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L’architettura funeraria ebbe uno sviluppo assai notevole sin dalle epoche più remote, rimanendo in molti casi l’unica testimonianza di antiche civiltà.

Trascurando gli affossamenti liberi e alla rinfusa, solo in epoche relativamente recenti compaiono organismi cimiteriali autentici, in quanto sorti come tali e nettamente delimitati nel loro impianto planimetrico.

I numerosissimi raggruppamenti di tombe che ci sono pervenuti a testimonianza di antiche civiltà, vengono comunemente denominati necropoli anziché cimiteri e sono quasi sempre privi di recinzione, senza regole o limitazioni precise.

Altrettanto numerose sono, sin dall’antichità, le costruzioni funerarie isolate o raggruppate in pochi esemplari, che pur costituiscono per noi espressione architettonica del tutto particolari delle civiltà che le hanno prodotte.

La forma assunta dalla sepoltura in una determinata epoca, permette di stabilire il grado di evoluzione di una civiltà e la capacità di una comunità di tradurre in codici e in arte il proprio patrimonio epico e spirituale; infatti l’atto di seppellire intenzionalmente un cadavere presuppone sempre la credenza nell’aldilà e l’esistenza di un rapporto filosofico con il mondo dei morti.

Le esigenze funebri sorsero fin dai tempi preistorici, non appena l’uomo cominciò a mutare la sua condizione e a prendere coscienza di sé. Emerge anche una necessità rituale legata

al nascere del sentimento religioso e del culto dei morti. Nessun gruppo arcaico, per quanto possa essere primitivo, abbandona i suoi morti o li lascia senza riti.

L’immagine che più di altre può rendere l’idea dell’evoluzione della cultura funeraria è quella del cono di terra, del cumulo primitivo delle popolazioni nomadi, che si trasforma in struttura architettonica complessa e testimonianza durevole di pietra, come nelle piramidi egizie e nelle forme analoghe delle civiltà orientali e mesoamericane.

Le tombe megalitiche delle civiltà preistoriche, spesso poste in prossimità delle abitazioni, rappresentano la presenza e l’importanza dell’uomo come abitante, cioè fruitore e dominatore della terra.

La completa adesione dell’uomo alla natura porta alla definizione, intimamente legata ai quattro elementi allegorici, dei diversi sistemi di sepoltura: così l’inumazione trarrebbe origine dalla terra, la cremazione dal fuoco, l'essiccazione dall’aria, l’immersione — pratica usata soprattutto dalle primitive popolazioni nordiche

— dall’acqua.

L’aldilà è un mondo parallelo ma affine e la tomba funebre è il luogo del raddoppio della persona vivente, dove all’immobilità dello stato fisico si contrappone il moto perenne della memoria e del ricordo.

I primi documenti che testimoniano il trattamento specialistico dei cadaveri risale al paleolitico. Ne sono un esempio alcuni depositi di crani di ominidi a Ciu-cu-tien, presso Pechino, un certo numero di tombe di inumati dentro le

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grotte di Grimaldi in Liguria, e, soprattutto, per la sua particolarità, l’uomo della Chapelle aux Sints, scoperto dagli abati Bouyssonie e Bardon.

Questi è stato trovato deposto in una fossa artificiale, con le gambe piegate per evitare il suo ritorno tra i vivi.

Altri esempi importanti sono le tombe a fossa terragna ritrovate a Lama dei Peligni, nella Marsica, precisamente a Celano e a Scurcola Marsicana, così pure nel sud-ovest della Francia e nell’Europa centrale.

Nel periodo Neolitico le principali tipologie tombali erano costituite da fosse di inumati scavate nel terreno e si suddividevano in: tombe semplici, scavate nella nuda terra; tombe a ciottoli, nelle quali le pietre, disposte a cerchio in superficie, ne evidenziano il contorno. Il cerchio è l’elemento geometrico che racchiude, dando sicurezza e riparo; tale forma è l’operazione costruttiva più immediata. Ricordiamo poi le tombe a lastroni, dove i lastroni di pietra fungevano da sostegno alle pareti dello scavo e da copertura.

Un altro tipo di sistemazione funebre, diverso da questo appena descritto, è rappresentato dalla

costruzione di piccole grotte artificiali scavate nella roccia. I primi esempi sono stati rinvenuti nell’isola di Pianosa, nel sepolcreto sardo, a celle, domus de Janas (casa delle streghe o delle fate) di Anghelu Ruiu, ed in Sicilia, dove continuarono a essere scavate fino all’età del bronzo.

