Luoghi di culto nelle città portuali delle regiones V e VI. Dossier delle fonti e storia dei siti
CASTELLUM FIRMANORUM
2. Culto imperiale Fonti epigrafiche:
FERRETTI 1909, pp. 713-720491; GASPERINI 1993, pp. 64-66. […]no Aug(usto) [sac]rum […] f. Po[…] […………?
Questa dedica è incisa su un frammento trapezoidale di lastra marmorea costituita da due pezzi ricongiunti, di cui si conserva una piccola porzione del margine destro modanato, rinvenuta in un vecchio orto all’inizio del secolo scorso, nelle vicinanze di
488 ILS 6132b = ILLRP 305 (Cellino Vecchio); CIL IX, 1138 (Aeclanum); CIL XI, 7123 (Clusium).
489 GASPERINI 1993, p. 60.
490 GASPERINI 1993, pp. 64-65.
491 F.FERRETTI, Indizi di un antico cimitero cristiano scoperti presso Civitanova nel Piceno, in “Giornale Arcadico”, ser. IV, a. IV, 1909, pp. 713-720.
San Marone. L’altezza massima è di circa cm 25, mentre la larghezza massima è di cm 34; non si conosce lo spessore, né è più possibile ormai misurarne le dimensioni, in quanto il pezzo è murato alla parete di fondo della navata destra della chiesa di San Marone. Quel che resta sono i frustuli di tre linee epigrafiche incise con grande cura, le cui lettere vanno ricondotte per la forma, secondo Gasperini, a modelli grafici circolanti nelle officinae di Roma e d’Italia nella prima età imperiale492. La seconda linea, a giudicare dallo spazio vuoto che intercorre tra l’ultima lettera e il margine destro della specchiatura, sembra centrata sull’asse della lastra, la quale dovrebbe raggiungere una larghezza pressoché doppia rispetto all’attuale, equivalente a circa cm 66,6. L’altezza decrescente delle lettere (cm 4 alle linee 1 e 2, e cm 3,5 alla linea 3) dà chiaro risalto alle prime due linee sulla parte restante (di cui non si conosce l’estensione) del testo. Il segno di interpunzione è a piccolo triangolo. Molte le ipotesi sull’identificazione del teonimo terminante in –no. Secondo Gasperini si potrebbero proporre le seguenti integrazioni: [Ia]no, [Neptu]no, [Portu]no, [Quiri]no, [Satur]no, [Silva]no,
[Summa]no, [Vertum]no, [Volca]no, ma, sulla base delle attestazioni epigrafiche
rinvenute nella V regio, sarebbero preferibili le integrazioni [Silva]no e [Vertum]no493. Se invece come criterio di ricostruzione si privilegia quello grafico, ovvero la ricerca della perfetta assialità di sacrum alla linea 2, sarebbe preferibile una restituzione come
[Neptu]no, o [Portu]no, o [Satur]no, o [Volca]no. Come avverte Gasperini, quale che
sia questa divinità si tratta certamente di un culto radicato a Cluana, successivamente rifiorito in età augustea, del quale non si sapeva nulla.
Lo studioso mostra di preferire l’ipotesi ricostruttiva fondata sull’integrazione
[Neptu]no / sacrum, che sembrerebbe la più attendibile data la posizione marittima del
centro cluanate, dove si può senza difficoltà immaginare un culto al dio del mare, come d'altronde si riscontra in tutti i centri costieri della romanità494 e che costituirebbe anche la prima attestazione di culto di questa divinità in tutta la regio. A causa della grave mutilazione della parte inferiore della lastra, non si può dire nulla neanche riguardo al dedicante, o ai dedicanti. In base al fatto che la prima lettera superstite della linea 3 è una –F, Gasperini ipotizza una formula onomastica in nominativo di un ingenuo, della quale mancherebbe il prenome, il gentilizio e il prenome abbreviato del padre, e di cui
492 GASPERINI 1993, pp. 64-65.
493 Cfr. CIL IX, 5062; 5063; 5892; GASPERINI 1993, p. 64.
resterebbe soltanto la –f di f(ilius) e l’iniziale del cognome, Po[…] (che magari potrebbe rappresentare anche la menzione della tribù), di cui resta, dopo la -o di
Po[…] un’altra lettera che non è possibile distinguere.
