Cap.4 – Il cyberconsumatore telematico e la sua tutela giuridica
4.4 Le clausole vessatorie
In sede comunitaria, la disciplina delle clausole vessatorie ha avuto una lunga gestazione. Già nel 1976 la Commissione aveva predisposto un documento che conteneva riferimenti al controllo delle clausole abusive. Nonostante i lavori di normazione siano cominciati così presto, è solo a distanza di vent'anni che è nata, la già citata direttiva n°13/93 sulle clausole abusive.
La novellazione all’interno del codice civile degli artt. 1469-bis e ss. c.c. ha lasciato in vigore gli artt. 1341- 1342 c.c. ( sulle condizioni generali di contratto), che risultano compatibili con la nuova disciplina, in quanto la specifica sottoscrizione delle clausole non si sovrappone al giudizio di vessatorietà. Inoltre, tale direttiva riguarda esclusivamente i contratti tra professionisti e consumatori e quindi, non tocca l'efficacia delle norme codicistiche, le quali si riferiscono a tutti i contratti di massa senza distinzione di status.
L'ambito di applicazione si definisce in base ad un duplice criterio:
-SOGGETTIVO: la disciplina si applica solo ai contratti tra professionisti e consumatori finali, mentre non si applica nei contratti fra professionisti, e fra un professionista e un soggetto che non è persona fisica (ente o associazione).Questa limitazione di tutela data dalla normativa delle clausole vessatorie esclusivamente al consumatore che aderisce ad un contratto predisposto dal professionista è stata ribadita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee85. A tale Corte erano stati sottoposti i seguenti quesiti:
a) “se possa considerarsi consumatore un imprenditore che stipuli un contratto predisposto da un altro imprenditore e relativo all'acquisto di un servizio o un bene del tutto svincolato ed avulso della propria attività professionale ed imprenditoriale tipica”;
b) “se, in caso di risposta affermativa, possa considerarsi consumatore qualsiasi soggetto o ente quando opera per scopi estranei, o non funzionali, all'attività imprenditoriale o professionale tipica esercitata”;
85
CGCE 22 novembre 2001, Cape Snc-Idealservice Srl, e Idealservice MN RE Sas-Omai Srl, in Corr. Giur., 2002, p.445.
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53 c) “se possa considerarsi consumatore una società”.
I giudici comunitari hanno escluso che potesse considerarsi consumatore una società, allargando di conseguenza questa esclusione anche alle altre domande. Tali giudici hanno argomentato la decisione affermando che “gli scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale devono essere valutati in relazione allo scopo del contratto perseguito dal cliente e riconoscibili al professionista”. Quindi, consumatore è esclusivamente “il contraente che stipula contratti funzionali al soddisfacimento di esigenze domestiche, indipendentemente dall'inerenza della tipologia del contratto in concreto stipulato all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata86”.
Parte della giurisprudenza87 e della dottrina88, sono concordi con l’indirizzo dei giudici comunitari, ossia che per poter determinare concretamente la definizione di consumatore “gli scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale debbano determinarsi in base ad un criterio d'interpretazione soggettiva, intendendolo cioè alla stregua di intenzioni del contraente di destinare il bene o il servizio ad un uso domestico o professionale89”.
In base a ciò, quindi, il consumatore dovrebbe essere definito come “la persona fisica che […] conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana ed estranee all'esercizio dell’attività imprenditoriale90”. Alcuni in dottrina ritengono che non è auspicabile “un ampliamento dell'ambito soggettivo di applicazione della normativa delle clausole vessatorie tale da comprendere il contraente che dovesse stipulare in veste professionale contratti estranei all'attività professionale o imprenditoriale svolta perché ciò sarebbe incompatibile con il chiaro dettato della norma91”. Nonostante ciò, non si può
86
CGCE 3 luglio 1997, Jarabo Colomer-Francesco Benincasa/Dentalkit Srl, in Giur. Civ., 1999, I, p.13.
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Cass., 25 luglio 2001 n°10127, in Giust.civ., 2002, I, p.685 ss; Cass.24 luglio 2001 n°10086, in Gius., 2001, p.2598; Tribunale di Roma 17 gennaio 2000, in Gius, 2000, p.1230.
