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Dalla chiusura dei sepolcreti urbani verso la definizione dei moderni impianti cimiteriali

moderni impianti cimiteriali extraurbani tra XVIII e XIX secolo

― Ad uno sguardo poco indulgente, spinto oltre i fasti dell’age d’or, le città di fine Settecento appaiono rumorose e sporche, macabri scenari piranesiani in cui con stridore coesistono lusso e miseria, magnificenza ed strema rovina.

Sotto i palazzi dorati che celebrano le glorie del potere, accanto ai nuovi quartieri della nascente borghesia cittadina, si trovano i neri incubi della realtà luccicante.

I mali della città moderna sono nel buio delle strade sudice, nell’immondo spettacolo delle fogne a cielo aperto, nell’orrore e nel fetore delle sepolture che invadono le chiese, le strade e le piazze, nel degrado e nella fatiscenza delle case così come degli ospedali, delle carceri, dei ricoveri.

In quello scorcio di fine secolo la questione dell’igiene pubblica e, in particolare, la risoluzione dei problemi legati alle sepolture urbane, diviene tema di investigazione scientifica, ricerca continua di strategie e schemi operativi.

La società e lo spazio urbano, assoggettati a sguardo clinico, vengono ―medicalizzati‖ attraverso un’operazione sistematica di allontanamento, segregazione e chiusura di ciò che è impuro. L’utopia della città perfettamente governata si esprime anche attraverso una normalizzazione e gerarchizzazione degli spazi e degli edifici che la costituiscono. L’intero organismo urbano è scompartito, geometrizzato e misurato ad esprimere un desiderio di disciplina che diviene legge tramite la quale limitare ogni incidente, qualsiasi possibile imprevisto. La qualità - obbiettivo primario per gli uomini di progresso -

può e deve essere espressa mediante modelli matematici, parametri commensurabili, ripetibili e immutabili.‖

Gli architetti della fine del XVIII secolo si trovano a dover progettare non più solo edifici altamente rappresentativi del potere raggiunto per i ceti più elevati della popolazione ma, anche strutture destinate ad interpretare le nuove istanze sociali originate dalle profonde trasformazioni in atto. Le magistrature della sanità in nome della medicina razionale, della salubrità ambientale, dell’ hygiène publique intesa anche come operazione di risanamento sociale, tendono a mettere in chiaro le relazioni tra affollamento urbano e mortalità, tra condizioni igieniche estreme e malattie, tra ampiezza delle strade e possibilità di far circolare l’aria, tra forma del recinto (urbano ma anche cimiteriale) e salubrità, ovvero tra una quantità misurabile ed una successiva qualità raggiungibile attraverso la messa a punto di un globale progetto di riforma della città.

Due imperativi sintetizzano il pensiero borghese basato sulla celebrazione dei principi di tutela, salubrità e sicurezza: far vivere e respingere la morte.

In nome dell’igiene e quindi dell’isolamento dei focolai d’infezione, si vuole affermare il diritto a recintare con ferocia e ad escludere, per il raggiungimento di un fine etico attraverso un determinato tipo di architettura capace, per sua stessa forma, di esercitare anche un ruolo morale.

Il cimitero collettivo nella sua isolata posizione e nella sua sancita definizione architettonica appare sulla scena urbana come una tra le più

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significative testimonianze dei cambiamenti prodotti da una società rinnovata nei suoi presupposti fondativi non più in grado di riconoscersi in ciò che l’aveva preceduta. La logica igienista che lo informa è la stessa che si vorrebbe applicare all’intera realtà urbana.

Abbandonata la pratica medioevale delle sepolture ad sanctos o apud ecclesiam (motivo di esaltazione e avvicinamento al divino che nei secoli aveva portato al congestionamento delle chiese dei sepolcreti urbani) il pensiero illuminato formula i presupposti per la nascita di una struttura in grado di offrire, contemporaneamente, risposte a problemi di ordine sanitario, urbano, sociale e religioso.

L’operazione di trasferimento dei cadaveri dai luoghi di sepoltura interni alla città a spazi lontani dai recinti cittadini, corona una lenta e difficile campagna di trasformazione delle antiche usanze legate all’inumazione in città, iniziata già nei primi anni del XVIII secolo e conclusasi con la collocazione extra moenia - fuori dalla mura - dei campi racchiusi.

Il sacro è separato dal profano, il puro dall’impuro, i viventi dai defunti: l’igienismo d’avanguardia, che solo marginalmente intaccherà le strutture della città ereditata dalla tradizione medievale, trova un fertile terreno di applicazione nel caso dei cimiteri.

