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Cittadinanza e normativa contro le discriminazioni

Alcune considerazioni merita, ora, la problematica concernente la normativa interna contro le discriminazioni, contenuta negli articoli 43 e 44 del t.u. dell’immigrazione e nel d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215 (di attuazione della direttiva comunitaria n. 2000/43/CE)186.

L’interesse per questa disciplina rinviene la propria giustificazione nel fatto che proprio ad essa può essere affidata, come si vedrà, la reazione contro discriminazioni basate sulla cittadinanza poste in essere da parte delle istituzioni mediante comportamenti materiali ovvero mediante atti amministrativi o regolamentari.

L’art. 43, comma 1, del t.u. dell’immigrazione qualifica come discriminatorio «ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».

La disposizione prosegue elencando alcune condotte tipicamente discriminatorie, come, ad esempio, quella del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) che, nell’esercizio delle sue funzioni, «compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di

2010, concernente il riparto di competenze fra lo Stato e le Regioni. Per un commento di questa sentenza, v. i contributi di A. ANZON DEMMIG, E. LONGO e F.

SAITTO, in Giur. cost., 2010, p. 155 ss.

186 V. in materia, tra gli altri, B. NASCIMBENE, Straniero e musulmano. Profili

relativi alle cause di discriminazione, in Dir. imm. citt., 1999, 4, p. 19 ss.; E.

CICCHITTI, La tutela contro le discriminazioni razziali, etniche, nazionali e religiose. L’azione civile contro la discriminazione ex art. 44 T.U. 286/98, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2000, p. 732 ss.; P. MOROZZODELLA ROCCA, Responsabilità e danno negli atti discriminatori contro gli stranieri e le altre minoranze, in Riv. amm. Rep. It., 2000, p. 836 ss.; G. SCARSELLI, Appunti sulla discriminazione razziale e la sua tutela giurisdizionale, in Riv. dir. civ., 2001, p. 805 ss;

appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente».

Dal canto suo, il d.lgs. n. 215/2003 si occupa delle sole discriminazioni, dirette o indirette, che rinvengono la loro causa nella razza e nell’origine etnica delle persone, avendo cura di precisare che le sue disposizioni non riguardano, invece, «le differenze di trattamento basate sulla nazionalità».

Le discriminazioni basate sulla cittadinanza, dunque, esulano dal campo di applicazione del decreto legislativo da ultimo richiamato, per rientrare a pieno titolo, invece, nell’alveo applicativo degli articoli 43 e 44 del t.u. dell’immigrazione.

Nonostante questa differenza, tuttavia, la dottrina ha rilevato che «La giurisprudenza ha […] fatto delle due fonti normative una applicazione sostanzialmente “congiunta”, il che appare del tutto logico, sia in forza del rinvio all’art. 43 TU contenuto nell’art. 2 del d.lgs. 215/03, sia in considerazione del fatto che una discriminazione per nazionalità costituisce comunque, nel contesto italiano, quantomeno una discriminazione indiretta per etnia»187.

Il rimedio contro i comportamenti discriminatori, sia dei privati che della pubblica amministrazione, è rappresentato da un’azione civile di competenza del tribunale in composizione monocratica, il quale decide con ordinanza all’esito di un procedimento particolarmente celere e informale188, nel quale il ricorrente è peraltro

autorizzato a stare in giudizio senza l’assistenza di un difensore (art. 44 t.u. dell’immigrazione) .

Va precisato che la giurisdizione ordinaria sussiste anche quando l’atto discriminatorio sia rappresentato da un provvedimento

187 Così A. CASADONTE e A. GUARISO, L’azione civile contro la

discriminazione: rassegna giurisprudenziale dei primi dieci anni, in Dir. imm. citt.,

2010, 2, p. 64.

188 Nella sentenza a Sez. Unite, del 7 marzo 2008, n. 6172, la Corte di

Cassazione ha ritenuto che, in tema di azione civile contro la discriminazione, l’art. 44 del T.U. sull’immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998) prevede un procedimento cautelare al quale si applicano, in forza dell'art. 669 quaterdecies c.p.c. ed in quanto compatibili, le norme sul procedimento cautelare uniforme regolato dal Capo III del Titolo I del Libro IV c.p.c. e, in particolare, trova applicazione l’art. 669 octies c.p.c. sul facoltativo inizio della fase di merito. Ne consegue che, non essendo il decreto adottato dalla corte d’appello in sede di reclamo avverso l’ordinanza assunta a seguito di ricorso ex art. 44 citato, qualificabile come provvedimento definitivo con carattere decisorio, è inammissibile contro di esso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., né questo può essere convertito in regolamento preventivo di giurisdizione.

amministrativo, in quanto la giurisprudenza ritiene che la situazione soggettiva azionata in giudizio consista non in un interesse legittimo, bensì nel fondamentale diritto soggettivo della persona a non subire trattamenti discriminatori189.