La datazione va fissata alla prima età imperiale.
POTENTIA
Il centro romano di Potentia rientra in uno di quei fortunati casi di realtà del mondo antico per le quali il supporto della documentazione storica è piuttosto consistente per tutte la fasi di vita dell’abitato. Esaminando le fonti letterarie troviamo infatti che, oltre a Plinio il Vecchio495, parlano della città di Potentia Tito Livio, in due celebri passi, e Velleio Patercolo496, fornendoci una mole di informazioni notevole soprattutto sui momenti iniziali della storia di questa colonia497 (Figg. 69-74).
Livio riassume la notizia della fondazione della colonia romana di Potentia, associandola ad un’altra fondazione, quella di Pisaurum nell’agro gallico, precisando che furono gli stessi tresviri, Quinto Fabio Labeone, Marco Fulvio Flacco e Quinto Fulvio Nobiliore a provvedere alle assegnazioni agrarie di cui indica anche l’estensione (6 jugeri di terreno pro capite). Nel passo Per., XXXIX, 24 lo stesso Livio ribadisce “coloniae Potentia et Pisaurum et Mutina et Parma deductae sunt”. Velleio invece ci informa sull’anno della fondazione di Potentia e Pisaurum, affermando che avvenne dopo un quadriennio dalla fondazione di Bologna498. L’anno del consolato di Manlio Volusone e Fulvio Nobiliore è il 189 a.C., per cui l’anno della deduzione di Potenza e Pesaro si può fissare al 185 a.C., data che tuttavia diverge da quella fornita da Tito Livio, il 184 a.C.. Secondo Velleio499 queste fondazioni segnerebbero la ripresa dell’espansione coloniaria romana verso l’Adriatico dopo il difficile periodo delle guerre annibaliche e dell’insurrezione celtica, ma E. Percossi Serenelli giustamente sottolinea il fatto che le deduzioni sarebbero piuttosto inserite in un più vasto programma di politica coloniaria che coinvolse di certo l’Italia centrale, ma in particolar modo quella settentrionale e mediterranea500. Lo stesso Paci esclude per la deduzione di Potentia motivazioni strategiche e difensive, visto che l’area medio-adriatica non era interessata in questo periodo storico da operazioni militari, trovandosi
495 Plin., Nat. Hist., III, 13, 111.
496 Liv., XXXIX, 44, 10; XLI 27; Vell., I, 15, 1.
497 Ritroviamo il nome della città anche in Mela II, 65; Itin. Anton., 313, 1; An. Rav., 31, 44; 46, 8; Strab., V, 4, 2; Ptol., Geogr., III, I, 18.
498 “Cn. autem Manlio Volusone et Fulvio Nobiliore consulibus Bononia deducta colonia abhinc
annos ferme CCXVII, et post quadriennium Pisaurum ac Potentia”. 499 Vell., I, 15, 2.
sotto il controllo della squadra navale di stanza ad Ancona, e soprattutto essendo Roma impegnata in altri fronti, come la Gallia, la Spagna e l’Oriente501.
