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1.6. L’applicazione del principio di uguaglianza oltre i confini della

1.6.2. La giurisprudenza della Corte costituzionale

Lo scarso rilievo che la Corte costituzionale ha accordato al criterio letterale nell’interpretazione delle norme destinate ad incidere sulla condizione dello straniero148 emerge già dalla sentenza n. 120 del

1967, che può considerarsi l’apripista di un orientamento giurisprudenziale protrattosi fino ai tempi più recenti. In questa sentenza, la Consulta ha affermato il principio secondo cui il raffronto tra le norme che stabiliscono differenziazioni fra il cittadino e lo straniero149 e l’art. 3 della Costituzione «non deve farsi con questa 148 M. LUCIANI, Cittadini e stranieri come titolari di diritti fondamentali, in

Riv. crit. dir. priv., 1992, p. 226, afferma che «Il solo dato certo che emerge dalla

giurisprudenza […] è che il giudice costituzionale ritiene irrilevante il dato testuale».

149 Si trattava, nel caso di specie, di una norma, l’art. 139 della legge

doganale, che imponeva di mantenere in stato di arresto lo straniero non ancora condannato in via definitiva finché non avesse prestato idonea cauzione o malleveria. La Corte ha ritenuto che questa norma non contrastasse con l’art. 3 Cost., essendovi in tale situazione una diversità di posizione dello straniero rispetto al cittadino. «Costui può, é vero, rendersi latitante o recarsi all’estero, se non ne viene legittimamente impedito, ma resta sempre soggetto alla sovranità dello Stato, alla osservanza delle sue leggi ed ai mezzi di coercizione che le leggi consentono,

norma, isolatamente considerata, ma con la norma stessa in connessione con l’art. 2 e con l’art. 10, secondo comma, della Costituzione […]. Ciò perché, se é vero che l’art. 3 si riferisce

espressamente ai soli cittadini, é anche certo che il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando trattisi di rispettare quei diritti fondamentali (c.a.)».

L’affermazione evidenziata con il corsivo enuncia il principio giuridico che diventerà il leitmotiv di tutta la giurisprudenza successiva150: il principio di uguaglianza, a dispetto del dato testuale

che lo vorrebbe operativo nei confronti dei soli cittadini, deve trovare applicazione anche agli stranieri, ogniqualvolta si tratti di assicurare loro la tutela dei diritti fondamentali della persona151.

Ciò detto, va nondimeno rilevato come appena due anni dopo, cioè nel 1969, la Corte costituzionale abbia introdotto un parziale correttivo (se tale lo si può considerare) al principio precedentemente espresso.

Muovendo, infatti, dalla premessa di una sostanziale continuità rispetto alla sentenza del 1967, e ribadendo, quindi, che non vi sono motivi per discostarsi dall’orientamento secondo cui il cittadino e lo straniero si trovano in posizione di uguaglianza per quanto attiene ai diritti inviolabili della personalità – con la specificazione, d’altro canto, che questi «rappresentano un minus rispetto alla somma dei diritti di libertà riconosciuti al cittadino»152 – , la Corte aggiunge la

mentre lo straniero può abbandonare il paese dove ha commesso il reato e non sempre e non facilmente se ne può ottenere l’estradizione. È quindi ragionevole che, in taluni casi dei quali il legislatore valuta la gravità, la legge prescriva che sia mantenuta la detenzione se l’imputato straniero non presti cauzione». Per un commento della sentenza, v. M. CHIAVARIO, Uguaglianza tra cittadini e stranieri in materia di carcerazione preventiva per i reati doganali, in Giur. cost., 1967, p. 1580

ss.

150 Per un’approfondita analisi dei casi decisi dalla Corte, si rinvia a M.

LUCIANI, op. cit., p. 213 ss. V., altresì, G. BASCHERINI, op. cit., p. 120 ss.; M. CUNIBERTI, op. cit., p. 159 ss.; G. D’ORAZIO, Lo straniero nella Costituzione italiana, Padova,

1992; E. GROSSO, Straniero (status costituzionale dello), in Dig. disc. pubbl., XV,

1999, 156 ss. B. NASCIMBENE, La condizione giuridica dello straniero, Padova, 1997. 151 In dottrina, manifesta una posizione decisamente intransigente, nel senso

della impossibilità di riferire anche allo straniero il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Parte generale,

Padova, 2003, p. 316 s.

152 Affermazione, questa, da cui M. LUCIANI, op. cit., p. 224, trae la

condivisibile conclusione secondo cui non tutti i diritti fondamentali spettano per ciò solo allo straniero, ma bisogna verificare quali diritti fondamentali siano riservati ai cittadini. Vi sono, infatti, e i diritti politici ne costituiscono la dimostrazione, diritti

precisazione per cui «la riconosciuta eguaglianza di situazioni

soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento».

