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4. UNO SGUARDO ALLE PRATICHE

4.2 Occupare oggi

È, quindi, essenziale che la ricerca – e non solo quella di stampo urbanistico – si interroghi sulle dimensioni attuali dell’abitare, uscendo dalle trappole di una visione che divide tra legale ed illegale. Come nota sempre Ferrara:

i movimenti di lotta per la casa sono un fenomeno poco conosciuto, a livello sia scientifico che di opinione pubblica, e stimolano la formulazione di nuove ed ulteriori domande. Molto spesso le occupazioni a scopo abitativo sono state un argomento forse troppo in fretta archiviato per le sue caratteristiche illegali, e trattato dai vertici politici come soluzioni meramente assistenziali. Attualmente, invece, potrebbero essere rilanciate come punto di partenza per nuove esperienze in campo urbanistico e sociale.338

337 Ferrara E., op. cit., pag. 19. 338

114 Si pensi al tema dell’auto-recupero e, ad esempio, all’esperienza dell’ex fabbrica di salumi a Roma, occupata nel marzo del 2008 dal collettivo Blocchi Precari Metropolitani – una delle realtà romane di lotta per il diritto alla casa  e ribattezzata “Metropolis”.339

Una delle differenze importanti da sottolineare fra quella che possiamo considerare una prima fase di occupazione di case, individuabile tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta, e quella attuale, che ha preso inizi alla fine degli anni Novanta, è sicuramente la scelta del tipo di abitazioni da occupare. La simbologia legata al tipo di occupazione rimanda anche ad una critica socio-politica differente. Negli anni settanta gli alloggi popolari erano tra i maggior obiettivi delle occupazioni come protesta per un numero considerato troppo basso di edifici di edilizia pubblica rispetto a quelli necessari. Oggi non c’è più necessità di costruire nuove abitazioni e, a fronte di una spietata speculazione edilizia, sono gli edifici abbondati e vuoti, magari da anni, che vengono presi di mira dai movimenti per il diritto alla casa. Questo tipo di occupazione rappresenta una forte critica che si declina come un tentativo «di bloccare la speculazione edilizia, pubblica e privata».340 «Riprendiamoci la città»,341 uno tra gli slogan utilizzato dai movimenti, sembra, più di molte parole, ben spiegare questo concetto. E, poi, si può ancora citare: «Una sola grande opera: casa e reddito per tutti».

Secondo una inchiesta del giornale britannico «The Guardian»342 è stato calcolato che in Europa ci siano all’incirca 11 milioni tra case e strutture abbandonate, delle quali quasi due milioni in Italia, al terzo podio dopo la Spagna e la Francia. Il giornale poi evidenzia, in contrasto a questo dato, la stima di 4 milioni di persone senza casa. Certo, non sono così ingenua da non sapere quanto, spesso, una abitazione non corrisponda in modo automatico ad eliminare il disagio socio- economico di una parte dei soggetti senza casa, i quali spesso non hanno problematiche solo di tipo abitativo, ma i dati del «The Guardian» non possono che far riflettere e quantificare a livello numerico un altro tra gli slogan più usati: «mai più case senza gente, mai più gente senza casa!». La lotta per la casa e le occupazioni – non solo abitative ma anche di tipo culturale – diventano particolarmente significative considerando queste cifre. Lucia Tozzi a proposito afferma:

La lotta per la casa al tempo di Occupy è un fenomeno che merita un’attenzione speciale, perché potrebbe assumere grande rilievo durante una crisi finanziaria nata dal credit crunch immobiliare e

339

www.spacemetropoliz.com.

340 Ferrara E., op. cit., pag. 114. Si rimanda sempre alla stessa pagina anche per la differenza di tipologia delle

occupazioni appena spiegata.

341 Ad esempio, in questo video, nel quale sono montate alcune immagini dell’ex occupazione torinese di via Spano,

ormai sgomberata, si possono leggere le scritte su uno degli striscioni appesi al balcone della palazzina: «Riprendiamoci la città. Riprendiamoci tutto».