Le cronache dell’epoca registrano un gran numero di macabri quanto paradossali racconti di epidemie e decessi di massa dovuti alle pestilenziali esalazioni provenienti dalle sepolture che riempivano le navate delle chiese, le aree circostanti i luoghi di culto ed ogni spazio della

città lasciato libero dall’edificato. Ai mortiferi miasmi non si può opporre che la chiusura dei sepolcreti urbani ed affermare la separazione e l’allontanamento dei cimiteri dalla città, ponendo tra mondo dei viventi e recinto dei morti una della decomposizione, si interrogano sui modi e i tempi dello smaltimento dei resti umani, vagliano forme alternative all’inumazione quali la cremazione, l’essiccazione o la vetrificazione. I loro rapporti si affiancano all’opera degli amministratori e degli architetti e ne costituiscono una necessaria premessa. Il risultato cui si tende è la definizione di macchine funebri in grado di garantire, attraverso una puntuale conoscenza del ciclo evolutivo finale del corpo umano, igiene e salubrità per la comunità dei viventi.

In nome del progresso il secolo dei Lumi stabilisce l’allontanamento e quindi l’emarginazione dei luoghi di sepoltura dalla città.

Le antiche pratiche di inumazione intra muros sono ora ufficialmente bandite: questo è uno tra i risultati più evidenti del graduale processo di declino della fede, scaturito dal conflitto maturato proprio intorno alla seconda metà del XVIII secolo tra religione e filosofia, tra spiritualità e scienza.

Filosofi, poeti e uomini di scienza dichiarano apertamente ostilità verso la religione, vista come

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ostacolo alla manifestazione del progresso. Il muro eretto dalla morale cristiana a difesa di una vita terrena grama e dolorosa riscattata, solo alla fine, dalla promessa di un premio celeste, deve essere abbattuto.

Il conflitto tra religione e filosofia è destinato ovviamente a ripercuotersi sulla questione delle sepolture urbane. I contraccolpi di tale ostilità sono violenti. A parte poche eccezioni, i piani per la realizzazione di impianti cimiteriali extraurbani proposti durante il XVIII secolo urtano contro una dura resistenza: si dovranno attendere i primi anni del XIX secolo per poter vedere alcuni risultati positivi.

La ferma opposizione al riformismo illuminato, che ha di fatto portato all’insuccesso delle prime riforme cimiteriali, proviene, seppur con motivazioni diverse, dal clero così come dal popolo. Quale conseguenza del trasferimento dei defunti dalle chiese ai cimiteri, gli ecclesiastici temono la perdita dei diritti parrocchiali, delle elemosine e dei lasciti relativi alle sepolture. Il popolo, da parte sua, guarda con orrore, come un atto di terribile crudeltà, l’allontanamento del corpo dai luoghi religiosi per la sepoltura in un campo, come appaiono i nuovi cimiteri extraurbani, finora destinato solo agli infedeli, ai suicidi, agli uomini e alle donne di malaffare.

A Parigi tra il 1737 e il 1738 i medici L. Lémery e F. Hunauld conducono un’inchiesta sulle malattie che colpiscono gli abitanti delle aree prossime all’ossario dei Saints - Innocents.

Nel rapporto viene sottolineato come le infezioni non provengano solo dal cimitero, ma anche da un inadeguato sistema fognario delle abitazioni

circostanti: ogni genere di lordura deborda dalle condutture verso il terreno del camposanto, aggravando una situazione igienica già seriamente compromessa. L’edilizia abitativa, lontana dall’architettura più celebrata, vive ancora in una situazione estrema; al lusso dei salotti si contrappone la carenza dei servizi igienici, la mancanza di fogne e di canali, la miseria e la sporcizia dei quartieri popolari. Non è dunque solo l’aria ad essere infettata, ma anche l’acqua e la terra: non sono solo i morti la causa di tali infezioni.

Nel 1745 l’abate Porée pubblica Lettres sur les sépoltures dans les Eglises, testo nel quale, in nome dell’igiene pubblica, auspica l’interruzione dell’antica pratica delle sepolture ad sanctos e ribadisce quella separazione tra vivi e morti che nel mondo romano era sempre stata rispettata.

Soltanto un anno più tardi a Montpellier diverse persone rimangono vittime delle pestilenziali esalazioni che invadono la chiesa durante l’apertura di una sepoltura comune nel corso di un rito funebre.

