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CIL IX, 5294 = ILS, 313

Nel documento Indice Introduzione (pagine 140-148)

Luoghi di culto nelle città portuali delle regiones V e VI. Dossier delle fonti e storia dei siti

CUPRA MARITIMA

1) CIL IX, 5294 = ILS, 313

Imp(erator) Caesar Divi Traiani/ Parthici f(ilius) Divi Nervae nep(os)/

Traianus Hadrianus Aug(ustus)/

Pontif(ex) Max(imus) Trib(unicia) Potesta(te) XI/ co(n)s(ul) III munificentia sua/

templum deae Cuprae/ restituit.

Iscrizione su lastra di marmo definita da cornice modanata404 attualmente murata nella chiesa di S. Martino di Grottammare ma rinvenuta nei pressi della pieve di S. Basso alla Civita, come riporta lo stesso Mommsen nell’introduzione a questa epigrafe, specificando che, secondo le fonti a sua disposizione (Giuseppe Colucci, l’Anonimo Barberini, Polidori, Gaetano Tanursi, ecc.) l’epigrafe fu rinvenuta nei pressi de “la Civita” (iuxta ecllesiam Divi Bassi), ma già nel ‘500 fu trasferita nella chiesa di S.Martino (Fig. 46). Si tratta di un testo molto prezioso in quanto nel novero delle attestazioni relative al nome della dea è l’unica completamente certa dell’ambiente piceno. L’iscrizione si può datare al 127 d.C., anno in cui l’imperatore Adriano restaurò a sue spese il tempio della dea Cupra. Come fa notare G. Colonna, questo imperatore

      

403 Cfr. BIFFI 1988, pp. 94-95.

404 Dimensioni: cm 59 x cm 106; campo epigrafico: cm 46 x cm 93; altezza delle lettere: cm 5,7 x cm 4,6).

ha legato il proprio nome a pochissimi templi in Italia al di fuori di Roma: infatti, oltre ad alcuni non meglio specificati restauri di aedes nel Lazio405, l’unico restauro certo e celebrato con solennità è proprio quello del templum deae Cuprae406. La ragione è ovvia: l’origo ultima di Adriano lo riportava ad Hatria, la città dalla quale i suoi antenati erano partiti alla volta di Italica in Spagna, come l’imperatore stesso ricorda nelle sue memorie407: Atri era considerata da Adriano quasi come una seconda patria (alia patria), nella quale aveva accettato di rivestire la carica di quinquennalis come ad Italica408. A proposito dell’anno 127 d.C., i Fasti Ostiensi ricordano che l’imperatore Adriano, nell’intervallo tra due grandi viaggi nelle province dell’impero, partì per un viaggio in Italia409, del quale possiamo ricostruire alcune tappe attraverso le manifestazioni dell’evergetismo imperiale: gli Equicoli, dove furono restaurate opera

publica vetustate dilapsa, Nursia, dove gli fu eretta una statua, Cingulum, dove fu

restaturato l’acquedotto, e Cupra, quasi un pellegrinaggio nelle terre dei Sabini e dei Piceni culminato nella visita al più celebre santuario della V regio410, che doveva essere ancora molto prestigioso alla metà del II secolo d.C, a giudicare dell’interessamento dell’imperatore stesso.

2) CIL IX, 5295

Veidia T(iti) l(iberta) Auge Iulia C(ai) l(iberta) Vrbana mag(istrae) Veneri d(onum) [d](ederunt)

L’iscrizione fu rinvenuta nel 1733 ed inviata a Verona a Scipione Maffei, dov’è attualmente conservata. È data come proveniente da Ripatransone, ma nel recente catalogo della Collezione Maffei si precisa che essa proviene senz’altro da Cupra Marittima, ed è stata messa in relazione al tempio (forse quello sul foro) insieme ad altro materiale relativo al culto di Venere (Fig. 47). A. Calderini precisa che non vi sono dubbi sulla provenienza dell’iscrizione dalla Civita, così come per tutta la restante documentazione relativa a Venere rinvenuta nell’ager Cuprensis, tutte testimonianze

      

