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La città dei morti come simulacro di quella dei vivi per le grandi civiltà del passato

civiltà del passato

Con la civiltà egizia l’arte funeraria raggiunge un notevole livello di complessità. Se pensiamo che nell’antico Egitto, per ogni persona, si cominciavano a costruire le tombe già dalla nascita e il possesso di una tomba era l’unica garanzia di sopravvivenza, si capisce come la società si fosse sviluppata attorno ad una concezione teocentrica e relativa della vita.

Infatti, gli egiziani consideravano la vita come un dono divino e come prova cui Iddio assoggettava le anime in vista del proseguimento della vita terrena in un’altra vita.

Gli Egizi non consideravano la morte come estinzione completa dell’uomo, ma piuttosto la negavano ritenendo che ci fosse una continuazione della vita nell’oltretomba, concepita come una vera e propria immortalità.

Per la concezione egizia, nell’uomo vi sono elementi soprannaturali, comuni alla divinità, che permettono una vita senza fine.

Perché il corpo del defunto possa continuare a vivere nell'aldilà è necessario che esso sia preservato integro. Tale fine veniva assicurato tramite la tecnica della mummificazione.

Nella loro forma più primitiva, le tombe comprendevano, generalmente, una camera sepolcrale sotterranea (tomba a fossa) ed una zona superiore di copertura, visibile e architettonicamente rilevante, che fungeva da luogo di culto per il morto.

Quest’ultima assume la forma di mastaba (termine arcaico che significa ―panca‖), a tronco di piramide rettangolare, diretta derivazione delle tombe a cumulo dei nomadi.

L’ evoluzione di questa forma passa attraverso una sovrapposizione di più elementi a mastaba fino a formare le piramidi (dal greco, pane a punta; in egiziano, mer) a gradoni, poi la piramide romboidale, la piramide a parete liscia fino ad arrivare alla piramide vera e propria, che sarà perfetta solo con la triade di Giza (da ricordare in particolare quella di Cheope).

La piramide è la forma finale dell’ evoluzione della tomba nella cultura dell’Egitto Antico.

La prima piramide di forma classica è la Piramide Rossa di Snefur, detta così per la colorazione del suo materiale.

Da isolate costruzioni disposte nel terreno senza una precisa logica, i luoghi funerari diventano centri articolati di culto, in onore all’immagine divina del faraone.

Troviamo un esempio a Saqqara, nel complesso funerario di Doser, fondatore della terza dinastia, dove è possibile vedere un elevato numero di edifici che si dispongono intorno al fulcro, rappresentato da un’imponente piramide a

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gradoni in pietra di grosso taglio, originata dalla sovrapposizione di sei mastaba. Questa trasmette immediatamente l’idea di una gigantesca scala lanciata verso il cielo.

In questo complesso si può cogliere la sintesi fra le diverse tradizioni funerarie dell’Alto e del Basso Egitto: la grossa piramide è il prototipo più eclatante delle sepolture a tumulo dell’Alto Egitto, invece le altre strutture comprese nel recinto funerario continuano la tradizione basso-egiziana della tomba ad abitazione; esse riproducono esattamente la città di Menfi con il palazzo del re, gli edifici amministrativi, le cappelle votive degli dei.

Se nelle prime piramidi la camera sepolcrale era sotterranea, in seguito venne spostata nella struttura muraria esterna; in quest’ultimo caso, la porta d’accesso rimaneva celata.

Il luogo dei morti veniva collocato ad occidente, cosicché tutto ciò che concerneva il culto dei defunti era sistemato ad ovest.

In epoche successive, la morte del re assunse la ritualità di un evento mitico, i cui misteri confluivano sia nel rituale delle esequie del

sovrano, sia nelle pratiche culturali, e rappresentavano il motivo principale della modificazione della pianta del complesso funerario.

Ne sono degli esempi i complessi di Giza, con le piramidi di Cheope, Chephren e Micerino e quelli di Abu Sir con la piramide di Sahure.

Tutti i sovrani dalla XVIII alla XX dinastia trovarono sepoltura nella ―Valle dei Re‖, dove nel 1922 venne scoperto il tesoro di Tutankhamon.

La forma piramidale è diventata l’immagine per eccellenza del sepolcro, rintracciabile in quasi tutti i cimiteri monumentali; essa è appartenuta a tutte le civiltà più antiche, in particolare alle civiltà che avevano organizzato intorno alla morte e ai riti propiziatori tutta una scala di valori e la stessa scala gerarchica della società.

Come la civiltà egiziana anche quelle mesoamericane erano civiltà teocratiche, dove il sovrano era l’immagine stessa della divinità e massimo sacerdote della dottrina religiosa. Lo spirito religioso era la grande forza spirituale unificatrice strettamente connessa ad ogni atto pubblico e privato. Il mondo mitologico, si sovrapponeva, al mondo naturale e tutta

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l’esistenza si giustificava alla luce di un ordinamento dei codici morali, che coincidono con le prescrizioni religiose e giustificano la verticalizzazione sociale.

Dominati da questo profondo sentimento mistico e religioso, gli uomini creavano opere d’arte non solo per sé, ma per i loro dei. Anche qui troviamo infatti, anche se in numero esiguo, esempi di edificazioni piramidali, utilizzate a differenza degli egizi con funzione diversa da quella funeraria. Un esempio famoso è rappresentato della piramide situata nell’antica città maya di Palenque, nel Messico meridionale.

