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Le sepolture al di fuori della città per le civiltà dei Greci e dei Romani

Romani

I Greci introdussero nell’architettura funeraria il Cippo e la Stele, e dettero vita ad un organismo nuovo, il Mausoleo, che, con l’esempio illustre di quello di Alicarnasso, considerato nell’antichità come una delle sette meraviglie del mondo, fece assurgere la tomba in elevazione a grande dignità d’arte. Mirabile monumento sepolcrale in pietra, completamente distrutto sul finire del XV secolo, caratterizzato da un ritmo ascendente molto forte che passa dal grande basamento al blocco della camera sepolcrale, al peristilio ionico con trentasei colonne e alla grandiosa copertura gradonata fino alla grande quadriga scolpita da Pyteos, eretto per celebrare Mausoleo, signore della Caria dal 377 al 353 a.C., Vitruvio prima e Plinio il Vecchio poi, lo descrivono quale opera eccezionale per la mole e per il ricchissimo apparato decorativo.

L’elevazione di un tempio da terra o di un sepolcro è comune a molte civiltà: il monumento in questione ha dei precedenti orientali nella tomba di Ciro a Pasargarde e nel monumento alle Nereidi.

Il termine mausoleo si estese in seguito a designare monumenti funerari gentilizi in età romana.

Proprio con i Romani la cultura funeraria raggiunse il massimo livello di sintesi e di contaminazione culturale: la tradizione architettonica degli heroa ellenistici e dei tumuli mediterranei, in particolare di quelli etruschi,

compiono il loro ciclo di trasformazione nei mausolei romani. L’evoluzione culturale è alla base di quella tipologica. Dalle tombe scavate preromane si passa alle costruzioni sopraterra isolate, poste su basamenti per giungere all’elevazione dei grandi sepolcri monumentali generalmente a pianta circolare: i Mausolei, appunto, che presso i Romani raggiungono la massima espressione.

Al riguardo degno di menzione è il Mausoleo di Augusto.

È il monumento sepolcrale sulla riva del Tevere voluto da Ottaviano Augusto per sé e la sua famiglia. Ha pianta circolare con forma a tamburo, di 87 metri di diametro, sormontata da un tumulo di terra secondo i modelli asiatici ed ellenistici, dove era consueto porre un giardino sulla sommità dei monumenti di questo tipo. Il mausoleo finì quasi distrutto nel XII secolo, poi trasformato in fortezza nel Duecento. Nel corso dei secoli subì vari saccheggi. Il non lontano Castel Sant’Angelo, invece, originariamente era il Mausoleo di Adriano (139 d.C.) e ne ospitava la tomba.

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I Romani svilupparono anche altre forme di edilizia funeraria, quali le Edicole ed i Colombari, veri e propri prototipi di tombe collettive.

Vengono definiti Colombari le tombe a volta con sepolture multiple per le ceneri dei liberti, costruite a spese dei loro padroni. Molti sono nella zona del Celio, che fino al III secolo d.C.

era all’esterno delle mura cittadine. Da ricordare in particolare le Tombe dei liberti di via Statilia. Si tratta di una piccola sepoltura a forma di casa, lungo l’Acquedotto di Nerone, del I secolo a.C.

Vi si scorgono i nomi e i ritratti a rilievo degli Statilii che si erano consorziati per pagare l’edificazione della tomba comune. Importanti, inoltre, il Colombario dei liberti di Augusto, su via Appia e il Colombario di Pomponio Hylas, dove un’iscrizione a mosaico rivela che la tomba apparteneva a Pomponio Hylas e a sua moglie Pomponia Vitalinis, sopra il cui nome è decorata una ―V‖ ad indicare che l’iscrizione era stata fatta quando la donna era ancora in vita.

La legge romana imponeva di seppellire i morti fuori dalle mura urbane, sulle vie consolari.

I romani, infatti, dimostravano ripugnanza per i morti, considerati impuri e contaminanti.

Il costume di seppellire lungo le strade maestre esterne alle città si diffuse in tutta l’Europa sottoposta a dominio romano. Si creava così una distribuzione delle tombe lungo le strade, senza dar luogo ad un vero e proprio cimitero delimitato e circoscritto. Oggi ci restano varie tombe di famiglia destinate ai più abbienti, e alcune tombe collettive per i poveri (e poi per i cristiani), oltre ai mausolei delle famiglie potenti.

Poiché a Roma si tendeva a concentrare le sepolture lungo le strade in uscita della città, la zona dell’Appia Antica è il più vasto complesso cimiteriale romano. Vi si trovano non solo i grandi monumenti funerari, tra cipressi, olivi e pini, ma anche tre catacombe. Si è calcolati che nei primi sedici chilometri vi fossero ben trentamila tombe.

