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Il diritto alla casa: una porta d’accesso ad altri diritti E chi la casa non ce l’ha?

1.4 Casa e diritti

1.4.3 Il diritto alla casa: una porta d’accesso ad altri diritti E chi la casa non ce l’ha?

Il diritto alla casa non può essere intenso in modo restrittivo e per questo si può parlare in modo più ampio di un diritto all’abitare. L’importanza di questo diritto assume, poi, un valore particolarmente significativo se si pensa che il suo godimento non è fine ad un solo obiettivo, avere una casa, ma è essenziale per il raggiungimento e soddisfacimento di altri diritti di cittadinanza e può essere propriamente considerato un «bene per altri beni».84

Il principio di indivisibilità dei diritti umani, oramai consolidato nella disciplina nazionale ed internazionale, prescrive che tali diritti si interpretino e tutelino in una prospettiva interdipendente. Visto in tal senso, il diritto alla casa, rappresenta una precondizione per il godimento di una cospicua serie di diritti fondamentali, quali ad esempio: il diritto alla salute, alla sicurezza, alla riservatezza, all’educazione, all’inviolabilità del domicilio ed alla sua libera scelta.85

Nell’elenco dei diritti connessi a quelli della casa l’ONG internazionale CHORE (Centre on

Housing Rights and Evictions)86 annovera per esempio:

the human right to freedom from discrimination in access to housing and related

services based on sex, race and ethnicity, or any other status;

the human right to choose one's residence, to determine where and how to live and to

freedom of movement.

La certezza di un’abitazione è, quindi, un elemento fondamentale e la sua mancanza preclude il raggiungimento di altri diritti, alcuni di questi fondamentali, e sgretola tutti gli aspetti della vita di una persona logorandola dal punto di vista psicologico e relazionale. È interessante notare,

83 A proposito si pensi, al luogo in cui vengono collocate nelle città italiane le cosidette aree di sosta desitate ai

Rom.

84 Cfr. Chiarella P., op. cit.

85 Chiarella P., op. cit., pp. 136–137. 86

34 seguendo le riflessioni della sociologa Olagnero, come la casa, intesa come bene sociale, contenga in sé e dia vita ad una gamma di significati diametralmente opposti:

La casa intercetta e realizza «interessi economici» e al tempo stesso dà forma a «valori»; costituisce veicolo di «cittadinanza sociale», ma anche strumento di «privatizzazione dello spazio pubblico»; è strumento di sociabilità (che si incardina nella vita di vicinato o di quartiere), ma anche spazio dell'intimacy che si genera nella domesticità delle relazioni di convivenza.87

Queste righe condensano la complessità di alcuni aspetti della “casa” e sottolineano come possa, al tempo stesso, soddisfare bisogni opposti come quello dell’intimità e quindi, non solo il diritto all’inviolabilità del proprio domicilio, ma anche quello di poter avere uno spazio per se stessi (per esempio per gli aspetti riproduttivi della vita) e dall’altra, come sia un elemento di relazione, che mette in contatto non solo con il contesto di riferimento, ma permette anche di poter invitare delle persone e coltivare dei rapporti umani.

Vogliamo avviarci alla conclusione di questo capitolo riprendendo come sguardo di prospettiva quello dei “senza casa” per rendere concreto, nelle vite quotidiane e dei corpi, il diritto alla casa, che, relegato all’ambito legislativo, può sembrare “freddo” ed astratto.

In particolare cerco di provare ad assumere il punto di vista di chi non ha una dimora e vive tra la strada, i dormitori e i centri di accoglienza, prendendo come riferimento una ricerca etnografica condotta nell’area del torinese dalla sociologa Meo, che si è concentrata in particolare sulle risposte soggettive di sopravvivenza e di adattabilità del vivere senza una dimora e i significati che essa comporta e conduce con sé.

Dalle parole degli intervistati emerge l’importanza dal punto di vista sia fisico che simbolico della casa e come sia necessario ritrovare degli aspetti legati ad essa – come la routine quotidiana dei gesti e dei luoghi e la proprietà di alcuni oggetti personali – anche «fuori da casa». Si può, quindi, tracciare una distinzione tra home, considerata legata alla sfera dell’intimità e dalla forte valenza simbolica, e house come un riparo fisico. Per questo motivo un dormitorio potrà essere considerato sono un riparo momentaneo per la notte, un house, nel quale non è possibile esprimere e vivere la propria soggettività, mentre uno spazio pubblico – come una panchina – nel quale si va, seguendo una propria routine, in determinati momenti della giornata e si lasciano delle proprie cose potrà essere vissuto come qualcosa di più vicino ad un home.88

87

Olagnero M., La questione abitativa e i suoi dilemmi, in «Meridiana. Rivista di Storia e Scienze Sociali», Roma, 2008, n. 62, pp. 24-25, consultato al link: www.jstor.org.

88 Cfr. Meo A., Vite in strada: ricostruire "home" in assenza di "house”, in «Meridiana. Rivista di Storia e Scienze

35 La ricerca rileva come la dimensione dell’abitare sia legata ad una progettualità degli spazi e dei tempi, che scandiscono la giornata e il proprio vivere e abbia un ruolo relazionare sia nella cura di sé che in quella degli altri (i figli per esempio): l’assenza di una casa determina e simbolizza l’impossibilità di poter continuare a sviluppare una propria progettualità di vita, quotidiana e a lungo termine.

La casa ha, quindi, una dimensione e una valenza simbolica relazionale molto importante non solo un piano interpersonale, ma anche sociale e pubblico e la dimensione del vivere all’interno è strettamente legata a quella esterna.

La dimora, infatti, è il luogo in cui si apprende a “sapersi mantenere in pubblico” e al tempo stesso in cui ci si può “riposare” dalla scena pubblica, che fa gravare sulla persona il peso di prove esigenti in rapporto alle sue capacità. È nell’abitare così inteso che si dà dunque spazio perché una persona si singolarizzi e si costituisca la sua personalità. Al tempo stesso, l’abitare è la palestra in cui si apprendono le didattiche elementari del vivere insieme.89

89 Vitale T., Brambilla L., Dalla segregazione al diritto all’abitare, in Vitale T. (a cura di), Politiche Possibili.

Abitare le città con i rom e i sinti, Carocci, Roma, 2009, pag. 165.

Se una dimora significa, quindi, potersi riposare dalla scena pubblica il non averla, al contrario, non può che significare essere sempre esposti alla scena pubblica e ad un pubblico. È il caso per esempio, che riporta la Meo (Meo A., op. cit., pag. 26), pensando ai senza tetto, che usano, per esempio, gli spazi pubblici per dormire. «A ben vedere, i senza dimora sono sempre accessibili agli altri, anche quando si rilassano e si comportano come se fossero su un retroscena. In questo senso il loro uso dello spazio può dirsi improprio. Quando dor mono su una panchina sono su una «scena», essendo esposti agli sguardi degli altri, e in un luogo pubblico; tuttavia l'attività del dormire è una di quelle attività che si svolgono tipicamente in un luogo privato. Si riscontra dunque un'inversione di scena e retroscena; in altre parole, taluni luoghi pubblici vengono percepiti e vissuti come luoghi privati. Ma scambiare i luoghi di ribalta per luoghi di retroscena può comportare seri rischi per l'immagine di sé, esponendola a discredito, ed esercitare gravi ripercussio ni sulle relazioni sociali».

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