Purtroppo Livio tace sul numero dei coloni dedotti, informazione che sarebbe stata di fondamentale importanza onde comprendere il carattere della fondazione. Di questo particolare aspetto si sono occupati molti studiosi che si sono divisi tra chi, come il Salmon, pensa che Pesaro e Potenza siano colonie romane con una radicale differenza dalle antiche colonie maritimae (costituite da 300 coloni a cui erano assegnati 2 iugeri di terreno a testa) poichè la loro deduzione si inquadra in un momento storico in cui la colonizzazione latina in Italia è stata praticamente già quasi del tutto compiuta, e che quindi Potentia vada inquadrata tra le colonie che vantavano un contingente di coloni che ammontava a circa 2000 unità (come per Mutina e Parma, deduzioni che oltretutto Livio cita insieme a Pesaro e Potenza). Un'altra corrente di studiosi invece, come Tibiletti e la Delplace, ritengono che le due città sul litorale marchigiano abbiano avuto la struttura delle colonie romane antiche di carattere militare e marittimo, considerando in particolar modo il ridotto comprensorio territoriale a loro disposizione e l’estensione piuttosto limitata dell’area urbana502. Ora, le ultime ricerche svolte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche nell’ambito della centuriazione dell’agro pisaurense hanno permesso agli studiosi di calcolare per il momento della deduzione coloniaria un numero di coloni che, accordandosi con le ipotesi del Salmon, prevede circa 2000 unità. Come fa notare Paci, in base alle informazioni forniteci dai libri gromatici, sappiamo che Pisaurum (come Potentia) fu oggetto di una seconda deduzione negli anni tra il 42/41 a.C. e il 33/32 a.C. circa (datazione suggerita dal fatto che per Potentia viene menzionata la legge triumvirale e che probabilmente si tratta di una rifondazione della colonia antoniana da parte di Ottaviano dopo Azio con le relative assegnazioni ai suoi veterani)503 . Presupponendo che la seconda deduzione si fosse appoggiata sullo stesso impianto della prima senza ampliamenti, Paci tende a dare maggior credito alle ipotesi espresse dalla Delplace, che prevedeva un numero di coloni non superiore alle 300 unità per la colonia più antica, e considerando che Pisaurum era di dimensioni analoghe alla contemporanea Potentia, lo studioso propone di applicare
501 PACI 1995, p. 4.
502 SALMON 1969; TIBILETTI 1950, pp. 183-266; DELPLACE 1993, pp. 13 e segg..
503 Lib. Col., p. 226, 11 Lachmann; Lib. Col.,p. 257, 15; Lib. Col.,p. 257, 19-22; PACI 2001, p. 22; PACI-PERCOSSI 2005, pp. 190-201.
lo stesso modello anche a quest’ultima504. Nonostante questi tentativi di ricostruzione resta comunque il problema rappresentato dal fatto che dai dati archeologici a nostra disposizione (estensione dell’area urbana attraverso l’indagine del circuito murario, estensione e progresso delle necropoli della città) non possiamo risalire al numero effettivo dei coloni presenti a Potentia, onde definirne la sua natura di colonia. Tuttavia quello che è possibile desumere dall’esame della topografia urbana è che la città dovette avere una limitata estensione fino agli ultimi decenni dell’età repubblicana. Per quanto riguarda invece l’ager, possiamo valerci degli studi di N. Alfieri, il quale, effettuando dei calcoli sulla deviazione per azione antropica dei fiumi antichi (da cui si è potuto ricavare anche il numero e l’estensione delle centurie assegnabili su questo territorio)505, ipotizzò un’estensione dello stesso di poco più di 10 km², purtroppo non corredati da un’adeguata documentazione archeologica che ne attesti la frequentazione per i secoli III-II a.C..
Lo studioso ha tentato di ravvisare le persistenze della divisione coloniaria in alcuni elementi del paesaggio agrario in una vasta area lungo la bassa vallata del fiume Potenza prossima al sito della città romana, compresa fra l’attuale SS Regina, costruita negli anni ’70 dell’Ottocento sulla persistenza di un allineamento centuriale, e la strada comunale di Chiarino, i quali rappresenterebbero i limites esterni della centuriazione orientata secondo l’andamento longitudinale della valle506. Le scarsissime notizie desumibili da fonti archeologiche si limitano purtroppo al solo rinvenimento di una fornace di ceramica a vernice nera, attiva presso il decumano della centuriazione (l’odierna località S. Lucia di Montelupone) e di alcuni basoli di lastricato stradale che potrebbero essere pertinenti ad uno dei decumani maximi che, seguendo quello della centuriazione, entra in città dalla porta ovest.
