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I limiti alla libertà di circolazione e di soggiorno sul territorio

territorio dell'Unione

505 Cfr. M. CONDINANZI, A. LANG e B. NASCIMBENE. op. cit., p. 30; U. VILLANI,

La cittadinanza dell'Unione europea, cit., p. 1014 ss.. Secondo A. MATTERA, op. cit.,

p. 431 ss. afferma che le disposizioni del Trattato «conferiscono al diritto di circolazione e di soggiorno un carattere intangibile, e, in un certo senso, sacralità, che solo una modifica del Trattato potrebbe eliminare».

506 Tra gli autori che si erano schierati per la diretta applicabilità della norma

attributiva del diritto di circolazione e di soggiorno ai cittadini europei, v., fra gli altri, A. MATTERA, op. cit., p. 431; R. ADAM, Prime riflessioni, cit., p. 641.

É assai diffusa, fra le persone, la percezione, se non addirittura la convinzione, che la libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini europei sul territorio di Stati membri diversi da quello di appartenenza sia sostanzialmente incondizionata. Appartiene all'esperienza di molti, infatti, l'ingresso e il soggiorno, senza alcuna formalità o necessità di richiedere visti o permessi di alcun tipo, per motivi di vacanza, d'affari o di studio, sul territorio di Stati membri dell'Unione diversi dal proprio.

Si tratta, tuttavia, di una percezione tanto diffusa quanto erronea. La cittadinanza europea non conferisce a chi ne è titolare un diritto di soggiorno, su qualsiasi parte del territorio dell'Unione, analogo a quello che la cittadinanza nazionale assicura sul territorio del proprio Stato. Se, certamente, essa facilita l'ingresso e la permanenza della persona sul territorio di Stati membri diversi dal proprio, non per questo è idonea ad instaurare quel rapporto privilegiato fra persona e territorio che si è visto essere la prerogativa essenziale della cittadinanza nazionale.

Tanto si ricava, anzitutto, dalla lettura dell'art. 20, ultimo comma, TFUE, ai sensi del quale «Tali diritti [tra cui quello di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri] sono esercitati secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi». E si ricava, ancor più esplicitamente, dalla lettura dell'art. 21, comma 1, ai sensi del quale, come già si è visto, il diritto di circolazione e di soggiorno è garantito «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati

e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».

Né vale a dimostrare il contrario, cioè il carattere incondizionato del diritto, la norma di cui all'art. 45 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ai sensi del quale «Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». Difatti, anche se la Carta ha ormai acquisito lo stesso valore dei Trattati508, per cui sarebbe idonea a

fornire fondamento autonomo ai diritti da essa sanciti, resta pur sempre fermo quanto previsto dall'art. 52 della stessa, e cioè che «I diritti riconosciuti dalla presente Carta che trovano fondamento nei trattati comunitari o nel trattato sull'Unione europea si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati stessi».

508 É noto che, in seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'art. 6

del TUE prevede che «L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati».

C'è da chiedersi, dunque, quali siano i limiti e le condizioni cui fanno riferimento queste norme, tenendo presente quello che è l'elemento comune di ciascuno di essi: e cioè la necessità che, afferendo ad una libertà fondamentale garantita dal Trattato, siano interpretati restrittivamente509.

3.4.1 Il limite delle situazioni puramente interne

Un primo limite alla operatività della libertà di circolazione e di soggiorno che può desumersi dal diritto primario dell'Unione è quello legato alle cosiddette «situazioni puramente interne».

Questa espressione, come noto, sta ad indicare tutte quelle fattispecie che, non presentando alcun collegamento con l'ordinamento europeo e con i diritti da esso garantiti, esulano dall'ambito di applicazione di quest'ultimo per ricadere interamente sotto l'egida del diritto nazionale.

Così, la Corte di Giustizia ha più volte chiarito510 che

l'applicabilità della normativa comunitaria in materia di libertà di circolazione e di soggiorno presuppone che il cittadino di uno Stato membro se ne sia avvalso, o che sia stato almeno ostacolato nel tentativo di avvalersene511, al fine di spostarsi sul territorio di uno

Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza: solo in tal caso, quindi, egli potrà far valere nei confronti dello Stato ospitante i diritti derivanti dalla sua posizione di cittadino europeo.