Nei Papiers Joly de Fleury (i verbali della Procura Generale parigina redatti da medici e magistrati nel 1760 in seguito alla richiesta di ampliamento del cimitero cittadino del Petit Luxemburg) si legge di forti fetori provenienti da luoghi di sepoltura stretti fra mura di case sempre più alte.

In seguito a queste preoccupanti conclusioni, viene ordinata una inchiesta su tutti i cimiteri urbani parigini: la memoria di queste indagini costituisce una sorta di prologo al decreto emanato dal Parlamento di Parigi il 12 marzo 1763 con il quale si chiede la chiusura dei cimiteri

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urbani, si vietano le sepolture apud ecclesiam e si stabilisce l’apertura di otto grandi complessi cimiteriali extra moenia realizzati in terreni sgombri, puliti, semplicemente recitanti, appositamente concimati per consentire una più agevole decomposizione dei corpi inumati avvolti in sudari ed ammucchiati l’uno sull’altro.

Oltre alle fosse comuni, il decreto prevede anche sepolture particolari, come tombe individuali o familiari identificate da una lapide con un epitaffio, regolamentate dal pagamento di concessioni. Una tassa esorbitante, stabilita con il preciso scopo di dissuadere, è imposta a coloro che intendono ancora essere sepolti all’interno delle chiese. Con il decreto del 1763 ci si avvicina alla concezione laica del cimitero che avrà ampio sviluppo negli anni successivi: l’intervento dei ministri del culto è ridotto ad una semplice funzione di sorveglianza e di protocollo; l’ultimo atto religioso è affidato al servizio funebre che si svolge nella chiesa. Nulla di quanto descritto fa del cimitero un luogo pubblico, il museo della memoria che diverrà nel secolo successivo.

Le regole esposte anticipano straordinariamente l’editto napoleonico del 1804.

Sulla collocazione dei nuovi cimiteri si cercherà, quanto più possibile, un luogo elevato posto a sepoltura: una specie di portico aperto almeno su due lati, al di sotto del quale potranno essere interrati; nessuna altra persona potrà pretendere lo stesso diritto, ne acquisirlo a nessun titolo.

Conseguenza diretta della Carta Pastorale redatta dall’arcivescovo di Tolosa (che aveva denunciato il problema delle sepolture nelle chiese e in particolare interdetto tale pratica nella Cattedrale di Tolosa) è la Déclaration royale di Luigi XVI del maggio 1776 con la quale vengono vietate le sepolture nelle chiese e fissate al di fuori della cinta muraria della città le aree per i nuovi cimiteri urbani.

A partire da questo momento il cimitero, spazio funzionale, entra di diritto a far parte del repertorio costruttivo e architettonico e alla stregua delle altre ―istituzioni totali‖

dell’Illuminismo è usato per esorcizzare le grandi paure sociali di fine secolo assicurando, attraverso l’adeguata strutturazione degli spazi e la separazione dal resto della città, la dignità dei vivi e il rispetto dei defunti.

Alla fine del XVIII secolo, in un clima fortemente provato dalla violenza della Rivoluzione, dal vacillare della religione cristiana e al contempo segnato dalla necessità di dare nuova forma ai riti (nascita, matrimonio, morte), si assiste ad una nuova stagione di programmi e piani per la creazione dei cimiteri extraurbani e, in particolare, per gli affidamenti e la gestione dei terreni, delle sepolture e degli edifici cimiteriali, nodo sul quale maggiormente si scateneranno i

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conflitti e le polemiche tra le pubbliche amministrazioni e il potere ecclesiastico.

―È da un pezzo che la Filosofia ha intimato il bando alle sepolture e ai cimiterj, non solo fuori delle Chiese, ma anco fuori delle città, e lungi dall’abitato per la semplice ragione, che i morti non debbano ammorbare i vivi.‖

Scriveva Francesco Milizia nel 1781 nel suo Trattato di architettura civile, inserendo i cimiteri tra gli ―Edificj per salute e bisogni pubblici‖ e considerandoli tra i segni più chiari del

―cammino della ragione‖. Milizia proponeva anche una possibile configurazione di cimitero:

un ―ampio recinto quadrato‖, circondato verso l’interno da portici e arcate dove collocare i segni funebri o i ―cenotafi delle famiglie benemerite‖, corredato di spazi per gli ossari e di una cappella al centro in forma di Pantheon o di piramide.

Gli accenni ai materiali e ai colori parlano di rivestimenti in bugnato grigio alveolato o

―vermicolato‖, quale ―genere d’ornamento analogo alla corruzione de’ corpi umani‖, di coperture in ardesia a ― tinte fosche‖, di una complessiva

―area lugubre‖, per ― annunciare al primo colpo d’occhio‖ che si tratta di un ―soggiorno di tenebre‖.

