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La Cina tra storia e modernità: perché si decide di non denunciare?

Capitolo III: La violenza domestica nei confronti dei minori nella RPC

3.5 La Cina tra storia e modernità: perché si decide di non denunciare?

Sebbene in Paesi sviluppati sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista sociale – come ad esempio gli Stati Uniti, il Regno Unito ed il Canada – vengano stipulate delle leggi per tutelare il minore vittima di abusi, per cui ad esempio personale medico e psicologi devono obbligatoriamente riportare i sospetti abusi, il problema della mancata denuncia ancora sussiste. Problematica che si ha anche in Cina, la quale tende a nascondere i soprusi e renderli solo una questione familiare.

Probabilmente il problema alla base è la concezione di cosa sia un abuso e cosa invece non lo sia, idea che varia da cultura a cultura. Per esempio, in molti Paesi si ritiene violenza sui minori la violenza fisica nei confronti del minore, mentre in Cina picchiare i bambini viene visto come il modo principale per educarli. Allo stesso modo, vendere una bambina ad una famiglia in modo che venga cresciuta per diventare la moglie del primogenito in Italia è considerato illegale, mentre in Cina è una prassi abituale.

In uno studio recente si è ricorso ad alcune interviste per delineare l’idea di cosa sia un abuso all’interno di un nucleo familiare cinese. Le risposte che vengono riportate sono interessanti per il discorso fin qui condotto: sono in molte le famiglie a sostenere che il

child sexual abuse indica semplicemente avere un rapporto sessuale con il minore, mentre

altre pratiche non vengono concepite come abuso sessuale. Viene infatti accettato il sesso orale e i palpeggiamenti, e non si ritiene che i bambini, al contrario delle bambine, possano essere molestati sessualmente dal momento che dovrebbero sentirsi grati e fortunati poiché viene loro concessa la possibilità di avere un rapporto sessuale.165

Un altro studio preso in esame, stavolta usando come campioni dei bambini di Hong Kong affetti da deficit dell’attenzione ed iperattività, spiega quali siano le conseguenze della violenza domestica da un nuovo punto di vista. In questa indagine, i genitori ed i figli sono stati invitati a fare un gioco di ruolo scambiandosi le posizioni. Lo scopo principale di tale esperimento è stato quello di mostrare, con i semplici gesti quotidiani,

165 Q.W. Xie et al., . What prevents Chinese parents from reporting possible cases of child sexual

85 quali sono le relazioni di potere presenti tra genitori e figli e vedere se scambiando tali ruoli fosse evidente la presenza del problema. Un caso lampante è stato quello di Bowie e Linda, rispettivamente figlio e madre. La prima a rompere il silenzio è stata la madre urlando «Go to hell» («Vai all’inferno»), frase che il figlio era solito urlare alla madre. Bowie, in risposta, si è alzato e ha tirato uno schiaffo in faccia alla madre, sottolineando il fatto che non dovesse rivolgersi alla madre in quel modo. Linda, sempre agendo nei panni del figlio, ha spinto Bowie e gli ha tirato i capelli e quest’ultimo in risposta ha deciso di colpire la madre con dei calci sul sedere. Il litigio si è protratto tra urla, spintoni e schiaffi ed i due alla fine hanno ammesso che di episodi del genere ne sono capitati molti e che solitamente sono ancora più violenti, al punto che Linda stessa, in più di un’occasione, ha dovuto chiamare la polizia poiché non riusciva a sedare la lite ed il carattere irruento del figlio.

Già dall’inizio il problema è evidente: la mancanza di dialogo porta il figlio e di conseguenza anche la madre ad esagerare dapprima con i toni accesi, poi con la violenza fisica. La madre è arrivata a denunciare il figlio senza accorgersi che il rapporto e la relazione instaurata tra madre e figlio è sbagliata e nociva per entrambi.

Sono in molti gli esempi di genitori esasperati che non riescono a tenere a bada i propri figli, molti dei quali, essendo stati abusati in famiglia, finiscono per covare rabbia e risentimento anche con derive violente. Va detto che il caso di Linda e Bowie rappresenta una dimensione atipica in Cina poiché il modello family-oriented più diffuso preferisce tenere nascosti i problemi familiari e non condividerli al di fuori delle quattro mura domestiche. Ciò che l’articolo tuttavia vuole dimostrare è che la violenza genera violenza e se il bambino cresce in un ambiente problematico e prepotente si troverà ad agire secondo il modello aggressivo che ha visto e appreso.166

3.5.1 Victim-blaming attitude.

La traduzione italiana di victim blaming è colpevolizzazione della vittima, ed è il pensiero per cui la vittima sia responsabile interamente o in parte per la violenza, l’atto o l’abuso subito di qualsiasi tipo.167 Collegato al concetto di victim-blaming c’è il concetto di self-

166 L.C. Joyce, Ma et al., Maltreatment in Parent-Child Relationships of Chinese Families with

Children Suffering from Attention Deficit Hyperactivity Disorder in Hong Kong: A Qualitative Study, «British Journal of Social Work Advance Access», 2015.

167 Questo argomento è stato introdotto nel capitolo prededente nel paragrafo 1.3.1 Il ciclo della

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blaming, la vittima cioè si sente così meritevole da arrivare al punto di incolparsi da sola.

Questo concetto è stato teorizzato per la prima volta nel 1971 quando William Ryan pubblica un libro chiamato Blame the victim in risposta a Daniel Patrick Moynihan ed al suo saggio The Negro Family: The Case For National Action del 1965 in cui esponeva il suo pensiero riguardo la formazione dei ghetti e la povertà. Il pensiero di Moynihan è che le persone di colore si autoghettizzino ed autocolpevolizzino, lo scritto di Ryan nasce in risposta a queste affermazioni criticando il comportamento e chiedendosi come fosse possibile arrivare al punto di incolpare la vittima. Da questo momento in poi, il termine

victim-blaming viene usato soprattutto nei casi di violenza e di stupro.

Ciò che porta la vittima ad incolparsi non solo è il senso di vergogna e di giudizio nel sentirsi inadeguata, non all’altezza ma viene anche fortemente influenzata dal punto di vista delle persone attorno: capita sempre più spesso che ci si nasconde dietro affermazioni quali se l’è meritato, poteva scappare, se l’è inventato e così la vittima si sente in colpa per ciò che è successo, alienata.

Altro punto a sfavore è costutito dal tempismo: se la vittima ad esempio non riesce a trovare il coraggio di denunciare, di ribellarsi ma ci riesce anni dopo, allora deve sentirsi in colpa perché o l’ha inventato o la situazione le è andata bene fino a quel momento. In Cina, il victim-blaming è giustificato dal fatto che è una nazione prettamente ancorata alla tradizione: la donna deve rispettare il suo posto e nel momento in cui così non fosse, merita di essere punita, merita di ricevere un trattamento negativo perché non ha rispettato il potere di una persona che automaticamente ed erroneamente si riconosce come superiore. L’assalitore si percepisce come superiore, come autoritario: sente di poter controllare la vittima che in quanto tale è in una situazioone di controllo totale, subisce passivamente.