1.6. L’applicazione del principio di uguaglianza oltre i confini della
1.6.1. Il quadro costituzionale
Da una prima lettura della Costituzione, sembrerebbe che la posizione del cittadino e quella dello straniero siano configurate in termini di netta differenziazione: questo perché, da una parte, l’art. 3 Cost. riferisce il principio di uguaglianza non a tutti gli uomini, bensì ai soli «cittadini»; dall’altra, perché l’art. 10, comma 2, Cost. stabilisce che «la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali».
Dalla considerazione congiunta di queste disposizioni si dovrebbe evincere, pertanto, che compete al legislatore ordinario, tenuto al rispetto del diritto internazionale, consuetudinario e pattizio, ma non anche al rispetto dell’obbligo costituzionale di uguaglianza con il cittadino, stabilire quali diritti e doveri spettino allo straniero all’interno del nostro ordinamento.
Sennonché, il quadro così tratteggiato si fa molto più complesso non appena si consideri che all’interno della stessa Costituzione vi sono altre disposizioni che, nel definire il loro ambito soggettivo di applicazione, utilizzano espressioni tali da risultare indubbiamente idonee a ricomprendere anche gli stranieri: è così, ad esempio, per l’art. 2, ai sensi del quale «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…», nonché per l’art. 32, ai sensi del quale «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell’individuo…»; è così anche per gli articoli 19, 21, 24 e 34, ove l’espressione che si utilizza è «tutti», nonché per gli articoli 22, 25 e 32, comma 2, il cui incipit è invece «nessuno» (quindi nemmeno lo straniero); ancora, vi sono le norme (articoli 13, 14 e 15) che, affermando l’inviolabilità di un diritto, implicitamente ne riconoscono – congiuntamente all’art. 2 – la spettanza in capo ad ogni uomo; e infine le norme che, utilizzando altri sostantivi come «lavoratore», «coniugi», «genitori», «figli», «imputato», «condannato», «inabili e
minorati», etc. non prendono in alcuna considerazione il dato della
cittadinanza, ma semplicemente la condizione nella quale può venirsi a trovare una qualsiasi persona.
Va poi considerato quanto stabilito dall’art. 10, comma 3, Cost., secondo cui «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»: norma, questa, da cui si desume implicitamente che allo straniero deve essere garantito, all’interno dell’ordinamento italiano, quanto meno il godimento delle libertà democratiche fondamentali che gli sono precluse nello stato di appartenenza144.
Indubbiamente riferibile anche agli stranieri è, infine, l'art. 118, comma 4, Cost., ai sensi del quale «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Secondo la dottrina, infatti, «Sebbene [tale norma] faccia riferimento testualmente ai “cittadini, singoli e associati”, tuttavia il nucleo essenziale del principio di sussidiarietà sta nell'attivarsi autonomamente per l'interesse generale di soggetti diversi dalle
144 Cfr. in tal senso la sentenza della Corte costituzionale n. 11 del 1968, ove
si afferma che gli stranieri che godono del diritto d’asilo di cui all’art. 10, comma 3, Cost. «devono poter godere almeno in Italia di tutti quei fondamentali diritti democratici che non siano strettamente inerenti allo “status civitatis”». In questo caso la Corte ha ritenuto che fosse illegittimo l’art. 45 della legge n. 69/1963, istitutiva dell’ordine dei giornalisti, nella parte in cui subordinava al rispetto della condizione di reciprocità la possibilità dell’iscrizione all’ordine da parte egli stranieri in stati di asilo. Cfr., per un commento della sentenza, G. ZAGREBELSKY, Questioni di legittimità costituzionale della l. 3 febbraio 1963 n. 69 istitutiva dell’ordine dei giornalisti, in Giur. cost., 1968, p. 346 ss.
pubbliche amministrazioni»145, sicché non avrebbe senso escludere dal
suo ambito di applicazione gli immigrati regolarmente soggiornanti. Da questo rapido excursus delle disposizioni costituzionali rilevanti, si evince che lo statuto costituzionale dello straniero, al di là delle poche disposizioni che di esso espressamente si occupano, non è privo di una certa consistenza: questi dovrebbe come minimo essere titolare, infatti, sia dei diritti fondamentali di libertà, sia di alcuni importanti diritti sociali, come la salute e l’istruzione.
Per contro, il dato della cittadinanza assume un valore centrale nel contesto delle disposizioni contenute sotto il titolo IV della prima parte della Costituzione, dedicato ai «Rapporti politici». Il cittadino (anzi, più precisamente, «tutti i cittadini») è il soggetto della gran parte delle disposizioni ivi allocate, intese a riconoscere e a sancire il diritto di voto (art. 48), il diritto di associazione in partiti politici (art. 49), il diritto di rivolgere petizioni alle Camere (art. 50), il diritto di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive (art. 51), il dovere di difendere la patria (art. 52) e il dovere di essere fedeli alla Repubblica (art. 54). L’unica norma di questo titolo a non assumere il cittadino come suo destinatario è l’art. 53, ove si afferma che «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva»146.
A proposito del quadro costituzionale fin qui esposto, in dottrina sono state prospettate le tesi più disparate: alle posizioni di chi ha ritenuto che il riferimento testuale alla cittadinanza dovesse essere interpretato rigidamente – con la conseguenza paradossale di non poter riferire allo straniero alcune libertà come, ad esempio, quella di riunione e di associazione147 –, hanno fatto da contraltare quelle che
invece hanno relativizzato l’importanza del criterio letterale, sia nel senso che il riferimento al cittadino non precluderebbe l’estensione di
145 G. ARENA, Immigrazione e cittadinanze, in Labsus papers, 2008, Paper n.
5, p. 20, il quale osserva altresì che «É significativo e positivo che la Costituzione chiami questi soggetti “cittadini” e non “privati”, sottolineando così il legame con la comunità di coloro che si attivano nell’interesse generale (e ancor più significativo è il riferimento ai cittadini “associati”), tuttavia tale individuazione soggettiva non va intesa in senso letterale e quindi restrittivo, escludendo coloro che cittadini italiani non sono».
146 L'art. 25 dello statuto Albertino si riferiva invece ai soli «regnicoli»,
prevedendo che «essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato».
147 V., in argomento, M. RUOTOLO, Le libertà di riunione e di associazione, in
AA.VV., I diritti costituzionali, a cura di R. Nania e P. Ridola, II, Torino, 2006, p. 677 ss.
determinati diritti e doveri anche allo straniero, sia nel senso, opposto, che il riferimento ad espressioni più generiche, come «tutti», non implicherebbe necessariamente il divieto per il legislatore di limitare, in tutto o in parte, il godimento di taluni diritti in favore dei soli cittadini. Posizione, quest’ultima, che impone di annettere rilevanza esclusiva, quanto alla disciplina costituzionale dello straniero, alla norma di cui all’art. 10, comma 2, Cost., la quale, come si è visto, pone quale unico vincolo per il legislatore il rispetto del diritto internazionale.
Per quanto ognuna delle posizioni esposte presenti valide argomentazioni a suo sostegno, va constatato che nessuna delle stesse è riuscita a rinvenire quell’argomento risolutivo che ne potesse determinare la preferibilità rispetto alle altre. Inoltre, le posizioni dottrinarie hanno presto dovuto confrontarsi, oltre che col dato normativo, anche con la giurisprudenza della Corte costituzionale, le cui opzioni ermeneutiche si sono fin dal principio caratterizzate per una sottovalutazione del criterio letterale, in favore di una più ampia considerazione dei valori emergenti da una lettura sistematica delle disposizioni della Costituzione.