Nel mezzo dello spazio recintato (―atrio‖) Milizia pone una cappella sepolcrale a forma di

―piramide rustica‖, colloca le catacombe agli angoli, prevede la presenza di urne e cipressi, di croci ―aggruppate con attributi mortuarj‖, mantiene il terreno (―aja‖) per le sepolture a un livello più basso di quello dei portici, pratica percorsi sotto le volte sotterranee, pensando nell’insieme a spazi, monumenti e decori che dovevano accrescere ―l’immaginazione di un luogo terribile‖.

Nel 1799 Jacques Cambry, amministratore del Dipartimento della Senna, presenta una relazione nella quale, dopo aver tracciato il quadro dello stato attuale dei luoghi di inumazione parigini, descrive l’impianto di un nuovo cimitero di dieci ettari, Champ de Repos, da situare sulla collina di Montmartre.

Cinto da un muro circolare alto quattro metri all’interno del quale avrebbero trovato posto i colombari e caratterizzato da quattro ingressi distinti (Infanzia, Giovinezza, Maturità, Vecchiaia) il cimitero di Cambry, per il quale Jacques Molinos redige i disegni di progetto, è percorso da viottoli dall’andamento sinuoso tracciati tra vasti campi di inumazione; i monumenti funerari destinati alle sepolture individuali emergono isolati tra la fitta vegetazione. Ogni forma di sepoltura è consentita; ogni pratica è ammessa poiché, scrive Cambry ―tout étre libre peut disposer de ses ossements après sa mort, comme il dispose de ses actions pendant sa vie‖- tutti gli uomini sono liberi di disporre delle proprie ossa dopo la morte, come sono liberi in vita di disporre delle proprie azioni - .

Al centro del recinto si eleva una grande piramide all’interno della quale sono ospitati quattro forni crematori e il deposito delle ceneri

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degli uomini illustri. Cambry, in sintonia con le scoperte scientifiche dell’epoca, ricerca nella pratica della cremazione una risposta soddisfacente dal punto di vista igienico al problema delle sepolture cittadine. Particolare attenzione è dedicata anche alla descrizione del rito funebre, al trasporto della salma, al corteo notturno che avrebbe accompagnato il defunto alla sepoltura.

Il 3 maggio 1779 l’amministrazione parigina approva il progetto di Cambry e decreta che il cimitero venga costruito sulla collina di Montmartre. In realtà nulla di quanto proposto verrà mai edificato: la pressione degli sconvolgimenti politici in atto, il colpo di stato di Napoleone, bloccano i lavori ancora prima del loro inizio.

Nel 1801 Pierre Giraud pubblica Les tombeaux ou Essai sur les sèpoltures. A conclusione di un lungo excursus attraverso gli usi e i costumi funerari, Giraud presenta quale soluzione ai problemi di igiene e di salubrità urbana la pratica della cremazione affiancata alla vetrificazione delle ossa. Nel suo progetto per il Cimitero circolare per la città di Parigi eleva, al centro di un recinto circolare, una grande piramide al cui interno sono collocati quattro forni nei quali avviene la separazione delle parti del cadavere, la riduzione della materia grassa in cenere, la trasformazione delle ossa in vetro. Secondo Giraud, il vetro così ottenuto potrebbe essere utilizzato per fare dei medaglioni, urne cinerarie o statue raffiguranti il defunto. Le ossa non richieste o riesumate da vecchi cimiteri, vetrificate, sarebbero poi servite per realizzare le colonne del porticato anulare.

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1.7 1765-1800: i concorsi

dell’Academie d’Architecture di Parigi per i cimiteri

Espulsi i luoghi di sepoltura dalla città, i progettisti dei primi impianti cimiteriali inizialmente tendono a trasferire nei campi aperti l’idea di semplicità e sicurezza, spesso priva di qualsiasi traduzione architettonica: per costituire un nuovo cimitero è necessario, e spesso sufficiente, un recinto, per lo più quadrato o rettangolare, una croce e una cappella sepolcrale.

In breve però si inizia a far ricorso ad immagini ritenute più consone ad interpretare la solennità del tema: alle geometrie semplici si sostituiscono composizioni più libere, intersezioni di più figure facenti comunque capo ad un unico centro regolatore.