Stando comunque alle fonti storiografiche, Potentia nasce con lo statuto giuridico di
colonia, al quale corrisponde approssimativamente, come già indicato, una proprietà di
circa 6 iugeri di terreno per ogni colono. Potentia è considerata una fondazione ex
nihilo, ovvero in un territorio non occupato in precedenza: infatti, allo stato attuale
delle ricerche, non si conoscono livelli stratigrafici riferibili ad epoche precedenti a quella documentata dalle fonti storiografiche per la fondazione della colonia. Essa è
504 PACI 2001, p. 22.
505 ALFIERI 1949, pp. 122-141
stata ubicata su un terrazzo naturale, sulla sinistra dell’antica foce del Flosis (Potenza), sopraelevato di una decina di metri rispetto alla vicina linea di costa, sito che corrisponde attualmente all’area prossima all’abbazia di S. Maria in Potenza, a circa 3,5 km a sud dell’odierno centro di Porto Recanati. L’esistenza di uno spesso strato antropico immediatamente al di sopra del terreno vergine e sotto i resti della città romana sembra documentare il passaggio tra l’abitato indigeno e l’aggregato urbano successivo507.
Le evidenze archeologiche documentano tuttavia l’esistenza nell’area della bassa valle del Potenza di un insediamento ancora abbastanza vitale e aperto ai commerci marittimi sul versante est del colle su cui oggi insiste la vicina Recanati, che si affaccia sulla vallata del fiume, e testimoniano la presenza di un centro attivo almeno nel corso del V secolo a.C., ma frequentato almeno dall’età del Bronzo, sulla sommità della collinetta di Montarice, che è l’altura più prossima alla costa presso la foce del fiume508. Il sito di Montarice è stato oggetto di saggi di scavo negli anni 1976-1977 i quali, oltre ad accertare la presenza dell’insediamento di cui sopra, hanno restituito materiale di notevole importanza, come frammenti di ceramica attica figurata relativi a kylikes a figure nere attribuibili al Gruppo di Haimon (490-480 a.C.) e frammenti di crateri a calice a figure rosse attribuibili alla bottega del Pittore dei Niobidi. In base alla distribuzione di questi rinvenimenti è stata proposta l’esistenza di un tracciato stradale protostorico che, distaccandosi dalla via litoranea, toccava i siti di Leonessa, Montarice e Castelfidardo, tracciato che sembra ancora in uso in epoca romana e nell’Alto Medioevo. Come accade per Ariminum e Pisaurum, in cui si riscontra un insediamento presso la foce del fiume utilizzato come porto canale dagli abitanti dei centri d’altura più interni, anche l’abitato protostorico sul colle di Montarice avrebbe potuto mantenere un rapporto di dipendenza con l’avamposto sull’antica foce del fiume Potenza (Flosis), sito in cui sarebbe stata fondata più tardi la colonia romana509. U. Moscatelli nel suo studio sui municipi della V regio510 ipotizza che anche questa parte del territorio fosse sottoposta al regime di controllo attuato dal governo di Roma mediante il sistema delle praefecturae, estendendo ad essa il regime di organizzazione agraria previsto dalla Lex Flaminia. La deduzione del 184 a.C. ha, in ogni caso,
507LUNI 1996, pp. 452-453.
