservatore a guardare oltre l’immagine stessa, perdendosi in un orizzonte irreale. Le quattro immagini delle stagioni sono la sintesi di due tipologie di fotogrammi: foglie e fiori ottenuti per contatto si stagliano su fotogrammi di gocce di inchiostro in acqua o di cieli che si riflettono nel fiume (Fig. 58).

La ricerca dell’americana Lisa Oppenheim (n. 1975) si colloca a metà tra l’arte concettuale e l’omaggio alla fotografia del passato, riuscendo nella rischiosa impresa di unirle in 54 La citazione di S. Derges è tratta da Susan Derges: “The whole night became my dark room…”, A. Hicks, http://www.db-artmag.de

un delicato connubio. Nella serie Lunagrams l’artista partì dalle fotografie della luna realizzate dall’astronomo americano John William Draper (1811-1882) tra il 1850 e il 1851. Utilizzando copie ingrandite dei negativi disposte sopra carta fotografica, la Oppenheim espose i fogli alla luce della luna durante le sue diverse fasi, in base a quelle rappresentate sui negativi. I Lunagrams appaiono, dunque, come fotografie della luna realizzate dalla luna stessa; una sorta di autoscatto concettuale.

Un procedimento simile venne utilizzato per realizzare gli Heliograms. Partendo da una fotografia del sole datata 8 luglio 1876, la Oppenheim ne ricavò il negativo. Posizionando il negativo ingrandito sopra carta fotografica e inserendo il tutto in una scatola, l’artista espose i fogli alla luce solare semplicemente rimuovendo il coperchio della scatola per alcuni secondi. L’esperimento fu ripetuto in diverse ore del giorno e in differenti periodi dell’anno, variando sapientemente il tempo di esposizione. Nonostante tutte le fotografie prendano origine dallo stesso negativo, una volta sviluppate mostrano immagini diverse, dovute alla diversa intensità della luce solare durante l’anno e alle nuvole che ne oscuravano momentaneamente il passaggio (Fig. 59).

La sperimentazione all’aperto della fotografia off-camera ha incuriosito diversi fotografi e artisti le cui ricerche non rientrano solitamente nel campo della cameraless

photogrphy. Tra questi, Roberto Huarcaya (n. 1959), fotografo peruviano che ha saputo

calarsi nel mondo dell’off-camera in maniera particolare e non scontata. La serie

Amazogramas (2014) consiste in tre fotogrammi lunghi trenta metri e larghi uno realizzati

posizionando di notte la carta nella foresta amazzonica. Huarcaya e il suo assistente la illuminarono diverse volte servendosi di torce e della luce proveniente dalla luna piena imprimendo sul supporto la sagoma del fitto fogliame. Uno dei tre fotogrammi fu realizzato ponendo un lungo tronco sulla carta fotosensibile: una massiccia linea bianca occupa il centro dell’immagine incorniciata ai lati da sottili steli d’erba e foglie. Osservati nel loro complesso, gli Amazogramas stravolgono la sicurezza visiva del sopra e del sotto immergendo lo spettatore in una visione pura della fecondità del mondo naturale55 (Fig. 60).

Anche il duo artistico composto da Adam Broomberg (n. 1970) e Oliver Chanarin (n. 1971) ha sperimentato la fotografia senza macchina fotografica. Nel giugno del 2008 si unirono alle truppe britanniche schierate in Afghanistan. I primi quattro giorni della loro permanenza furono caratterizzati da un susseguirsi di vicende drammatiche: un giornalista dalla BBC fu ucciso, diversi soldati inglesi persero la vita e nove soldati afghani rimasero vittime di un attacco suicida. Il quinto giorno nessuno morì. Per onorare i tragici eventi dei giorni precedenti i due artisti realizzarono The Day Nobody

Died. Recatisi nei luoghi che furono teatro delle violenze, srotolarono rotoli di carta

fotografica di sei metri di lunghezza e li esposero al sole per una ventina di secondi. 55 G. Batchen, Emanations. The Art of the Cameraless Photograph, Prestel Publishing, New Plymouth, 2016, p. 41.