Formalmente simili alle piramidi mesoamericane sono le ziggurat della Mesopotamia, anch’esse però non con funzione di tomba, ma come luogo d’incontro dell’uomo con la divinità.

Sono caratteristiche invece dell’Asia Minore preromana (Frigia, Licia, Paflagonia, Cappadocia) le tombe rupestri. Esse sono semplici caverne difficilmente accessibili e rivestite di facciate architettoniche in pietra, con le forme caratteristiche delle costruzioni in legno. In alcuni casi hanno dei veri e propri fronti monumentali scavati nella roccia.

Per molte civiltà l’elemento che coniuga mondo naturale e mondo mitologico è la montagna;

questa è madre e racchiude in sé gli umori della terra, è segnale eterno e inamovibile della forza vitale della terra, cumulo della memoria che ha origine nella creazione. I tumuli, le piramidi e tutte le costruzioni sepolcrali ad essi riferibili ripetono il gesto della creazione e si pongono come testimonianza della vita attraverso la morte. Le tombe rupestri di Petra, quelle a croce

degli imperatori persiani Dario I, Dario II, Serse I e Antaserse I a Persepoli, quelle egizie affiancate alle piramidi e il tesoro di Atreo a Micene, si qualificano in quanto aperture, ingressi maestosi su di un mondo oscuro e silenzioso.

Nel periodo storico arcaico, fra i primissimi esempi, occorre ricordare la Tomba di Knosso, una fossa scavata e rivestita di pietra con copertura monolitica, ed un tipo abbastanza diffuso, a forma di Tholos, che fa capo al notissimo già citato Tesoro di Atreo in Micene.

La manifestazione dell’ architettura etrusca tuttora più visibile e meglio databile è quella delle grandi necropoli, collocate tra l’Alto Lazio, la Toscana e l’Umbria, in cui pare riemergere la memoria egizia di una città dei morti parallela a quella dei viventi. Fra i siti più importanti è la necropoli di Tarquinia, la cui area occupa una larghezza di circa mille metri per una lunghezza di cinquemila ed accoglie sepolture di forme assai varie che vanno dal VII secolo a.C. fino all’età romana. Altra necropoli importante è quella di Cerveteri dove si seppellì dal IX secolo a.C. fino all’età di Roma Imperiale.

Le tombe riproducevano le abitazioni dei vivi, perché il trapassato potesse proseguire le sue abitudini anche dopo la morte. Le donne, le ragazze e le bambine, ad esempio, venivano sepolte con orecchini, collane e gioielli.

Gli etruschi ritenevano, infatti, come in altre culture delle aree mediterranee, che il defunto sopravvivesse nel luogo dove veniva sepolto.

Ecco perché le tombe presentano molte scene gaie nelle pitture, a colori vivaci, con lo scopo di rendere confortevole la dimora dei morti.

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Verso il V secolo pare che tra gli etruschi il culto per i morti subisca una trasformazione: si diffonde la convinzione che i defunti si fermino nella tomba solo momentaneamente, prima del viaggio verso il regno dei morti. Le tombe diventano quindi più cupe, con dipinti di demoni (come la dea Vanth dalle grandi ali) e scene di violenza.

Scavate nella roccia o costruite con blocchi di pietra, le necropoli etrusche vennero periodicamente scoperte dai contadini, dai pastori e dai boscaioli carbonai.

Le tombe etrusche sono state anche obiettivo privilegiato di ―tombaroli‖ (che le devastavano per sottrarre vasi, dipinti, bronzi, oggetti d’oro) e falsari (alcuni collocavano i falsi nelle tombe, per poi venderli come autentici). I primi tombaroli furono in realtà gli antichi romani, che cercavano oro e gettavano tutto il resto (in particolare i vasi, le anfore e gli altri oggetti funerari) nel dromos, l’entrata della tomba.

Il contenuto delle tombe che non è andato perduto o depredato è oggi visibile nei musei, comprese le statue in grandezza naturale che venivano poste sui sarcofagi. Celeberrimo è il Sarcofago degli sposi, conservato nel Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma: è un cinerario e mostra due coniugi a banchetto, rivelando la parità tra uomo e donna nella cultura etrusca.

L’architettura delle tombe etrusche ha un valore particolare come introduzione all’architettura romana. Dalle strutture a volta degli ambienti sotterranei saldamente edificate o dagli ipogei a pianta circolare e a falsa volta i romani

riceveranno stimoli notevoli e determinanti per la elaborazione del loro concetto del costruire.

All’arte e all’architettura funeraria degli etruschi si sono ispirati anche artisti e architetti moderni.

È il caso del ricorrente tema della porta, scolpita o dipinta, verso l’aldilà, che ritroviamo nei monumenti ottocenteschi. Così come al modello etrusco alludono i colombari.

Gli etruschi hanno lasciato centinaia di loculi ad alveare scalpellati sui dirupi di tufo. L’uso non è certo, ma potrebbero essere sepolcri. Secondo Giovanni Feo, è plausibile che siano nati come cimiteri a loculi delle classi etrusche meno abbienti.

Tra le antiche popolazioni, non solo gli etruschi hanno lasciato tombe in Italia.

Vanno citati almeno i Sabini, che fino al III a.C.

abitavano tra Lazio, Umbria e Abruzzo, in particolare nella zona vicina ai Monti Sabini, attraversata dal Tevere e dal Velino. Le tombe erano scavate nel tufo e talvolta costruite.

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1.4 Le sepolture al di fuori della città