Si doveva, in tal caso, decidere se fosse costituzionalmente ammissibile l’obbligo, tuttora vigente153, per chiunque concedesse

alloggio o ospitalità ad uno straniero (anche se parente o affine) di comunicare entro ventiquattro ore all’autorità di pubblica sicurezza le generalità dello stesso; obbligo non sussistente, invece, in caso di ospitalità concessa a un cittadino.

Ebbene, la decisione assunta dalla Corte è stata nel senso che tale differenza di trattamento – nonostante la riconosciuta titolarità anche in capo allo straniero del diritto di circolare liberamente sul territorio nazionale154 – non fosse irragionevole: ciò in considerazione

della obiettiva diversità di posizione tra stranieri e cittadini sotto il profilo del rapporto che gli uni e gli altri intrattengono con il territorio statale.

Questa sentenza è importante perché consente di focalizzare un aspetto centrale della vicenda in esame: e cioè che il principio di uguaglianza, affermato con riferimento ai diritti inviolabili o fondamentali, non deve essere inteso in senso rigido, in modo tale, cioè, da configurare una presunta equivalenza tout court fra l’inviolabilità di un diritto e la sua spettanza allo straniero in misura

che sono fondamentali soltanto per il cittadino.

153 L’art. 7 del t.u. dell’immigrazione (già art. 147 del t.u.l.p.s.), dopo varie

modifiche, recita così: «1. Chiunque, a qualsiasi titolo, dà alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all’autorità locale di pubblica sicurezza. 2. La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l’'esatta ubicazione dell’immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospita o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. 2-bis. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160 a 1.100 euro».

154 Sulla libertà di circolazione, v. anche la sentenza n. 244 del 1974, nella

quale la Corte ha ritenuto che non contrastasse con l’art. 16 Cost. la disciplina del t.u.l.p.s. che prevedeva l’allontanamento dello straniero sprovvisto dei mezzi di sussistenza, in quanto pericoloso per la sicurezza pubblica. Cfr. il contributo di A. CERRI, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano, 1976.

paritaria a quella del cittadino. Al contrario, il legislatore può sempre graduare la tutela di un diritto (anche) fondamentale con riferimento allo straniero in modo diverso rispetto al cittadino, con il solo limite costituito dalla necessità di non varcare la soglia della ragionevolezza.

Alla luce di queste considerazioni, si comprende appieno il senso di quanto si osservava in precedenza (par. 4) a proposito della «scomponibilità» dei diritti costituzionali in una molteplicità di «diritti minori» (previsti normalmente dalla legislazione ordinaria) destinati a condizionare il grado di attuazione e di realizzazione dei primi: ebbene, riconoscere che lo straniero è titolare di un certo diritto costituzionale non equivale necessariamente a riconoscere che egli è titolare, altresì, di tutti i diritti minori che costituiscono specificazione di quel diritto; potrebbero infatti permanere, da questo punto di vista, delle significative differenze rispetto al cittadino.

Così, se, da una parte, è corretto affermare che lo straniero (regolarmente soggiornante) è titolare del diritto di circolazione sul territorio nazionale, dall’altra è necessario aggiungere che lo stesso incontra, quanto al godimento di questa libertà, limiti ulteriori a quelli che riguardano il cittadino.

Similmente, dire che lo straniero, come riconosciuto dalla Corte costituzionale155, è titolare del diritto costituzionale al lavoro, non è

del tutto appagante dal punto di vista dell’analisi che qui si conduce, se contestualmente non si precisa che permangono ancora significative limitazioni nell’accesso da parte sua al pubblico impiego156.

155 Nella sentenza n. 144 del 1970, con la quale la Corte ha peraltro ritenuto

non in contrasto con la Costituzione le norme che imponevano al datore di lavoro la denuncia dell’assunzione di lavoratori stranieri all’autorità.

156 Nell’unica sentenza, la n. 24170 del 13 novembre 2006, in cui ha

affrontato il problema, la Corte di cassazione ha affermato che il requisito del possesso della cittadinanza italiana, richiesto per accedere al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni dall’art. 2 d.P.R. n. 487 del 1994 - norma «legificata» dall’art. 70 comma 13, d.lgs. n. 165 del 2001 – e dal quale si prescinde, in parte, solo per gli stranieri comunitari, nonché per casi particolari (v. art. 38 del d.lgs. n. 165 del 2001; art. 22 del d.lgs. n. 286 del 1998), si inserisce nel complesso delle disposizioni che regolano la materia particolare dell’impiego pubblico, materia fatta salva dal d.lgs. n. 286 del 1998, che, in attuazione della convenzione Oil n. 175 del 1975, resa esecutiva con legge n. 158 del 1981, sancisce, in generale, parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti per i lavoratori extracomunitari rispetto ai lavoratori italiani. L’esclusione dello straniero non comunitario dall’accesso al lavoro pubblico (al di fuori delle eccezioni espressamente previste dalla legge) non è poi sospettabile di illegittimità costituzionale, atteso che si esula dall’area dei diritti fondamentali e che la scelta del legislatore è giustificata dalle stesse norme costituzionali (art. 51, 97 e 98 Cost.), anche con riferimento alla legislazione di