88
Marzio, “Ancora sulla nozione di consumatore nei contratti (nota a Cass.25 luglio 2001 n°10127)”, in Giust.civ., 2002, I, p.694, ad opinione del quale alla "contrattazione ineguale d’impresa il legislatore non ha inteso dare una soluzione generalizzata e definitiva"); Roppo, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano,2001, p.912; D’Amico, “Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto”, Napoli, 1996, p.349.
89
Scarso, Il contraente <<debole>>, Torino,2006, p. 170.
90
Cass., 25 luglio 2001 n°10127, cit.
91
Roppo, “Il contratto”, cit., p. 912; D’Amico, “Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto”, cit., p. 349, ad opinione del quale, diversamente, si supererebbero “ troppo
escludere la circostanza che anche tra professionisti possano manifestarsi analoghe esigenze di protezione di una parte debole. Infatti, presumere che il consumatore sia debole solo quando la sua contrattazione riguarda atti che non appartengono alla propria sfera professionale e che questa “debolezza si traduca in una mancanza di esercizio effettivo del suo potere contrattuale, non escluderebbe che soggetti agenti nell'esercizio della loro professione possano essere altrettanto deboli, in relazione alla controparte nell'esercizio del potere di determinazione del contenuto contrattuale92”. Ciò perché “la normativa delle clausole vessatorie nel tentativo di evitare l'abuso da parte di chi contrae per interessi professionali rispetto a chi contrae per interessi di consumo, avrebbe attribuito rilevanza generale agli interessi, i quali emergono direttamente dall'attività svolta dal contraente e quindi, in ultima istanza, ha attribuito rilievo all'attività stessa. Pertanto, le norme non incidono sugli elementi di qualificazione del contratto ma operano su un piano diverso che è quello del controllo sostanziale del regolamento contrattuale, con la conseguenza che il limite soggettivo della nuova normativa sarebbe superabile ogni qualvolta ci si trovi di fronte a situazioni di grave disparità di potere contrattuale tra i soggetti contraenti, indipendentemente dalla loro natura giuridica e dalle esigenze (di consumo o professionali) che mirano a soddisfare con il contratto93”.
Di contro, una dottrina qualificata94 ritiene l'opinione appena illustrata “non appagante”. Ciò perché essa “poggia sulla premessa che la mancanza di expertise del consumatore gli precluderebbe la possibilità di partecipare alla determinazione del regolamento negoziale. Tale argomentazione non tiene conto del fatto che l'avvenuta predisposizione del contratto da parte del professionista della normativa delle clausole vessatorie assurge ad elemento costitutivo della fattispecie. Pertanto, non è pertinente il rilievo che anche i professionisti potrebbero essere altrettanto deboli in quanto la prestazione da loro offerta non
disinvoltamente limiti esplicitamente posti dal legislatore, vanificando scelte (discutibili, ma) tutt'altro che casuali”.
92
Gatt., “Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista”, in Nuove leggi civili commentate, 1997, p. 830.
93
V. nota 85.
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55 induce la controparte a trattare”. Quindi, sembrerebbe che questa limitazione della definizione di consumatore sia stata volutamente contemplata dal legislatore comunitario, che non ha voluto esplicitamente inserire i rapporti tra professionisti. Ciò si può evincere anche dal considerando n° 8 della direttiva comunitaria n°93/13 che autorizza esplicitamente gli Stati membri ad adottare e mantenere “disposizioni più severe, compatibili con il Trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore”.
-OGGETTIVO: inizialmente, quando fu recepita la direttiva n°13/93, per individuare il criterio oggettivo si faceva riferimento al 1° comma dell’art.1469-
bis c.c. che riguardava i contratti tra professionisti e consumatori con riferimento
ai contratti che avevano ad oggetto la prestazione di servizi o la cessione di beni. Però, rimanevano esclusi alcuni contratti, come ad esempio la fideiussione. Per questo motivo la Comunità Europea ha censurato il lavoro di recepimento della direttiva del legislatore italiano. Così, il 1° comma è stato modificato in modo tale che tutti i contratti di qualsiasi natura rientrassero in questo ambito di applicazione. Ora che la disciplina è stata trasposta nel Codice del consumo, senza modifiche di rilievo, l’articolo di riferimento è il comma 1° dell’art.33. Per i criteri di accertamento della vessatorietà i punti di partenza sono il 1° e 3° comma degli articoli 33 e 34 del Codice del consumo.