508 PERCOSSI SERENELLI 2001, p. 31; PACI-PERCOSSI 2005, pp. 190-201.
509 LUNI 1996, pp. 452-453.
l’effetto di rafforzare il controllo del governo romano su tutta l’area che gravita sulla foce del fiume Potenza, e, insieme a quella di Pesaro, su tutto il litorale marchigiano. E. Percossi Serenelli ripercorre le motivazioni della scelta del sito per l’impianto della nuova colonia, sottolineando la necessità per Roma di rispondere alle esigenze di una plebe romana impoverita dalle guerre da un lato, e dall’altro, di un ceto di piccoli proprietari che stavano perdendo i loro possedimenti a vantaggio dei latifondisti, evitando in questa zona il ripetersi di situazioni analoghe a quelle verificatesi nel corso della guerra annibalica. Il contesto ambientale che poteva vantare il sito prescelto per la nuova deduzione rispondeva agevolmente a tutte queste esigenze: disponibilità di terre fertili da assegnare ai coloni, prossimità allo sbocco di una vallata fluviale che fin da epoche preistoriche costituiva uno dei più frequentati passaggi transappenninici di collegamento tra Adriatico e Tirreno, e che sarà ripercorsa in età romana dal diverticolo della Flaminia per Picenum Anconam fino a Passo di Treia, e da Passo di Treia fino al mare dall’asse viario che attraversa Ricina (e che da Ricina raggiunge la costa), oltre all’incrocio di altri due importanti assi viari: la bisettrice di valle del fiume Potenza (agevolissima per i contatti verso l’interno della regione e di valenza interregionale) e la via litoranea per i traffici paracostieri (anch’essa già attiva in epoca preromana con valenza interregionale) ripercorsa esattamente in età romana nel tratto in territorio piceno dalla via Salaria picena. Di fondamentale importanza inoltre la presenza di una foce fluviale utilizzabile anche come porto, la possibilità di utilizzare il fiume per i trasporti, e una linea di costa che si presuppone più mossa rispetto all’attuale, con rientranze adatte alla navigazione antica in prossimità della foce fluviale. Un’area così vitale rappresentava in ogni caso una zona da presidiare nell’ambito di una politica di espansione e controllo del territorio511. Piuttosto suggestiva l’ipotesi ricostruttiva avanzata da alcuni studiosi512, secondo i quali queste deduzioni coloniarie sarebbero state dettate dalla necessità di una difesa dalla permeabilità delle aree litoranee alla diffusione di religioni misteriosofiche orientali ritenute pericolose per l’ordine pubblico e per il mantenimento dell’ordine sociale e istituzionale in quanto minavano alla base i principi culturali e di costume della società romana, soprattutto in riferimento ai recentissimi avvenimenti che avevano portato, a partire dal 186 a.C., ad una serie di provvedimenti del senato volti alla repressione delle feste dei Baccanali, e allo
511 PERCOSSI SERENELLI 2001, pp. 29-30.
scioglimento delle sette religiose ad esse collegati. Secondo questi studiosi il legame fra i due eventi andrebbe individuato nella presenza dei membri della gens Fulvia (implicati nell’affare dei Baccanali) nelle due deduzioni coloniarie513. Ritengo di poter escludere questa ipotesi ricostruttiva proprio in virtù della compresenza delle numerose risposte di carattere sia strategico che pratico che la scelta del sito poteva fornire, già argomentate. Credo piuttosto si possa accreditare un maggior grado di verosimiglianza all’ipotesi formulata da Sisani, secondo il quale le colonie di Potentia e Pisaurum nascono con l’intento di rendere più sicura la costa adriatica vessata dalla pirateria illirica, soprattutto in considerazione del fatto che le deduzioni precedono di poco l’inizio delle attività belliche contro gli Istri, avviate nel 178 a.C.514. Particolare rilievo assume la notizia fornitaci da Cicerone, ovvero che uno dei lotti di 6 iugeri di terreno assegnati ai coloni di Potentia andò al poeta Ennio515. Sappiamo che il poeta originario di Rudiae era un protetto di M. Fulvio Nobiliore (il padre di Quinto Fulvio Nobiliore), e aveva seguito in Etolia il console del 189 a.C, il quale fu appunto uno dei tresviri fondatori della colonia. E. Percossi Serenelli ipotizza che potrebbe essere stato lo stesso Q. Fulvio Nobiliore a portare il poeta a Potentia, e ad assegnare per la prima volta ad un “non” cittadino romano un lotto di terreno con la cittadinanza romana516. Fra i nuovi coloni di Potentia ritroviamo anche gli Oppii, famiglia presente anche ad Auximum con il rango senatorio, banchieri e negotiatores di età repubblicana che si arricchirono grandemente dalle proficue relazioni commerciali stabilite tra fine III e inizi II secolo a.C. con l’Oriente, ricchezza con la quale finanziarono la loro ascesa politica, assurgendo al gradino più alto della carriera politica romana. Non possiamo essere certi della loro presenza ad Auximum sin dalla fondazione, che succede di poco quella di
Potentia, o se piuttosto vi si trasferirono in un secondo momento.
