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Cittadinanza, diritti e diseguaglianze: una questione (anche) di spazio

3. LA CITTÀ

3.3 Cittadinanza, diritti e diseguaglianze: una questione (anche) di spazio

Per concludere al meglio questa prima parte di analisi proverò a dedicare un piccolo spazio all’importanza della spazialità nelle relazioni e nelle dinamiche sociali.

Come ho già avuto modo di spiegare ai braccianti immigrati viene negato l’uso della città in quanto come – e qui non possiamo che riprendere nuovamente Sayad – «manovali a vita» il loro spazio di vita e la loro soggettività si deve esaurire in quello del proprio lavoro (o lavori). Questo nodo di riflessione rimanda a quello dell’esclusione dallo spazio pubblico – sul cui concetto ci siamo soffermati nel secondo capitolo – 271 ed, in particolare, sulle forme territoriali che può assumere l’esclusione.

Infatti, proprio lo sguardo di analisi di questo capitolo che pone in primo piano la variabile dello spazio permette non solo di portare a compimento queste riflessioni, ma anche di dare maggior dignità alla comprensione di quelle precedenti. Nel leggere la vicenda dei braccianti saluzzesi si intuisce come la separazione spaziale e l’esclusione dallo spazio pubblico272 siano degli elementi fondamentali per comprendere fino in fondo non solo quelle dinamiche, ma anche l’aspetto territoriale della cittadinanza e delle pratiche politiche.

Balibar, ragionando attorno alle costanti di negazione della cittadinanza – dalla discriminazione all’eliminazione –, nota, infatti, che: «qualsiasi pratica politica è territorializzata. Essa identifica o classifica degli individui o delle popolazioni sulla base della loro capacità di occupare uno spazio o di esservi ammessi».273

Quindi lo spazio e l’accesso ad esso è direttamente proporzionale a quello ricoperto – o non – all’interno di una comunità di riferimento, che di volta in volta produce e riproduce delle regole di inclusione ed esclusione – interna ed esterna – che si materializzano anche a livello spaziale; le frontiere ed i confini ne sono un classico esempio.

271 Nel capitolo precedente mi sono soffermata sul significato e sull’uso del termine di esclusione, appoggiandomi

alle riflessioni di Castel. Consapevole e concorde con le considerazioni del sociologo ritengo comunque appropriato utilizzare nell’analisi che stiamo per affrontare questa categoria, in quanto come scrive Balibar a proposito (sia del termine che delle valutazioni di Castel)-:«Ma se una simile argomentazione serve a metterci in guardia contro gli usi approssimativi ed enfatici dellla categoria di esclusione, e in particolare contro quelli che suggeriscono che le contraddizioni della cittadinanza attuale non fanno che riprodurre le vecchie opposizioni tra cittadini e soggetti negli imperi coloniali, essa non può cancellare il carattere strutturale di tale contraddizioni». Balibar E., Cittadinanza, Torino cit., pag. 88.

272

Sul rapporto tra migranti e luoghi pubblici, luoghi di disciplinamento e di socievolezza rimando all’antropologo Gatta ed in particolare alla sua ricerca etnografica sull’isola di Lamedusa. Gatta G., Clandestinità e luoghi terzi.

Legittimazione, sicurezza, soggettività, «Rassegna Italiana di Sociologia», Bologna, 2011, n.1, pp. 37-56.

273

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E come la frontiera, l’esclusione costituisce per eccellenza, nella sfera del politico, un fenomeno a doppia faccia, storico e simbolico. Ma contiene anche, sotto questo aspetto, un elemento anfibologico, nel senso che le due facce si sovrappongono costantemente l’una all’altra. Fenomeni empirici, storici, di territorializzazione e di deterritorializzazione (come gli spostamenti di popolazioni, le migrazioni, la fortificazione delle frontiere, le barriere alle comunicazioni) si trasformano in determinazioni dell’universale, cioè in regimi di diritto e accesso al diritto. Distinzioni che appartengono alla sfera simbolica, come le differenze antropologiche di sesso, di età e di cultura, […], si trasformano in strumenti materiali (più o meno costringenti) per assegnare gli individui e i gruppi a determinati territori e regolare la loro circolazione. Approdiamo così al fatto epistemologico fondamentale che alcune categorie spaziali come il territorio, la residenza, la proprietà del suolo, ma anche simmetricamente, il viaggio, il nomadismo e la sedentarietà, sono al tempo stesso determinazioni costitutive della cittadinanza.274