Fermo quanto sopra, tuttavia, la Corte ha anche precisato, interpretando in modo particolarmente restrittivo il limite in esame, che è altresì sufficiente, per la sussistenza di un collegamento con l'ordinamento europeo, il possesso della cittadinanza di uno Stato membro diverso da quello in cui la persona risiede, nonostante quest'ultima non abbia mai varcato le frontiere dello Stato membro di residenza512.

509 Cfr., ex multis, Corte di Giustizia CE, 19 gennaio 1999, causa C-348/96. 510 Cfr., ex multis, sentenze 27 ottobre 1982, cause riunite C-35/82 e C-36/82,

Morson e Jhanjan; 17 dicembre 1987, causa C-147/87, Zaoui; 28 gennaio 1992,

causa C-332/90, Steen; 22 settembre 1992, causa C-153/91, Petit; 16 dicembre 1992, causa C-206/91, Koua Poirrez.

511 Cfr. ordinanza 26 marzo 2009, causa C-535/08, Pignataro.

512 Così, nella sentenza 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Garcia Avello, dopo

aver ricordato che «La cittadinanza dell’Unione, sancita dall’art. 17 CE, non ha […] lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del Trattato a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario»,

Il limite delle situazioni puramente interne determina, in molti casi, il fenomeno delle cosiddette discriminazioni «alla rovescia»513, in

forza delle quali può avvenire che la situazione del cittadino di uno Stato membro venga trattata da quest'ultimo in modo peggiore rispetto a quella del cittadino di un altro Stato membro stabilitosi sul suo territorio.

É quanto è accaduto, ad esempio, alle signore Uecker e Jacquet, cittadine di Stati terzi coniugate con cittadini tedeschi residenti ed impiegati in Germania, che intendevano far valere nei confronti delle autorità tedesche il diritto di cui all'art. 11 del regolamento n. 1612/68 (dedicato alla libera circolazione dei lavoratori e dei loro familiari sul territorio dell'Unione), ai sensi del quale «Il coniuge ed i figli minori di anni 21 o a carico di un cittadino di uno Stato membro che eserciti sul territorio di uno Stato membro un'attività subordinata o non subordinata, hanno il diritto di accedere a qualsiasi attività subordinata su tutto il territorio di tale Stato, anche se non possiedono la cittadinanza di uno Stato membro».

Ebbene, la Corte di Giustizia ha chiarito514 che questa norma –

senz'altro invocabile da parte del coniuge di un lavoratore comunitario di nazionalità non tedesca stabilitosi sul territorio della Germania – non era suscettibile di trovare applicazione, invece, in un caso, come quello di specie, in cui i coniugi delle ricorrenti davanti al giudice del rinvio non avevano mai esercitato il diritto alla libera circolazione all'interno della Comunità.

Alla domanda del giudice a quo, se questa discriminazione «al contrario» potesse considerarsi compatibile con «i principi fondamentali di una Comunità incamminata sulla strada dell'Unione europea», la Corte ha risposto, poi, che «la cittadinanza dell'Unione [...] non ha lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione

la Corte ha avuto modo di chiarire che «Tuttavia, sussiste un simile collegamento con il diritto comunitario nel caso di (…) cittadini di uno Stato membro i quali soggiornano legalmente nel territorio di un altro Stato membro», e ciò indipendentemente dal fatto che essi abbiano esercitato le libertà di circolazione previste dal Trattato o invece, come in quel caso, siano vissuti sin dalla nascita nel territorio dello Stato membro ospite.

513 Sulle quali v. B. NASCIMBENE, Le discriminazioni all'inverso: Corte di

giustizia e Corte costituzionale, in Dir. Un. eur., 2007, p. 717 ss.; F. SPITALERI, Le discriminazioni alla rovescia nella recente giurisprudenza comunitaria: rimedi insufficienti o esorbitanti?, ibidem, p. 917 ss.; I. ZOPPI, Le discriminazioni a rovescio, in Dir. com. e degli scambi internazionali, 2006, p. 795 ss.; C. FAVILLI, La non discriminazione nell'Unione europea, Bologna, 2008.