405 Anzio, Fabrateria, in BEAUJEAU 1955 ; ILS, 316, restauro della statua di Giunone Sospita a Lanuvio.

406 COLONNA 1993, pp. 16-17.

407 Hist. Aug., Vita Hadriani, 1, 1.

408 Vedi nota precedente.

409 Inscr. It., XIII, 1, p. 205 e 233.

che lo studioso interpreta come validi sostegni alla sua proposta di identificazione della figura della dea Cupra con Venere411. L’iscrizione presenta diversi problemi dal punto di vista dell’interpretazione del testo, il quale è distribuito in modo anomalo: la disposizione dei nomi delle dedicanti, isolati entrambi in righe a sé rispetto all’accorpamento in un’unica riga rispettivamente della qualifica magistrae e del teonimo (redatti inoltre in caratteri più piccoli) ha indotto l’editrice del catalogo della Collezione Maffei alla lettura di un’improbabile Magna Veneri. In realtà, secondo Calderini, si tratterebbe semplicemente di una dedica con una atipica e imprecisa distribuzione del testo. Infatti l’interpretazione di mag- come magistrae, oltre che del tutto plausibile in una dedica a Venere, potrebbe documentare la pratica della prostituzione sacra in connessione con la Venere dell’ager Cuprensis, segnalando un aspetto molto interessante di questo culto sorto in connessione con un centro emporico, oltre che riconfermare indirettamente la supposta provenienza dalla Civita dell’iscrizione stessa412. Potrebbe essere considerato come elemento del tutto in linea con queste considerazioni il cognomen grecanico della prima dedicante, Auge, a significare “splendore”, “luce del sole nascente”.

3) CIL IX, 5296

v(oto) s(oluto) l(ibens) p(osuit)

Iscrizione su una piccola manina di bronzo cinta da un serpente, rinvenuta alla Civita, e unanimemente ritenuto un ex voto (Fig. 48).

Fonti archeologiche:

Le testimonianze archeologiche relative a un luogo di culto della dea Cupra si concentrano tutte nella contrada che fino al secolo scorso era denominata “Civita di Marano”, oggi contrada Santi dove, su una superficie di circa 6 ettari, sorge il complesso forense del municipio romano. I primi rinvenimenti sono degli inizi del ‘700, quando questa zona apparteneva al Seminario Vescovile di Ripatransone, amministrato dal vescovo Mons. Battistelli dal 1705 al 1717, lo stesso che, come riporta una lettera apologetica dell’abate Colucci del 1874, ordinò di distruggere la

      

411 CALDERINI 2001, p. 110.

statua femminile rinvenuta fra i ruderi della città romana, affidandola ai Padri Filippini dell’oratorio per farne stucco413.

Al Museo Archeologico di Ripatransone è conservato un pregevole busto femminile dalle proporzioni superiori al naturale la cui iconografia corrisponde a quella di Venere414 (Fig. 50). Da un’attenta analisi della scultura e dal confronto con modelli classici appare evidente il fatto che è stato impiegato uno scalpello moderno, che ha ricavato il contorno del busto, e scavato la parte posteriore, intervento denunciato anche dall’evidente asimmetria della forma del busto stesso415. La testa della figura è impostata su un robusto collo, leggermente inclinata di lato, con il viso rivolto di tre quarti a sinistra. Sulla spalla sinistra si profila un muscolo in evidenza, che potrebbe lasciar ipotizzare un movimento del braccio sinistro, e a proposito E. Catani propone un confronto con l’atteggiamento del volto e la posizione della spalla dell’Afrodite cnidia di Prassitele. La capigliatura è lunga e leggermente ondulata, spartita al centro della fronte e tirata all’indietro sulla nuca, dove le bande si raccolgono in una piccola coda stretta da un alto nastro che cinge la testa all’altezza della calotta cranica. La massa dei capelli e resa con fini incisioni a solchi sottili, ondulati e paralleli, che sono poi separati da solchi più marcati nella parte superiore della calotta. Ad un’analisi più attenta si possono intravedere tracce del colore nero che in origine tingeva i capelli416.

I tratti del volto morbidi e dolci esprimono femminilità attraverso le sensuali labbra carnose e semiaperte; il naso e le arcate sopracciliari dai margini affilati formano un solo piano con la fronte ampia che inquadra gli occhi di forma allungata, privi di incisione delle parti interne. Infine il mento è appena pronunciato e delicatamente allineato nell’incarnato delle guance e del collo ben tornito.