Altre tombe megalitiche, la cui costruzione risale sempre al Neolitico o all’inizio dell’età dei metalli, sono i dolmen (dal bretone ―tavole di pietra‖) di cui possiamo vedere un esempio in figura.

Questi sono monumenti di culto funerario costituiti da uno o più lastre di pietra poste orizzontalmente, dette tavole, con funzione di copertura, sorrette da sostegni verticali, detti ortòstati. Tale tipologia è considerata una sostituzione della grotta naturale.

In questi primi esempi la funzione cimiteriale non sembra riservata ad una classe privilegiata, ma a una sepoltura collettiva capace di ospitare molte generazioni. I dolmen più antichi risalgono al V millennio a.C. ed i primi ad adottarne la tipologia furono gli abitanti della Penisola Iberica.

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La loro evoluzione si riscontra principalmente nella forma, da celle a camera singola, a sale funerarie di grandi dimensioni sepolte in un tumulo, servite da un lungo corridoio, allèe couverte, e coperte da piccole lastre debordanti l’una rispetto all’altra, fino a formare una falsa cupola chiusa da una lastra più grande.

Verso la metà del IV millennio il dolmen si diffonde ampiamente nell’Europa settentrionale e occidentale.

Altre tipologie di sepoltura tumulare sempre appartenente al periodo Neolitico, ma forse le più antiche, sono i cairn irlandesi, cioè dei cumuli di pietra posti sulla sepoltura.

In Irlanda la più misteriosa e leggendaria camera funeraria preistorica è la Tomba di Newgrange, isoterici. Un particolarità risiede nel fatto che la camera funeraria veniva illuminata da un raggio di sole, attraverso un’apertura sopra l’architrave

dell’ingresso, solo il 21 dicembre, giorno del solstizio d’inverno, per appena 15 minuti.

Sempre all’Irlanda appartiene uno dei più grandi cimiteri megalitici d’Europa, è a Carrowmore:

150 tombe, di cui una metà visitabile ancora oggi.

Nel III millennio si determina poi una spiccata diversificazione locale riguardante la forma e le dimensioni della camera sepolcrale, i punti di accesso ad essa e le decorazioni incise o dipinte sulle pareti.

Il fenomeno non si limita all’Europa: numerose tombe dolmeniche sono state ritrovate nel Caucaso, in Siria, in India, in Palestina e in Giordania; compaiono anche in Manciuria, Corea e Giappone tra il III secolo a.C. e il VII d.C.. Qui hanno però una funzione antitetica a quella di matrice europea: la sepoltura di un solo personaggio di rango aristocratico.

A riguardo possiamo citare i kurgan (IV secolo a.C.) delle steppe euro-asiatiche, i quali, a differenza dei cairn, sono monumenti sepolcrali dedicati esclusivamente ai re. Facilmente riconoscibili per le imponenti dimensioni, sono delle vere e proprie collinette artificiali, con tombe a camera sottostanti poste al centro del tumulo, scavate a pozzo. Famosa per questo tipo di architettura è l’antica necropoli Bin Tep (cioè delle mille colline), nei pressi della città di Sardim (Lidia), sul fiume Erm.

In Italia possiamo ricordare la Puglia, dove rivestono una particolare importanza i menhir,

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imponenti obelischi quasi sempre associati ai dolmen, che da semplici segnali funerari diventano immagine dello stesso defunto ed oggetto di venerazione e di culto; la Sardegna, dove troviamo la Valle dei Nuraghi, con le

―tombe dei giganti‖, tombe monumentali, collettive, capaci di ospitare fino a 200 sepolture.

Né rappresenta un esempio la necropoli neolitica di Sant’Andrea Priu (3000-1800 a.C.) e la necropoli di Sulci (Sant’Antioco), i cui corredi funerari sono conservati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.

I corredi funerari rivelano sempre la preferenza per tutto ciò che aveva attinenza con la vita reale e rappresentano l’importanza e la ricchezza del defunto: dal semplice ciotolame, al seppellimento contemporaneo nella stessa fossa dell’uomo e del cavallo, come nelle tombe di Vicenne nel Sannio, che costituiscono l’esempio di un rituale proprio dei cavalieri delle steppe eurasiatiche; alla sepoltura con tutta l’armatura e le ricchezze come nel caso di Alarico, principe dei Goti, nel greto del Busento o la di una donna rannicchiata sepolta con il cane ai suoi piedi, a Ripoli nella Val Vibrata.

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1.3 La città dei morti come simulacro