Fin dai primi progetti appare evidente come il programma architettonico sia affidato ad una soluzione ―tipica‖: il centro geometrico e simbolico segnato dall’inserto di una struttura monumentale, la piramide, monumento funerario per eccellenza (punto privilegiato, mundus protetto dal timore sacro); gli edifici principali (la cappella sepolcrale, le sepolture particolari, i portici perimetrali, il cenotafio); il più serio e austero ordine dorico; le croci issate su obelischi che dissolvono nel simbolismo cristiano tante reminiscenze pagane; gli accessi (porte attraverso cui celebrare i riti di passaggio);

i percorsi esterni (viali di collegamento con la città) ed interni (direzionalità principali e secondarie); il recinto cimiteriale (reinverato limite della società moderna, perimetro

invalicabile e simbolico), concettualmente così connesso all’immagine del cimitero da esserne spesso anche sinonimo; una distribuzione planimetrica del suolo attraverso una maglia geometrica, per lo più ortogonale, matrice organizzativa e regolatrice dell’intero impianto.

―Sacro recinto‖ è una terminologia diffusa: è dispositivo che indica una separazione e una segregazione, ma fa seguito a un atto di fondazione e di riconoscimento, implica la custodia, assicura la protezione da e verso l’esterno. E’ un confine costruito che imprime caratterizzazione e articolazione architettonica, che accentua l’idea di uno spazio razionalizzato, dona senso e direzione ai percorsi, alle suddivisioni, alle logiche distributive. Il recinto è insomma la scrittura spaziale che appare più condivisa dai progetti settecenteschi che, nell’insieme, riflettono assai bene le riflessioni teoriche, gli approfondimenti tipologici e funzionali, i cambiamenti negli indirizzi estetici maturati nell’età dei Lumi.

Nell’epoca del prevalere del culto dell’uomo e delle sue gesta, il monumento funebre assume una funzione pedagogica, ispira l’orrore della morte, riconduce l’uomo alle idee morali, unendo le funzioni di ricordo a quelle di insegnamento.

La monumentalità, la disadorna purezza geometrica delle forme seducono i progettisti e provocano emozione e timore; la luce evoca la presenza del divino. Ogni funzione religiosa sembra completamente perduta: l’edificio sepolcrale diventa occasione per una panteistica celebrazione della natura, dove l’elemento architettonico, quasi depurato, sublimato, attinge

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al repertorio formale e simbolico del mondo antico per comunicare, attraverso architetture scarnificate, fuori scala, veri e propri messaggi civici.

Tra il 1765 e il 1800 vengono indetti una serie di concorsi dall’Accadèmie d’Architecture di Parigi, in cui i sepolcri sono posti all’interno di un’architettura grandiosa, ―sublime‖ come evocata da Jacques - Francais Blondel e ostentata nei cenotafi di Etienne - Louis Boullée o nelle poetiche visioni di Hubert Robert. Fu così che nel 1763 Jacques - Francais Blondel istituisce per gli allievi dell’Académie d’Architecture di Parigi, il prix d’émulation, una competizione da svolgere quattro volte l’anno in preparazione del Gran Prix annuale. Nel 1765 l’accademia parigina bandisce il primo prix d’émulation avente come oggetto la progettazione di un cenotafio dedicato alla memoria di Enrico IV, il re più amato di Francia, collocato al centro di uno spazio sepolcrale, circondato da gallerie nelle quali avrebbero trovato posto le sepolture di uomini meritevoli. In questo modo viene conferito al progetto un significato collettivo all’interno di un programma ad alto valore civile che assegnava le sepolture attorno al re, non agli esponenti dell’aristocrazia, bensì a coloro che, indipendentemente dal censo e dal grado di nobiltà, avevano operato bene per il Paese.

Lontano dagli orrori dei Saints - Innocents e dagli scempi delle tumulazioni cittadine, al riparo dalla concezione cristiana della morte come umiliazione, il cenotafio ad Enrico IV deve emergere con fierezza in ragione di una rinnovata visione della morte e dei riti

commemorativi. Nel 1766 Louis - Jean Desprez vince il prix d’émulation: al centro di un recinto quadrato, costituito da gallerie destinate alle

―Sepoltures des Grands Hommes‖, si trova il

―Temple pour le funérailles des Rois‖ riservato alle sepolture reali, circondato da quattro campi, i

―Cimitières publics‖, destinati alle sepolture dei ceti meno abbienti. Tutte le classi sono qui rappresentate con pari dignità: il cimitero di

―Cimitières publics‖, destinati alle sepolture dei ceti meno abbienti. Tutte le classi sono qui rappresentate con pari dignità: il cimitero di