L’analisi della casistica applicativa della normativa in questione evidenzia che essa è stata spesso invocata nei confronti della pubblica amministrazione, soprattutto per censurare discriminazioni basate sulla cittadinanza nell’assegnazione di prestazioni sociali di vario genere.

Così, ad esempio, il Tribunale di Milano190 ha giudicato

discriminatoria la norma, contenuta in una circolare amministrativa, secondo la quale l’iscrizione del minore extracomunitario alla scuola dell’infanzia era subordinata all’ottenimento, da parte della famiglia del minore, del permesso di soggiorno.

Analogamente, il Tribunale di Brescia ha recentemente censurato il comportamento dell’omonimo Comune che, nell’istituire il c.d. bonus bebé, ne aveva previsto l’erogazione a vantaggio dei soli figli di coppie residenti formate da almeno un cittadino italiano.

La vicenda, che ha avuto un certo risalto anche a livello di cronaca, si è svolta in questo modo: con una prima ordinanza, il Tribunale, ritenendo che la delibera del Comune fosse in contrasto con il divieto di discriminazioni, ha ordinato la rimozione degli effetti discriminatori da essa prodotti, mediante il prolungamento del termine di scadenza originariamente previsto, sì da consentire la presentazione

189 Così, ad esempio, il Tribunale di Milano, nell’ordinanza del 21 marzo

2002, in Foro it., 2003, 1, p. 3175, ha chiarito che «Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine al ricorso ex art. 44 D.Lgs. 286/98, diretto a tutelare il diritto fondamentale della persona al riconoscimento della pari dignità sociale e alla non discriminazione, non rilevando in contrario che il comportamento che si assume discriminatorio sia stato posto in essere dalla pubblica amministrazione e sia riconducibile all’applicazione di un atto amministrativo».

Assai significativa, inoltre, è la decisione del Tribunale di Bologna, 25 ottobre 2007, in Riv. crit. dir. lav., 2008, 1, p. 175, il quale ha ritenuto che qualora il diniego di accesso a un concorso pubblico opposto a un cittadino non comunitario venga contestato sotto il profilo della discriminazione per ragioni di razza e nazionalità, mediante l’azione di cui all’art. 44 t.u. immigrazione, la giurisdizione del giudice ordinario prevista dallo stesso art. 44 prevale su quella del giudice amministrativo prevista dall’art. 63 d.lg. 30 marzo 2001 n. 165, trattandosi di situazione che involge diritti fondamentali dell’individuo.

190 Cfr. ord. 11 febbraio 2008, in Foro it., 2009, 6, p. 1966. Le problematiche

dell’immigrazione e dell’integrazione scolastica sono affrontate nel saggio di G. BRUNELLI, Minori, immigrati, integrazione scolastica, divieto di discriminazione, in Dir. imm. citt., 2010, 1, p.78 e ss.

delle domande anche da parte delle famiglie escluse. Il Comune, però, anziché agire come indicato dal Tribunale, ha preferito revocare in autotutela la precedente deliberazione, in modo da eliminare del tutto – e per tutti – il beneficio introdotto. Un simile modus operandi è stato giustificato con l’eccessiva sopravvenuta onerosità della misura in questione, come conseguenza dell’ampliamento della platea dei beneficiari.

Sennonché il Tribunale, investito dal ricorso ex art. 44 del t.u. dell’immigrazione anche contro la nuova deliberazione di revoca adottata dal Comune, ha ritenuto che si ponesse anch’essa in contrasto con la normativa antidiscriminatoria, ed ha quindi condannato l’ente locale ad erogare concretamente il bonus bebé a favore delle famiglie aventi diritto.

Se si è indugiato un poco su questa vicenda191 – che peraltro è

stata replicata, sia pure con alcune differenze, da quella decisa con la sentenza del Tribunale di Udine, Sez. Lavoro, del 29 giugno 2010 – è per dimostrare il carattere straordinario (nel senso di extra-ordinem) delle potenzialità offerte dalla normativa contro le discriminazioni: attraverso l’applicazione di essa, il giudice ordinario, peraltro in composizione monocratica, ha potuto non solo giudicare la legittimità di un provvedimento amministrativo, ma addirittura condannare l’amministrazione ad un facere, rappresentato dalla riedizione di un provvedimento discrezionale che essa aveva deciso di revocare.