Una tangibile riprova di quanto si sta sostenendo la si può rinvenire, poi, nella giurisprudenza costituzionale in materia di diritto alla salute, e in particolare nelle sentenze in cui il giudice costituzionale ha affermato che «[il] nucleo irriducibile del diritto alla

salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana […] deve […] essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato (c.a.)»157.

L’operazione compiuta dalla Corte è, in questo caso, quella di concentrare l’attenzione su quanto di «realmente fondamentale» vi sia all’interno del diritto alla salute, facendone discendere, quale corollario, la necessaria estensione anche in favore dello straniero. Qui il concetto della graduabilità delle situazioni soggettive assume un’evidenza particolare: non tutte le prestazioni erogate per garantire la salute dell’individuo devono essere fornite anche agli stranieri, ma soltanto quelle che possono considerarsi essenziali per la tutela della dignità umana.

Il discorso può essere ampliato a molti (a tutti, forse) gli altri diritti previsti dalla Costituzione: se si considerano soprattutto altri diritti sociali, come il diritto all’assistenza o al mantenimento, si scoprirà che la legislazione tesa a darvi attuazione contiene norme di dettaglio che, nel prevedere l’erogazione di specifiche provvidenze,

sostegno ai lavoratori disabili, la protezione dei quali non supera il limite del requisito della cittadinanza. Per un commento di questa sentenza, v. F. DI PIETRO, Pubblico impiego solo per i cittadini UE, in Dir. giust., 2006, 44, p. 19 ss.; M.

AGOSTINI, Il cittadino straniero extracomunitario non può accedere all’impiego pubblico, in Riv. it. dir. lav., 2007, 2, p. 302 ss. Nonostante questa pronuncia del

giudice di legittimità, la giurisprudenza di merito (Cfr., ex multis, Trib. Rimini, ord. 27 ottobre 2009; Trib. Parma, ord. 13 maggio 2009; Trib. Milano 30 maggio 2008 n. 2454; Trib. Bologna, ord. 7 settembre 2007) tende ad applicare, in molti casi, alle ipotesi di preclusione all’accesso al pubblico impiego da parte dei cittadini extracomunitari, la disciplina antidiscriminatoria di cui all’art. 44 del t.u. dell’immigrazione. V., in argomento, A. DURANTE, I confini della cittadinanza. Lavoro e immigrazione alla luce del diritto antidiscriminatorio, in Riv. it. dir. lav.,

2010, p. 367 ss.; D. PAPA, Stabilizzazione nella p.a. e lavoratori extracomunitari: la questione della cittadinanza, in Lav. giur., 2009, p. 1099 ss.; G. LUDOVICO, L’accesso degli extracomunitari al pubblico impiego tra limitazioni normative e aperture interpretative, in Riv. it. dir. lav., 2009, p. 400 ss.; A. MONTANARI, La parità di trattamento tra lavoratori italiani ed extracomunitari nell'accesso al pubblico impiego, in ADL, 2007, p. 206 ss.; M. PAGGI, Discriminazione ed accesso al pubblico impiego, in Dir. imm. citt., 2004, 2, p. 83 ss.

157 V., ex plurimis, le sentenze: n. 252 del 2001; n. 509 del 2000; n. 309 del

creano distinzioni legate non solo (e non tanto) alla cittadinanza, ma anche alla tipologia del titolo di soggiorno di cui lo straniero è in possesso158. Per cui il godimento di tali diritti può presentare

gradazioni differenti a seconda di quanto sia consolidato il rapporto dello straniero con la comunità statale159.

Da quanto esposto emerge, se non l’erroneità, quantomeno la parzialità di ogni approccio incentrato sul tentativo di enumerare i diritti costituzionali spettanti allo straniero all’interno del nostro ordinamento160. Questo approccio non coglie l’aspetto essenziale della

vicenda per come essa si è venuta sviluppando grazie, soprattutto, alla giurisprudenza costituzionale, e cioè che la cittadinanza – se si eccettuano taluni diritti politici previsti dalla Costituzione, in relazione ai quali lo status civitatis continua a fungere da elemento

158 Nel paragrafo successivo si vedrà, ad esempio, che la Corte costituzionale

si è pronunciata nel senso della illegittimità di norme che richiedevano non un qualsiasi permesso di soggiorno, ma il possesso della carta di soggiorno (oggi permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo), per il godimento di prestazioni sociali quali la pensione di inabilità e l’assegno di invalidità.