Si tratta di un’opera eseguita con raffinatezza: tutte le parti sono lavorate a tutto tondo con l’uso esclusivo dello scalpello, rifinite anche nei minimi particolari, le superfici sono ben tornite e levigate. E. Catani propone il confronto con una testa marmorea di Afrodite conservata al Museo Barracco a Roma, in base alle fattezze del volto, ma

      

413 Cfr. G. COLUCCI 1874, lettera XVI, p. 35.

414 Descrizione del pezzo: altezza totale cm 48; altezza dalla punta del mento alla sommità della fronte, cm 20; larghezza del busto alle spalle, cm 30; sotto il nodo dei capelli, sulla nuca, c’è un foro antico dal diametro di cm 1, profondo cm 3; circonferenza del collo, cm 49; altezza del collo cm 9; dalle misure della testa è stata calcolata un’altezza totale di 1,80 m.

415 Cfr. CATANI 1993, pp. 183-187.

soprattutto all’attento e articolato trattamento della capigliatura417 (Fig. 51). Entrambe possono essere considerate copie, presumibilmente di età adrianea, di un originale bronzeo di IV secolo a.C., ma in particolare l’esemplare ripano potrebbe essere visto come il prodotto di un’affermata officina urbana alla quale probabilmente si rivolse l’imperatore per commissionare opere in occasione dell’intervento evergetico nella città picena intorno al 127 d.C., quando restaurò il tempio della dea (cfr. CIL IX, 5294). Anche senza il sostegno di alcuna fonte diretta si potrebbe ipotizzare con Catani che i Padri Filippini non distrussero interamente la statua rinvenuta alla Civita, risparmiandone verosimilmente la testa e parte del busto e conservandola in una delle raccolte che poi confluirono nel Museo Civico. Da un’attenta ricognizione del territorio emergono in realtà altri segni che vanno a rafforzare l’impressione che i Padri Filippini non abbiano distrutto la statua: al di sopra dell’architrave della porta d’ingresso della chiesa di S. Martino, infatti, è stato murato il piede destro di una statua femminile in marmo che calza il sandalo, di proporzioni superiori al naturale: esso si presenta estremamente danneggiato e in cattivo stato di conservazione, anche se ad un esame autoptico la grana e il colore del marmo sembrano molto simili al marmo della testa ripana (Fig. 53). Il pezzo potrebbe verosimilmente essere giunto qui contestualmente all’iscrizione del restauro adrianeo, insieme al cippo votivo nel quale è rappresentato a bassorilievo un elmo,418 conservato anch’esso all’interno della Chiesa (Fig. 54). Va segnalato inoltre, nell’ambito dei rinvenimenti archeologici pertinenti al luogo di culto dedicato alla dea Cupra, un pregevole bronzetto di offerente con perizoma e berretto frigio rinvenuto alla Civita419 (Fig. 49).

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Una ricerca di questo genere pone di fronte a due diversi ordini di problemi, distinti seppur intimamente connessi: la storia del luogo di culto in sé ed il suo significato nell’ambito topografico preso in considerazione, che verrà affrontato di seguito, e l’identificazione (attraverso l’interpretazione critica delle fonti) degli aspetti salienti della divinità vista la relativa abbondanza delle fonti a disposizione, problema che verrà affrontato nel capitolo conclusivo di questo lavoro.

      

417 Cfr. CATANI 1993, p. 188.

418 G. F. GAMURRINI, Epigrafi latine scoperte in Cupra. Note del R. Commissario comm. G.F.

Gamurrini, in “Notizie degli Scavi d'Antichità”, 1888, pp. 559-566. 419 COLONNA 1993, p.5.