Con il passare dei secoli i sepolcri di via Appia caddero in rovina, lasciati in totale abbandono.

Solo nell’Ottocento si ebbe una ripresa di interesse e gli archeologi effettuarono scavi, rilevamenti, catalogazioni.

Il monumento più celebre resta comunque la Tomba di Cecilia Metella (vedi figura successiva),

chiamata a lungo Capo di Bove, perché ha il fregio costellato di buoi, tipici dei monumenti funerari: risale alla fine del I secolo a.C. ed è nota per la sua caratteristica forma a tamburo.

Per tali sepolture, fuori della città, allineate lungo le vie suburbane e consolari, appare impropria la denominazione di Cimitero, che verrà invece usata la prima volta dai Cristiani, nelle loro iniziazioni più antiche, talvolta anche ad indicare una sola tomba con significato simbolico.

I Cristiani quindi presero atto di una consuetudine ormai radicata nel costume

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romano, che con loro acquistò una diversa e più grande dimensione: nel sottosuolo romano si contano più di mille chilometri di gallerie ed i centri di sepoltura più importanti ed estesi risalenti ai primi secoli dell’era cristiana, finora rinvenuti sono all’ incirca settanta, non tutti originariamente cristiani: poteva avvenire, infatti, che un cimitero pagano si trasformasse, spontaneamente o per l’offerta di un ricco proprietario convertito, in una catacomba cristiana. In alcuni casi le stratificazioni portarono alla formazione di complessi veramente notevoli, come le catacombe di S.

Sebastiano e di S. Callisto sulla Via Appia.

Possiamo ricordare anche le Catacombe di Domitilla e di Santa Priscilla a Roma ed anche le Catacombe dei Giordani, le più profonde di Roma, ben cinque livelli sotterranei.

In era paleocristiana dunque, la sepoltura avveniva o in cimiteri privati o in catacombe, i più antichi raggruppamenti sepolcrali della Cristianità.

Si tratta di freddi cunicoli sotterranei che si estendono per chilometri, spesso a più livelli, alle cui pareti si disponevano file di loculi per le sepolture comuni. Venivano realizzati anche

sarcofagi e camere dette cubiculae, isolate o a gruppi, che con un minimo di accorgimenti statici e architettonici, assumevano l’aspetto di cripte per la sepoltura di intere famiglie, le più facoltose.

Per realizzare le catacombe si utilizzarono cave di tufo (pietra porosa e morbida) e pozzolana (una specie di malta) di origine vulcanica. Il materiale estratto serviva per costruire edifici.

Lungo le gallerie strette e sinuose si disponevano, per tutta l’altezza della parete, i Loci, cioè delle semplici cavità capaci di accogliere una o più salme: l’apertura rettangolare veniva generalmente chiusa da una lastra di marmo, ma molto frequente era anche il tipo denominato Arcosolium, con apertura arcuata e cofano (Solinum) nel quale racchiudere la salma.

Inizialmente pagani e cristiani venivano sepolti insieme. Poi, a partire dal II secolo, le necropoli sotterranee sono quasi esclusivamente cristiane, anche perché i cristiani rifiutavano la cremazione. È quindi dalla seconda metà del II secolo d.C. che si può parlare di vere e proprie catacombe, dal greco Katà Kymbas (presso le cavità).

All’interno si trovano monumenti funerari (Arcosolii) e molte pitture murali.

La ritrosia nei confronti dei cimiteri ottocenteschi e moderni sembra assente di fronte alle catacombe, forse perché resiste la convinzione che non si tratti di veri e propri cimiteri, ma di un luogo di rifugio dei cristiani per sfuggire alle persecuzioni. In realtà le catacombe fino al VI secolo non erano luoghi di culto o rifugi, ma cimiteri. Solo a partire dal IV

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secolo vennero utilizzate anche come luoghi di venerazione, perché ospitavano i resti di alcuni santi e martiri (sono state ritenute luoghi di sepoltura degli apostoli). Quando si trasferirono i corpi dei martiri nelle chiese, le catacombe vennero abbandonate e caddero nell’oblio per tutto il Medioevo. Gallerie e cubicoli diventano impraticabili, e, in molti casi vengono bloccati e riempiti di terre di riporto. Restano accessibili solo gli ambienti che custodiscono i corpi santi, ambienti trasformati, dove possibile, in cappelle o in basiliche. Intorno a Roma, immediatamente fuori le mura, viene a formarsi, così, una cerchia di santuari, i quali dalla metà del V secolo, salvo rarissime eccezioni, non hanno più alcuna funzione cimiteriale: sono vere e proprie chiese.

Solo alcune catacombe servirono da cimitero fino a pochi secoli fa, come quelle di S. Gaudioso a Napoli.

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1.5 Medioevo: le sepolture all’interno