342 Si veda: Neate R., Scandal of Europe's 11m empty homes, 23 febbraio 2014, consultato al link:

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che sta polverizzando il lavoro, il welfare e la vita di milioni di persone. Il crollo dei prezzi immobiliari, che secondo un uso grottesco vengono calcolati in anno di stipendio medio, non amplia la fascia dei proprietari, ma la quantità di proprietà invendute e sfitte. E infatti, chi ce l’ha più uno stipendio?343

Non si può quindi non notare come la pratica delle occupazioni diventi uno strumento non solo di riappropriazione di «spazi assurdamente vuoti»,344 ma anche di quella che Tozzi ritiene «una delle poche forme efficaci di critica sociale e urbana».345 Gli spazi vuoti non sono solo alloggi o palazzine, ma strutture di diverso tipo346 – caserme, scuole, ospedali, teatri, fabbriche, e così via

 che da una parte necessitano di una riconversione, a fronte di un cambiamento strutturale ed economico della società, e dall’altra testimoniano gli interessi speculativi attorno al bisogno di costruire che erodono fattualmente non solo il consumo del suolo ma anche quel diritto alla città di cui si è largamente parlato.

L’Italia, rispetto ad altri paesi, si caratterizza in particolare per le occupazioni di tipo culturale le quali rappresentano non solo la necessità di riappropriarsi degli spazi, ma anche di proporre una cultura che esca fuori dai circuiti della mercificazione e sia accessibile ad un maggior numero di persone. Inoltre, in questo caso, la critica si estende anche ai rapporti di lavoro all’interno di questo settore. Sempre Tozzi, attorno alle riflessioni sulla scelta di intitolare la 13° Biennale di Venezia Commonground, scrive:

nella rete dei movimenti è ormai acquisita la consapevolezza che la matrice dello spossessamento è la medesima: un filo rosso unisce i mondi del lavoro, della speculazione immobiliare e della politica dei grandi eventi, ed è quel meccanismo che sottrae alla collettività i luoghi cui dovrebbe avere accesso e del cui destino dovrebbe avere accesso e del cui destino dovrebbe poter disporre, distrugge fisicamente ed economicamente quel tessuto di teatri, musei, cinema che garantivano un circuito diffuso di produzione e fruizione culturale per finanziare eventi effimeri e commerciali fondati su collaborazioni gratuite o, nel migliore dei casi, sottopagate – i festival, i Saloni, le Biennali, l’Expo.347

Si potrebbe, forse, scrivere come ogni tipo di occupazione abbia una storia a sé e racconti di tipi diversi di erosione – sia a livello locale come nazionale – del welfare: occupazioni culturali, di

343 Tozzi L., Vogliamo anche le case, 2013, al link: www.alfabeta2.it. 344 Ivi.

345

Ivi.

346 Segnalo il progetto del fotografo Hänninen, che ha ricostruito fotograficamente una città utilizzando le immagini

degli spazi abbandonati di Milano. www.hanninen.it/archives/portfolio_page/cittainattesa.

347

116 studenti o semplicemente abitative, composte da chi non riesce né ad accedere all’edilizia pubblica né al mercato privato immobiliare. I confini non sono sempre così netti sia perché spesso, a seconda delle occupazioni, i soggetti occupanti sono eterogenei sia perché a volte le occupazioni possono svolgere più funzioni: quella abitativa e quella di restituzione dell’immobile occupato alla collettività tramite l’apertura all’esterno e l’organizzazione degli eventi culturali. Penso, ad esempio, all’esperienza del Fronte Porto Fluviale di Roma, un’occupazione all’interno di un ex magazzino militare in zona Ostiense che oltre ad ospitare quasi un centinaio di nuclei familiari è diventato un punto di ritrovo e di incontro per il quartiere: la sala da the, così come l’organizzazione di cena sono un modo per autosostenersi e per offrire un servizio a prezzi popolari, a fronte dei prezzi sempre più alti dei locali del quartiere.348

Questo aspetto, appunto, ricopre anche la necessità e la volontà politica di aprire gli spazi occupati all’esterno, come ha riscontrato Ferrara nella sua ricerca a proposito dell’organizzazioni di eventi. «Essi assolvano a diverse funzioni erogano un servizio di pubblica utilità; danno visibilità; permettono di conoscere il luogo e chi vi abita; smentiscono i pregiudizi che si possono creare; informano i cittadini sulle attività che si conducono all’interno dello stabile».349

Quindi le occupazioni, anche se di tipo abitativo, possono svolgere diverse funzioni e tendono all’apertura sul territorio; anche perché il concetto sottointeso rimanda non alla proprietà privata, ma alla restituzione alla collettività e al territorio di quella proprietà privata – o pubblica – in disuso e in stato di abbandono.