Le testimonianze letterarie, epigrafiche ed archeologiche esposte finora, per quanto significative, non danno purtroppo ragione della straordinaria importanza che il santuario di Cupra dovette assumere all’interno del panorama religioso e sociale dell’Italia antica. Dal momento che il sito resta praticamente inesplorato non c’è altra possibilità di verificarne l’antica grandezza che attraverso un più dettagliato esame delle fonti letterarie, che sono state soltanto sommariamente accennate, e un commento approfondito dei principali contributi bibliografici su questo straordinario luogo di culto. Inizieremo rifacendoci al contributo che G. Colonna presentò al Convegno di Studi su Cupra Marittima svoltosi nel 1993 nella cittadina picena. Lo studioso riparte dal passo di Strabone sopra esposto, ritenendolo una delle fonti principali e sottolineando il fatto che quello di Cupra è l’unico santuario menzionato dal geografo per l’intera fascia medio e alto-adriatica: in questo modo lo studioso stabilisce un immediato paragone con il santuario di Pyrgi che, sul versante tirrenico, è l’unico santuario nominato dalla foce del Tevere alle Alpi Marittime420. Anche il santuario di Pyrgi inoltre, come quello di Cupra, incombe sul mare, e ha un carattere più o meno marcatamente extra-urbano: quello di Pyrgi nei confronti dell’insediamento di Caere, quello di Cupra nei confronti del popoloso insediamento gravitante sulla foce dell’Helvinum, oltre 2 km a sud, in direzione di Grottammare, del quale ci sono note le estese e ricche necropoli che ne fanno il maggiore centro costiero del Piceno a sud di Numana. Per quanto controversa, l’ubicazione in quest’area del santuario di Cupra depone per una funzione spiccatamente emporica, che è peraltro sottolineata dal rapporto topografico con lo sbocco a mare della valle del Menocchia, il che naturalmente implica migliori opportunità di comunicazione con il retroterra di quelle offerte dal piccolo torrente Helvinum, oltre alla prossimità allo scalo portuale più rilevante, che deve a sua volta essere localizzato nello slargo di foce del torrente, dove sono stati individuati gli imponenti resti del porto romano, in loclaità Boccabianca. Colonna insiste nel parallelismo con Pyrgi, proponendo un ulteriore elemento che accomuna i due santuari, ovvero l’intervento di genti allogene che ne avrebbe determinato l’origine421: infatti Strabone ricorda i Pelasgi come fondatori del santuario di Pyrgi e i Тυρρενώι come fondatori del santuario di Cupra in un territorio altrimenti abitato dai Piceni. Ma, i fondatori del luogo di culto sono proiettati in un passato

      

420 Strab., V, 2, 8, C 226; COLONNA 1993, pp. 3-31.

remoto anteriore a coloro che al momento dell’esperienza greca lo praticavano, o si possono considerare esponenti di una mobilità “orizzontale” tra ambiti etnico-culturali diversi, in un’ampia prospettiva di scambi economici e culturali422? Determinante per l’interpretazione del passo sarebbe l’identificazione dei Тυρρενώι citati da Strabone. Colonna riporta le ipotesi di Briquel, che propose di indentificarli con i Pelasgi Asili, abitatori della regione medio-adriatica prima del ver sacrum dei Sabini narrato da Silio Italico (vedi sopra) suggerendo un’ipotesi di derivazione dell’etnonimo “Asili” non dal fiume Aesis, il moderno fiume Esino, ma dall’idronimo “Aso”, fiume che scorre nel cuore del Piceno meridionale, pochi km a nord di Cupra Marittima, come aveva già suggerito N. Alfieri423. L’affermazione di Silio Italico deriverebbe da un’idea di Igino, il quale rifiutava l’origine lidia degli Etruschi, ritenendo questi ultimi discendenti dei Pelasgi, come Ellanico e Varrone424. La dottrina di Ellanico presupponeva in definitiva una etnogenesi che in Etruria avrebbe prodotto l’ethnos etrusco, mentre nulla di simile è mai stato postulato per il Piceno, dove si poteva pensare che i Pelasgi fossero arrivati come una ramificazione della testa di ponte padano-romagnola, eventualmente sulla via che li avrebbe portati nel Reatino, ma dove nessuna fonte antica ha osato affermare contro l’evidenza linguistica e culturale che erano divenuti Etruschi, con un processo parallelo a quello realizzatosi in Etruria. Ora, considerando che Strabone concorda con la teoria erodotea sulle origini etrusche, nella quale non viene presa in considerazione una possibile dislocazione adriatica del Lidi-Tirreni se non come eventuale e secondario riflesso della loro conquista della valle padana, ne consegue che il geografo non vede nei Тυρρενώι che fondano il santuario di Cupra i Pelasgi, bensì dei loro nemici, estranei al contesto locale non meno di quanto lo possono essere per lui i Tirreni che opprimono Ravenna, o che spossessano i Cumani dalla Campania. Fatte queste considerazioni G. Colonna, tornando nell’area padano-adriatica, accosta i Тυρρενώι che Strabone considera fondatori del santuario di Cupra agli Etruschi che Plinio il Vecchio interpone diacronicamente tra Umbri e Galli nella sequenza di popoli che avrebbero abitato la Gallica ora, il litorale dell’ager Gallicus tra Ancona e Rimini425.