Le immagini – graffianti striature di colore ornate da un bordo nero – sovvertono il convenzionale linguaggio della fotografia di guerra in cui gli eventi sono documentati puntigliosamente. I fotogrammi di The Day Nobody Died non mostrano nulla se non l’azione stessa dello srotolare effettuata da Broomberg e Chanarin. Profondamente concettuali, gli action-photograms – come li definisce il duo – si schierano contro la guerra e i fotografi che la immortalano (Fig. 61).

Un gusto concettuale è presente anche nell’opera Field (1973-1974) realizzata dal regista, pittore, scultore, musicista e fotografo canadese Michael Snow (n. 1929). Field è un’opera in cui i fotogrammi e il loro processo di realizzazione sono presentati insieme, come se si specchiassero l’uno nell’altro. L’opera è composta da una cornice di circa 180x170 cm divisa in due parti orizzontalmente. La parte inferiore presenta due fotografie – in realtà la stessa immagine proposta in positivo e negativo – di un prato tra i cui steli d’erba sono sparpagliati un centinaio di piccoli fogli di carta fotografica. La parte superiore dell’opera è composta dai fotogrammi realizzati su quegli stessi fogli di carta fotografica e mostrano piccoli dettagli del prato in cui giacevano: foglioline nascoste, ciuffi d’erba, esili gambi di fiori. La complessa installazione unisce magistralmente il tempo e lo spazio in un’unica entità visiva, unendo sapientemente processo e rappresentazione (Fig. 62).

Profondamente diverso è, invece, il rapporto che ha instaurato il fotografo inglese Chrisopher Bucklow (n. 1957) con il mondo esterno. Cercando di rappresentare i sogni da un punto di vista al di fuori della propria mente, iniziò a dipingere sulla tela grappoli luminosi:

Tra me e me ho pensato: “Queste immagini sono buone, ma non abbastanza straordinarie da riuscire a trasmettere quanto meravigliosa sia l’idea da cui scaturiscono. Come faccio a comunicarlo alla gente?”. Mi resi conto che avrei dovuto scattare fotografie in modo da

utilizzare vere e proprie immagini del sole.56

Partendo da questa idea Bucklow diede alla luce – nel vero senso del termine – le serie

Guest e Tetrarch (a partire dal 1993). Entrambe sono realizzate sfruttando un lungo e

complesso procedimento che si colloca a metà strada tra la fotografia off-camera e quella stenopeica. Il primo passo consiste del proiettare l’ombra di una persona su un grande foglio di alluminio, tracciarne il contorno e riempire la figura di migliaia di piccoli fori. Successivamente l’alluminio viene montato in modo di essere al di sopra, ma non a contatto, di un grande foglio di carta fotografica a colori e coperto in modo che non vi penetri la luce. La rudimentale macchina fotografica così ottenuta viene portata all’aperto, dove viene esposta rivolta verso il cielo aprendo per qualche istante

56 C. Bucklow nell’intervista Christopher Bucklow: In Anticipation of the Final Three Minutes rilasciata a A. Elliott. http://www.chrisbucklow.com

“l’otturatore”.

Il risultato è il fotogramma di una silhouette umana composta da migliaia di fotografie stenopeiche del sole. Le figure, eteree raffigurazioni di luce spirituale, appaiono tatuate dalla luce57. Bucklow concepisce Guest e Tetrarch come un autoritratto generato

dalle immagini di luce dei suoi conoscenti, una sorta di rappresentazione della propria interiorità. Particolarmente rilevante, da questo punto di vista, è la scelta dei modelli, i quali, nell’immaginario dell’artista, corrispondono a persone che ha sognato. Mondo reale e onirico si fondono, così come il conscio e l’inconscio, generando apparizioni magiche, quasi divine (Fig. 63).

Nel documento La fotografia off-camera (pagine 87-91)