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Perché parlare di cittadinanza

2. LA CITTADINANZA

2.1 Perché parlare di cittadinanza

Nell’esplorare la questione abitativa ed, in particolare, come essa si declini e prenda forma sui binari della rivendicazione sociale e politica, ritengo necessario non solo interrogarci sul diritto alla casa, ma ampliare la prospettiva abbracciando nel discorso la questione più ampia della cittadinanza o, meglio, del diritto alla cittadinanza. Trattare, infatti, il diritto alla casa, che, come si è visto, è essenziale per il raggiungimento e soddisfacimento di altri diritti significa, più o meno implicitamente, fare riferimento alla cittadinanza e al suo significato. La mancanza di una casa o di una abitazione che possa considerarsi adeguata, non solo limita e, in alcuni casi, occlude completamente la possibilità di vivere a pieno il concetto di cittadinanza, godendo dei diritti ad essa connessi, ma è un elemento che riflette il sistema di diseguaglianza delle nostre società e le forme di esclusione in atto. La casa, così come anche il lavoro, diventa una spia indicativa delle diverse condizioni dei cittadini di oggi e sulla loro stratificazione, non solo dal punto di vista reddituale, ma anche da quello delle possibilità di godimento dei diritti. Le vite precarie sono rese ancora più difficili e costrette alla flessibilità non solo dal lavoro, ma anche da una casa che assume sempre più i contorni della precarietà. Ovviamente la precarietà non è distribuita in modo omogeneo rispetto a tutti i cittadini, ma si condensa su alcune particolari categorie, che sono colpite in contemporanea dalla difficoltà a raggiungere soluzioni abitative adeguate e continuative e da quello che si può definire un deficit di cittadinanza. Tra queste penso, per esempio, agli immigrati, ai Rom e alle persone degli strati sociali medio-bassi, che possono facilmente scivolare nella povertà. Volutamente ho deciso di non affrontare il diritto alla casa e, in senso più ampio, alla città secondo categorie di abitanti (come per esempio può essere quella appena citata di “immigrati”) perché ritengo si possa incorrere nell’errore, da una parte, di

90 Fox Piven F., In guerra contro i poveri, in M., in Curcio A., Roggero G. (a cura di), Occupy! I movimenti nella

37 falsare la prospettiva di analisi, invertendo le conseguenze con le relative cause e, dall’altra, di non dare abbastanza spazio alla soggettività e agli elementi di forza dei singoli in risposta ai fenomeni sociali. Legare acriticamente il disagio abitativo alle categorie considerate “deboli” espone al rischio (forse voluto), in particolare nei discorsi pubblici e mediatici, non solo di non affrontare realmente i nodi della questione, che necessitano di ripartire da un ripensamento a monte delle politiche abitative e delle leggi a riguardo, ma anche di addossare le cause del problema a chi non riesce a garantirsi, a causa di un sistema discriminatorio e/o di vulnerabilità economica, una situazione abitativa adeguata. Con questo – sarebbe stupido farlo – non si vuole certo né negare né sottovalutare l’importanza delle variabili (in particolare di quelle legate alla provenienza “etnica” e socio-economica) sia nella ricerca e nell’accesso ad una abitazione sia nella segregazione dello spazio urbano e territoriale,91 ma si cerca di raggiungere un orizzonte di analisi più ampio che, collochi la tensione al diritto alla casa all’interno della dimensione della cittadinanza e che possa farci interrogare sul tipo di cittadinanza a cui aspiriamo.

Gli immigrati e il popolo Rom, per esempio, sono fortemente discriminati e subiscono una diseguaglianza dal punto di vista abitativo perché, prima di tutto, la subiscono dal punto di vista della cittadinanza.

Traiettorie di cittadinanza diseguali non possono che portare a percorsi abitativi e a diritti, anch’essi, diseguali. In questo panorama va, poi, ad incidere fortemente una declinazione della cittadinanza che sembra perdere sempre di più i suoi connotati sociali (e quindi, di tendenza all’inclusione) per assumere delle caratteristiche più di esclusione, punitive, all’interno di un processo caratterizzato da una sempre più decisa criminalizzazione della povertà e dalla relativa condanna delle azioni di resistenza contro le varie forme di sfruttamento e di dominio esistenti (quelle lavorative per esempio e, non per ultime appunto, quelle abitative).

Quindi, la scelta di parlare della cittadinanza per affrontare la questione abitativa non è determinata tanto da un intento puramente intellettuale quanto dal prendere atto che la cittadinanza sia, sempre più, un dispositivo di differenziazione ed esclusione sociale: diventa, quindi, fondamentale poterla contestualizzare nelle dinamiche del presente, posizionando la questione abitativa nel suo orizzonte di analisi. La cittadinanza non deve essere, infatti, intesa solamente come un concetto giuridico, ma anche come uno spazio di tensione, di co-costruzione e di rimodellamento del senso di essere cittadini oggi92. Inoltre, anche lo stesso concetto di cittadinanza sembra essere meno lontano e astratto se si pensa alle pratiche dal basso di

91 Cfr. Somma P., Spazio e razzismo: strumenti urbanistici e segregazione etnica, Milano cit. 92

38 rivendicazione. A proposito Mezzadra, in una riflessione sul rapporto tra i movimenti e il tema dei diritti e della cittadinanza, osserva:

Era in qualche modo senso comune, tra noi, che la cittadinanza fosse un concetto meramente giuridico oppure, se assunto come concetto politico, un concetto meramente «borghese». Oggi, al contrario, è quasi un’ovvietà che si parli di cittadinanza all’interno di una assise di movimento. Buona parte delle lotte che quotidianamente conduciamo, infatti, parla quasi naturalmente, e spesso, verrebbe da aggiungere in modo sufficientemente problematico, il lessico della cittadinanza e dei diritti. Contemporaneamente, anche all’interno del dibattito teorico, abbiamo scoperto che quello di cittadinanza da una parte è molto di più che un concetto puramente giuridico, e dall’altra non si lascia ridurre dalla sua demarcazione borghese. La cittadinanza ci appare oggi come uno spazio composito e articolato, attraversato da movimenti che di in volta in volta eccedono la sua organizzazione e stabilizzazione costituzionale.93

Quindi la cittadinanza, in questo senso, non può essere interpretata come una categoria monolitica e statica, imposta da qualcuno verso qualcun altro – oppressori ed oppressi o dominatori e dominati per usare dei termini di riflessione del post–colonialismo –, ma è, invece, determinata da precise coordinate spazio-temporali e dalle caratteristiche delle società in cui è (ri)modellata e (ri)declinata di continuo. D’Alessandro nel suo saggio Breve Storia della

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cittadinanza in alcuni stati europei e negli Stati Uniti d’America, mette in evidenza  in particolare riferendosi all’Europa  come il dibattito sulla cittadinanza, a fronte della caduta del muro di Berlino e della disgregazione dei paesi dell’ex blocco sovietico e dell’immigrazione, sia tornato ad essere pungentemente attuale.