Il 1°comma art.33 individua il criterio generale di vessatorietà: “Nel contratto concluso tra il consumatore e il professionista si considerano vessatorie le clausole, che malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
L'espressione “malgrado la buona fede95” che troviamo nel testo dell'articolo citato e che già prima era inserita nell'art.1469-bis c.c., ha suscitato e suscita tuttora accesi dibattiti, che non sono stati sopiti neanche dal varo del Codice del
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Alla formula, contenuta nella direttiva all’art.3, comma 1°, secondo cui è da considerare abusiva una clausola se “malgrado il requisito della buona fede, determina a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto” succede la formula pressoché identica, contenuta nella novella italiana all'art.1469-bis, secondo cui sono da considerare vessatorie le clausole che “ malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti degli obblighi derivanti dal contratto”. E’ stato quindi soppresso il termine “requisito” ma non si è provveduto a sostituire l'erroneo “malgrado” con la più precisa espressione formulata in termini di “ in contrasto”, “ in violazione” ecc..
consumo che, aveva come obiettivo quello di uniformare definitivamente la disciplina di tutela del contraente debole.
La questione riguarda il problema di riuscire a capire a quale tipo di buona fede ci si debba riferire, se a quella soggettiva oppure a quella oggettiva. Naturalmente, a seconda di come la si consideri, avrà implicazioni diverse: se come un elemento soggettivo l'elemento decisivo risulta essere lo squilibrio e la conseguenza è che si esonera il consumatore dalla necessità di provare la presenza della mala fede del predisponente96; se, invece, la si considera come un elemento oggettivo lo squilibrio passa in secondo piano e assume rilievo invece un comportamento sleale da parte del professionista.
Entrambe le correnti dottrinali partono, per esprimere le proprie argomentazioni, dal dato letterale della direttiva n°13/93. Il testo comunitario utilizzava l'espressione <<contrary to the requirement of good faith>> o nella versione francese <<en dèpit de l’exigence de bonne foi>>. La scelta del nostro legislatore è stata quella di tradurre “contrary” e “en dèpit” con l’espressione “malgrado”.
La Comunità europea ha immediatamente contestato l'interpretazione del legislatore italiano, credendo che fosse incorso in un errore di trasposizione. L'articolato dibattito parlamentare successivo al richiamo comunitario, non produsse comunque alcun mutamento, tanto che anche nella trasposizione nel Codice del consumo, la norma mantiene il tanto contestato termine “malgrado”. La parte dottrinale che sosteneva e sostiene tuttora il carattere soggettivo della buona fede97, contenuta nell’art.1469-bis c.c.ed ora nell’art.33 del Codice del consumo, afferma che il termine malgrado deve essere inteso come “nonostante”. Ciò implica che quando si analizza la vessatorietà di una clausola, si vada a guardare solo il rapporto tra diritti e obblighi nel loro bilanciamento complessivo.
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Questo, perché, la disposizione espressamente afferma che la clausola va considerata vessatoria malgrado (e quindi pur in presenza, nonostante) la buona fede (soggettiva) del predisponente.
97
E.Cesaro, I contratti del consumatore, cit., p.21. “Induce a questa conclusione non soltanto per la chiara lettura del testo della norma, ma anche un passo della Relazione che accompagna la proposta ove si avverte l’esigenza di precisare, se mai ce ne fosse stato bisogno, che nella valutazione della vessatorietà delle clausole è esclusa la rilevanza dello stato psicologico dell’operatore professionale al momento della loro predisposizione,intendendosi concentrare l’esame dell’operatore del diritto solo sulprofilo
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57 Quindi, lo squilibrio significativo implica solo la nullità della clausola, a norma dell’art.36 del Codice del consumo (che era precedentemente l’art.1469-quinques c.c.).
La teoria della buona fede soggettiva è stata accolta anche dalla giurisprudenza : la Corte d’Appello di Roma98 ha dichiarato che nei contratti tra consumatore e professionista, ai fini dell'accertamento della vessatorietà di una clausola, l'espressione “malgrado la buona fede” indica che la buona fede soggettiva accertata in capo al professionista non elimina il carattere abusivo di una clausola di cui venga accertato l'elemento oggettivo del significativo squilibrio contrattuale99.