Una testimonianza tangibile della loro presenza attiva all’interno della comunità è rappresentata dall’offerta votiva di una pisside a vernice nera (in ceramica del tipo campana B) effettuata nel Capitolium da L(ucius) Oppius che costituisce la più antica attestazione della presenza di questa famiglia in questa zona centrale della V regio, e che, come fa notare Paci, non può non richiamare alla mente il personaggio già incontrato nell’agro cluanate (l’odierna Porto Sant’Elpidio): P(ublius) Oppius C(ai)
513 Vedi PERCOSSI SERENELLI 2001, p. 34.
514 SISANI 2006, p. 337.
515 Cic, Brutus, 20, 79; Pro Archia, 22.
l(ibertus) di professione argentarius, menzionato in un’iscrizione di fine II-inizi I
secolo a.C.. Dopo un decennio esatto dalla fondazione, la colonia fu oggetto di un vasto programma di opere pubbliche che entravano a far parte dell’attività dei censori Q. Fulvio Flacco e A. Postumio Albino, delle quali Livio ci restituisce un elenco dettagliato (Et alter ex iis Fulvius Flaccus -nam Postumius nihil nisi senatus Romani
populive iussu se locaturum edixit- ipsorum pecunia Iovis aedem Pisauri et Fundis et Potentine etiam aquam adducendam (...) 517). Come per la concessione della cittadinanza ad Ennio, abbiamo anche in quest’occasione un provvedimento straordinario che riguarda la città: i due censori infatti appaltarono lavori pubblici relativi non, come di consueto,a sistemazioni della rete viaria, ma ad interventi urbanistici di una certa rilevanza, in città inserite all’interno dell’ager romanus: le mura di Calazia e di Osimo, ad esempio, oltre al Capitolium di Pesaro, Fondi e Potenza, e all’acquedotto, alla rete fognaria, alle mura di cinta, e alla struttura forense, con portici, botteghe e tre archi, opere queste ultime, di cui si occupò solo Q. Fulvio Flacco, rifiutandosi Postumio Albino di procedere senza l’autorizzazione del Senato: Flacco era proteso alla ricerca e all’ampliamento di consenso nei territori delle colonie e dei municipi, ma questo comportò una frattura con il collega. Probabilmente a queste iniziative edilizie di carattere pubblico parteciparono anche personaggi locali, che ricoprivano cariche politiche, come dimostrerebbe l’epigrafe rinvenuta di reimpiego in un muretto tardo all’interno dell’area porticata a sud del tempio, databile al II secolo a.C.518, di notevole interesse in quanto attesta che la magistratura superiore della colonia era quella dei praetores: anche a Potentia, come in molte altre città costiere, si assiste nel corso del II secolo a.C. al consolidamento delle ricchezze di un ceto locale in grado di utilizzare il proprio denaro per realizzare opere di pubblico interesse, allo scopo di accaparrarsi consensi per la propria ascesa politica. Questo tipo di mobilità sociale inserisce la comunità di Potentia nel fervente quadro politico in evoluzione dell’Italia di fine II-inizi I secolo a.C., prospettando una situazione economica di grande vivacità, in cui gli interessi delle élites municipali non sono soltanto fondiari, come in passato, ma anche commerciali, soprattutto per una città con una tale posizione sulla costa adriatica: oltre a conoscere le proficue relazioni commerciali con l’Oriente intraprese dal colono d’eccezione Lucio Oppio, la presenza di coppe megaresi e
517 Liv., LXI, 27, 1 e 10-13.
ceramiche di tipo ellenistico tra i rinvenimenti delle necropoli e dell’abitato costituisce la conferma della partecipazione della comunità potentina ai traffici commerciali