159 Per quanto riguarda, ad esempio, il diritto alla casa, l’art. 40, comma 6, del

t.u. dell’immigrazione prevede che «Gli stranieri titolari di carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni regione o dagli enti locali per agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione».

160 Si condivide pienamente la posizione di M. CUNIBERTI, op. cit., p. 158, il

quale critica «i tentativi di ricostruire una condizione unitaria dello “straniero” nel nostro ordinamento costituzionale» che «si risolvono […] spesso in articolati e dettagliati cataloghi di “diritti e doveri” del non cittadino». «Un tale modo di procedere», osserva l’Autore, «rischia di far perdere di vista quello che […] è invece il problema centrale nella ricostruzione del significato attuale della cittadinanza: in base a quali criteri, ed entro quali limiti, sia consentito al legislatore introdurre disparità di trattamento tra cittadino e non cittadino».

imprescindibile161 – viene a condizionare non tanto, ormai, la titolarità

stessa dei diritti, quanto l’intensità della loro protezione.

L’orientamento giurisprudenziale sin qui descritto ha incontrato, in ambito dottrinario, numerose critiche, la più significativa delle quali ha fatto leva sulla difficoltà di discernere in linea generale fra diritti fondamentali e non, ai fini dell’applicazione del principio di uguaglianza anche agli stranieri. Si è fatto notare, in tal senso, che «Il caso in cui la Corte riconosca a chiare lettere che un certo diritto fondamentale spetta anche agli stranieri è piuttosto raro. Più

161 La Corte costituzionale, a proposito di una norma statutaria della Regione

Emilia-Romagna secondo cui la Regione si impegna ad assicurare, «nell’ambito delle facoltà che le sono costituzionalmente riconosciute, il diritto di voto degli immigrati residenti», ha ritenuto che a tale enunciazione, anche se inserita in un atto- fonte, non potesse tuttavia essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi essa precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello statuto ed esplicando una funzione di natura culturale o anche politica. La Corte ne ha fatto discendere l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, atteso che, non avendo la disposizione impugnata una funzione normativa, essa è priva di idoneità lesiva. Così la sentenza n. 379 del 2004.

Sull’argomento del rapporto fra cittadinanza e diritti elettorali v., ex multis, il recente contributo di A. ALGOSTINO, Il ritorno dei meteci: migranti e diritto di voto,

in S. Gambino e G. D'Ignazio (a cura di), op. cit., p. 427 ss., la quale critica (p. 451 ss.) la limitazione del diritto di voto ai soli cittadini, individuando in alcune norme e principi della Costituzione il fondamento di una doverosa estensione del diritto di voto anche agli stranieri stabilmente residenti. L'Autrice osserva, così, che «La cittadinanza […] è stata volano di inclusione ma oggi quando il 5,8% dei residenti è costituito da non cittadini discrimina una classe di moderni meteci. Proprio la storia del suffragio mostra come la democrazia consente – o meglio necessita di – continui sviluppi. La titolarità da parte degli stranieri dei diritti politici – secondo questa impostazione – deve essere riconosciuta quale (necessaria) implicazione della proclamazione, nell'articolo 1, Costituzione, del principio democratico. Tale principio, che fornisce “il supremo criterio interpretativo di tutte le altre disposizioni”, assumendo il “rango di supernorma”, impone di considerare irrilevante (o di superare) la lettera dell'art. 48 della Costituzione, pena la perdita di democraticità dello Stato». Altri elementi a sostegno della necessità di estendere il diritto di voto agli stranieri lungoresidenti sono individuati nel riferimento all'«effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione poltica, economica e sociale del Paese» (art. 3, comma 2, Cost.), nonché nel principio di corrisponendenza fra diritti e doveri deducibile dall'art. 2 Costituzione. Sotto quest'ultimo profilo, in particolare, si fa notare come l'esclusione degli stranieri dal diritto di voto importi una palese violazione del principio no taxation without

representation, in quanto anche gli stranieri sono destinatari dell'obbligo di

«concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» (art. 53, comma 1, Cost.). Della stessa Autrice, v. anche I diritti politici dello straniero, Napoli, 2006, cui si rinvia per ulteriori riferimenti giurisprudenziali.

frequentemente, essa riconosce l’applicabilità delle garanzie costituzionali dei diritti fondamentali in forma alquanto implicita ed obliqua (magari in sentenze di rigetto, che, negando la violazione di una garanzia costituzionale da parte di una norma odiosa per gli stranieri, tacitamente riconoscono che dalla garanzia anche questi sono assistiti)»162.