La finalità di reprimere ogni forma di discriminazione viene a determinare, in questo modo, una notevole deroga rispetto a quelli che sono i connotati ordinari del rapporto fra potere autoritativo della pubblica amministrazione e sindacato giurisdizionale: con il risultato che il potere autoritativo, ancorché discrezionale, può essere sottoposto ad un penetrante controllo di legittimità anche da parte del giudice ordinario.

Non v’è dubbio che una simile deroga dovrebbe esigere una certa prudenza applicativa, della quale non sembra, tuttavia, esservi riscontro nella prassi giurisprudenziale: mentre, infatti, la norma limita il divieto di discriminazioni e l’esercizio della relativa azione, in conformità all’orientamento della Corte costituzionale, ai soli «diritti

umani e [a]lle libertà fondamentali», i giudici, come è avvenuto nel

caso del tribunale di Brescia, non paiono orientati nel senso di interrogarsi attentamente sulla natura degli interessi in gioco. Essi

191 Per un commento, v. A. LASSANDARI, Agli italiani o a nessuno: i c.d. bonus

bebé e la ritorsione discriminatoria, in Riv. it. dir. lav., 2010, p. 198 ss.; C. CORSI, Prestazioni assistenziali e cittadinanza, in Dir. imm. citt., 2009, 2, p. 30 ss.

sembrano piuttosto concentrarsi esclusivamente sull’an della discriminazione, senza curarsi se questa vada ad incidere sul godimento di diritti fondamentali ovvero su diritti d’importanza minore.

Inoltre, sembra eccessivo che il giudice ordinario, ancorché investito per legge della giurisdizione, possa spingersi fino al punto di annullare provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, esorbitando dall'ordinario potere di disapplicazione che invece gli spetta ai sensi della legge abolitiva del contenzioso192. Per questo,

deve valutarsi positivamente quanto recentemente affermato dalla Corte di Cassazione, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione proprio con riferimento al caso di Brescia, nel senso che la norme antidiscriminatorie «finalizzate ad assicurare la tutela giurisdizionale non di interessi legittimi, bensì di diritti individuali di rilievo costituzionale e sovranazionale, [...] autorizzando il G.O. alla rimozione degli effetti degli atti lesivi di tali diritti nei confronti dei relativi soggetti passivi, non risultano attributive di impropri poteri di "annullamento " o "revoca", quando le relative violazioni siano state poste in essere da soggetti pubblici non operanti privatorum iure»193.

Anche con questi accorgimenti, si ritiene che, attraverso il descritto rimedio, le discriminazioni basate sulla cittadinanza poste in essere mediante atti non legislativi – e, segnatamente, attraverso provvedimenti della pubblica amministrazione – potranno essere efficacemente perseguite194.

Il che sembra assumere un rilievo ancora maggiore alla luce del recente rafforzamento del potere di ordinanza dei sindaci ex art. 54 t.u.e.l., se si considera che i primi utilizzi di questo strumento ne hanno evidenziato il contenuto spesso discriminatorio nei confronti degli stranieri195.

192 L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E. 193 Cass. civ., Sez. Un., 15 febbraio 2011, n. 3670.

194 É di questa opinione anche F. BIONDI DAL MONTE, I diritti sociali tra

frammentazione e non discriminazione. Alcune questioni problematiche, in Le istituzioni del federalismo, 2008, p. 592.

195 Cfr. il contributo di A. LORENZETTI, Le ordinanze sindacali e il principio di

uguaglianza: quali garanzie?, contenuto nel numero monografico, dedicato proprio

alle ordinanze dei Sindaci, de Le regioni, 1-2, 2010, p. 93 ss, nel quale l’autrice propone numerosi esempi di ordinanze, adottate in vari comuni, suscettibili di entrare in conflitto con il principio costituzionale di uguaglianza: tra queste, le ordinanze che hanno vietato l’uso del burqa e del burqini; quelle che hanno vietato lo stazionamento di rom e nomadi; quella che aveva imposto l’uso esclusivo delle lingua italiana nelle riunioni pubbliche o in luogo aperto al pubblico; quelle che

1.8. Modalità di acquisto della cittadinanza: aspetti generali