      

422 COLONNA 1993, p.5.

423 ALFIERI 1982, p. 204.

424 Varro., R.. r., III, 1, 6 ; H.R.R., fr. 7.

Infatti in questo tratto di costa mancano stanziamenti etruschi, e la notizia di Plinio può essere meglio compresa stabilendo un parallelo con la situazione che si riscontra in Campania, dove i Tusci sono interposti tra gli Umbri e il popolo che ha lasciato il suo nome alla regione, appunto i Campani426. Ecco che allora l’Etruria di cui parla Plinio a proposito dell’ager Gallicus è l’Etruria padana la quale, all’epoca del suo massimo splendore, coincidente con la talassocrazia di Spina sull’Adriatico, esercitò, a garanzia della navigazione, un controllo politico militare sulle coste dell’Adriatico, in particolare nella fascia fino al Conero prima dell’arrivo dei Siracusani e dei Galli427. Ulteriore testimonianza di questa presenza troviamo nel passo di Dionigi d’Alicarnasso che descrive la lunga marcia degli Etruschi padani che attaccarono Cuma nel 524 a.C., trascinando con sé Umbri, Dauni e “molti altri barbari428”. Da Novilara ad Ancona, da Numana a Cupra Marittima, da Vasto a Termoli e all’imbocco della valle del Fortore, gli Etruschi padani sembrano aver ricalcato principalmente via terra la rotta marittima che per secoli i Dauni avevano percorso in senso inverso, lasciando tracce di sé nelle ceramiche rinvenute nelle rispettive necropoli.

Ancor più l’impresa etrusca, per il suo carattere di spedizione militare, presuppone l’intreccio di relazioni più o meno pacifiche con le popolazioni rivierasche. Va da sé che i luoghi deputati a tali forme di contatto fossero i santuari, per cui è lecito pensare, con Colonna, che gli Etruschi abbiano allora frequentato, lasciandovi probabilmente ricchi doni, il santuario di Cupra già esistente, come anche altri luoghi di culto più a meridione, ma sempre ubicati sul mare. Ecco che allora la fondazione etrusca del santuario di Cupra riportata da Strabone ha molte probabilità di essere il travestimento leggendario di eventi connessi alla straordinaria impresa del 524 a.C., che può essere considerata l’atto di nascita della talassocrazia etrusca sull’Adriatico diretta contro i Liburni, insediati anche sulla costa picena nell’importante punto strategico della foce del Tronto429, e probabilmente contro i temibili pirati che lo stesso Strabone ricorda stanziati sulle coste frentane430. Dopo di allora, con una coincidenza cronologica non certo casuale, l’Adriatico si apre alla grande emporìa eginetica, attica e magnogreca, come testimoniano le imponenti importazioni ceramiche che ritroviamo nella valle

      

426 Plin., Nat. hist., III, 5, 60.

427 COLONNA 1993, p. 7.

428 Dion. Hal., VII, 3, 1.

429 Plin., Nat. hist., III, 5, 110

padana, e nello stesso Piceno a partire da Numana431. Secondo Colonna Cupra rappresentò per i Greci solo un punto di appoggio nella navigazione verso Numana e la Padania, mentre per gli Etruschi, e soprattutto per gli Spineti, fu una base navale sulla rotta che portava verso Taranto, la Grecia e la Sicilia. Le tracce di questa frequentazione si possono riscontrare nei beni di lusso rinvenuti a largo raggio nelle valli marchigiane meridionali e abruzzesi, dove sono giunti grazie al circuito di doni che univa i capi locali, in concorrenza con i non meno pregiati doni di provenienza greca.

Si potrebbe ipotizzare che proprio grazie alla frequentazione greca e soprattutto etrusca il santuario di Cupra abbia raggiunto la posizione di assoluto primato che gli compete nel Piceno, posizione alla quale si deve lo sviluppo dell’insediamento urbano in età romana intorno ad esso piuttosto che intorno al vecchio nucleo indigeno.

3. Luogo di culto in località Sant’Andrea

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