Marella, pensando alle occupazioni dell’ex cinema Palazzo del quartiere San Lorenzo e del Teatro Valle, – entrambe a Roma – nota come entrambi gli occupanti non dimostrino interesse a contestare il titolo di proprietà.

Vero è che molte di queste esperienze dimostrano come anche sul piano giuridico vada affermandosi la legittimità dell’uso comune contro la proprietà, tanto più che queste occupazioni riguardano sempre beni dismessi, lasciati in abbandono, in qualche misura distratti da quella funzione sociale che conferisce dignità costituzionale attorno al diritto di proprietà. 350

Al di là del mix di funzioni e di composizione delle occupazioni, mi preme sottolineare come delle esperienze simili, le occupazioni appunto, siano caratterizzate da un contesto e da un esigenza di rivendicazione – e di riappropriazione – differenti.

348 www.coordinamento.info/home/iniziative/896-fronte-del-porto 349 Ferrara E., op. cit., pag. 187.

350

117 Le occupazioni di tipo studentesco raccontano infatti dell’insufficienza di alloggi universitari, dell’elevato costo degli affitti privati – spesso in nero – e dall’altra parte, dei tagli alle borse di studio e l’istituzione del profilo di studente idoneo alla borsa di studio, ma non assegnatario del contributo. L’alloggio per gli studenti fuori sede – ma anche per chi vuole emanciparsi dal nucleo familiare – diventa così uno degli ostacoli al godimento del diritto allo studio. Ricordo a Torino, in questo ambito, la vicenda della Verdi15 occupata dagli studenti universitari nel Gennaio 2012, poi repressa e sgomberata dalla polizia ad Ottobre dello stesso anno.351

Il tema del diritto allo studio, in alcune esperienze è anche stato ampliato ed intrecciato alla precarietà di oggi, penso per esempio all’Alexis Occupato (Roma), che è presentato dagli occupanti in questo modo:

... é la casa delle precarie e dei precari!

sia perché l'università è già un’azienda e lo studente è già un precario. Sia perché tutti siamo precari: chi finto lavoratore autonomo pagato con voucher o partita iva senza contributi né diritti, chi disoccupati o sottoccupato perennemente in cerca e persino chi un lavoro ce l’ha ma ugualmente conosce il baratro di un sistema che non garantisce reddito sufficiente per vivere né tantomeno la possibilità di costruirsi un futuro.352

Le occupazioni composte principalmente da rifugiati, invece, mettono a nudo come i sistemi di accoglienza siano insufficienti e non adeguati e spesso abbiano come unico risultato, a fronte di una difficoltà di un inserimento lavorativo stabile e di una rete familiare, la strada. Sempre a Torino le occupazioni delle palazzine dell’ex–Moi, costruite per le Olimpiadi invernali 2006 e mai più utilizzate, sono diventate il simbolo tanto della speculazione edilizia quanto del fallimento delle politiche dell’emergenza Nord Africa; ad oggi ospitano circa 750 persone. Diventa così chiaro come il tema delle occupazioni non si possa liquidare velocemente: ogni atto di occupazione assume un valore ed una dignità intrinseca a sé.

La città di Roma, a fronte della speculazione edilizia, della difficoltà di accedere all’edilizia popolare e dei prezzi proibitivi del mercato,353 è uno dei centri più attivi per la lotta alla casa anche in termini di numero di spazi occupati. Oggi il fenomeno delle occupazioni e della lotta alla casa sta assumendo sempre più rilievo in tutta Italia, anche nei comuni più piccoli.

351 www.verdi15.blogspot.it

352. Dal sito dell’occupazione: www.laboratorioabitare.noblogs.org. La presentazione dell’Alexis Occupato è stato

ripresa dal sito www.infoaut.org.

353 Per una breve panoramica della situazione romana si rimanda a Berdini P., Postfazione, in Borghese I., op. cit.,

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