Le riflessioni del filosofo francese aiutano, quindi, a visualizzare e dare uno spessore spaziale all’esclusione dalla cittadinanza e dai diritti ad essi connessi. La cittadinanza è un concetto teorico e diventa estremamente empirico nel momento in cui si prova a decostruirlo mettendo in luce le sue criticità e i suoi caratteri di esclusione. L’accesso alla cittadinanza si esplicita pertanto anche secondo un accesso alla città nella sua spazialità. L’esclusione e la segregazione (o auto- segregazione) spaziale275 diventano pertanto dei dispositivi per creare e mantenere un sistema di diseguaglianze e, quindi, una possibilità di fruizione di diritti diversa. Per riportare degli esempi classici si pensi agli slums o alle gated communities oppure, come suggerisce Secchi, si può rivolgere l’attenzione a degli «aspetti più comuni, meno estremi, che si possono ritrovare nelle aree del pianeta che più intensamente si sono sviluppate negli ultimi secoli: Europa e Stati Uniti».276 E rivolgendo lo sguardo all’Europa si possono citare «i grandi quartieri di edilizia pubblica a Rozzano, quelli di Quarto Oggiaro, Calvairate o Stadera a Milano e i molti altri casi che potrebbero essere ricordati, a Madrid come a Berlino, a Roma e a Mosca, rivelano che in tutte le grandi città sta emergendo una topografia sociale sempre più contrastata».277

Il concetto di spazio aiuta, quindi, ad ampliare la prospettiva in merito alla strutturazione e reiterazione delle diseguaglianze sulle quali influiscono non solo il capitale economico e il capitale sociale, ma anche quello di tipo spaziale. Secchi a proposito, riprendendo le elaborazioni del geografo politico Soja, spiega che può essere considerata ricca: «anche la persona, la famiglia o il gruppo che dispone di un adeguato capitale spaziale, vive ciò in parti della città e

274 Ivi, pp. 93–94. 275

Per un analisi sull’intreccio tra razzismo e spazio rimando allo studio di Somma P., Spazio e razzismo. Strumenti

urbanistici e segregazione etnica, Franco Angeli, Milano, 1991.

276 Secchi B., op. cit., pag. 4. 277

95 del territorio dotate di requisiti che ne facilitano l’inserimento nella vita sociale, culturale, professionale e politica come nelle attività a lei più consone».278

Al contrario, invece, può essere indicata come povera non solo la persona (o gruppo o famiglia) che non «dispone di un reddito e di un patrimonio esigui, ma anche quella che di fatto non dispone, neppur potenzialmente, della possibilità di usufruire di alcuni beni e servizi essenziali per la sopravvivenza, come ad esempio le cure mediche; che non ha accesso all’istruzione o all’assistenza sociale nelle sue diverse forme e il cui capitale spaziale la esclude dai più elementari diritti di cittadinanza; che viene stigmatizzata ed «etichettata» in funzione del suo luogo di residenza»279.

In questo senso la stessa urbanistica diventa un vero e proprio atto politico che ha la responsabilità delle forme sulle quali è modellata la città. Paola Somma, infatti, suggerisce come «l’urbanistica, se pure non è l’unica responsabile della segregazione, contribuisce in modo potente a crearla e/o a rafforzarla attraverso indicazioni che si traducono in interventi sull’ambiente fisico difficilmente modificabili una volta realizzati, ed i cui effetti sono inevitabilmente destinati a durare anche dopo eventuali mutamenti di indirizzo politico».280 La pianificazione urbana spesso intrecciata agli interessi di commercializzazione della città rende evidente una divisione tra chi può permettersi questo “commercio” e chi non, tra chi è ricco e chi non lo è.

Si potrebbe dire, quindi, che una delle caratteristiche principali che connotano la cosiddetta società degli individui, il cui pregio dovrebbe consistere nell’allargamento delle possibilità di espressione e di realizzazione di ogni persona, sia quella che solo i proprietari godono di diritti. Gli altri vengono rinchiusi, messi ai margini o espulsi, perché, come ben spiega Don Mitchell, in una società divisa tra gli “have” e gli “have not” e dove tutto è privato “chi non possiede nulla semplicemente non può esistere, perché non ha un posto dove stare” e la loro escissione è ritenuta auspicabile perché rende più produttiva la città.281

La distinzione tra gli “have” e gli “have not” rinvia in qualche modo alle considerazioni di Castel in merito alla dialettica tra proprietà, proprietà sociale e proprietà di sé. Alla luce di quello scritto fino ad ora il concetto di proprietà può essere spiegato ed ampliato inserendo anche l’elemento del capitale spaziale: proprietario sarà anche colui che ha accesso – e quindi in un certo senso

278 Ivi, pag. 16. 279

Ivi, pp. 16–17.

280 Somma P., La città dell’ingiustizia. Politiche urbanistiche e segregazione, 2011, pag. 2, consultato al link

www.archivio.eddyburg.it

281

96 proprietà – alla città e ai suoi servizi in senso lato. E secondo questa prospettiva assume ancora più significato il concetto di «disaffiliazione», si pensi ad esempio alle rivolte dei banlieusards. L’idea di accesso alla città si intreccia, infine, con quello di diritto alla città e porta a domandarsi come esso oggi si declini e verso quale direzione.