La corrente dottrinale che è a favore della buona fede oggettiva100, e che pare decisivamente più condivisibile, sostiene che il francese “en dèpit” non significa solo “malgrado, nonostante”, ma anche “in dispetto”.
Il giudice, così, sarebbe autorizzato “a qualificare come abusiva una clausola che, bensì negoziata è tuttavia tale, nell’ambito di uno squilibrato rapporto di forze e di fronte a situazioni di reale debolezza da valutare ex fide bona, da determinare un danno al consumatore in una situazione di effettivo, persistente squilibrio quale inevitabile conseguenza della contrarietà a buona fede dell’operazione economica realizzata101”.
Nonostante tutto, comunque, data questa incertezza del termine da utilizzare, sembra lecito pensare che il corretto significato debba essere ricercato analizzando le scelte che gli altri Paesi hanno fatto nel recepire la direttiva di
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Anche il Garante della concorrenza si esprime chiaramente a favore della buona fede soggettiva, pena l’aggravio della situazione di fisiologica debolezza del consumatore. Ciò perché l’avversa soluzione imporrebbe al contraente di provare la contrarietà alla buona fede della clausola incriminata.
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App.Roma 24/9/2002, Giurisprudenza Italiana, 2003, p.904
100
Cfr. Cian, Il nuovo capo XIV-bis (Titolo II, Libro IV) del codice civile sulla disciplina dei contratti con i consumatori, in Studium iuris, 1996, p.415; Lener, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti del consumatore, in Foro it., 1996, p. 159 e ss; Alpa, Sul recepimento della direttiva
comunitaria in tema di clausole abusive, in Nuova giur. Civ. commentata, 1996, p.47; F.D. Busnelli, Una possibile traccia per un’analisi sistematica della disciplina delle clausole abusive, in Nuove leggi civ. commentate, 1997, p. 700; De Nova-Sacco, Le clausole vessatorie nei contratti con il consumatore, Torino, 2004, p.391
101
L. Bigliazzi Geri, Condizioni generali di contratto e buona fede,in Nuove leggi civili commentate, 1994, p.93, ad opinione della quale “ tutto dipende dalla forza contrattuale delle parti, una delle quali, se in stato di reale inferiorità, potrebbe anche aver accettato dopo averne discusso, un tipo di soluzione che, benché in parte diversa da quella originariamente predisposta, non pertanto risulti tale da realizzare un effettivo contemperamento di interessi.”
tutela del consumatore. Questa conclusione, infatti, sembra obbligatoria se si pensa che tra gli obiettivi principali del diritto comunitario vi è quello dell’uniformazione degli ordinamenti.
A sostegno della tesi della buona fede oggettiva si è espressa anche la giurisprudenza prevalente, fino all’autorevole pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni unite n°11602/2004, che sancisce: “Nei contratti conclusi tra il consumatore e il professionista, la buona fede consiste nella reciproca lealtà e correttezza dei contraenti in ordine a tutte le circostanze inerenti le trattative102”.
Infine, anche il Consiglio di Stato103 ha suggerito al legislatore o la sostituzione nell’art.1469-bis, comma 1°, c.c. dell’espressione “malgrado la buona fede” con l’espressione “in contrasto con la buona fede” oppure l’eliminazione totale dell’espressione104.Questo parere del Consiglio di Stato non è stato seguito “perché il testo attuale fornisce un maggior livello di tutela del consumatore, permettendo di qualificare come abusive le clausole contrattuali che determinano un significativo squilibrio tra le prestazioni in danno del consumatore, nonostante la buona fede soggettiva dell’altro contraente, senza richiedere l’accertamento ulteriore della violazione delle regole di buona fede105”.
Nel riportare la norma dall’art.1469-bis cod. civ. all’art.33 del Codice del consumo, il legislatore non solo non ha eliminato l’espressione “malgrado la buona fede”, ma ha voluto sottolineare la natura soggettiva della buona fede come se questa linea interpretativa potesse ampliare la tutela del contraente debole. Ciò perché sembrerebbe possibile qualificare come vessatorie le clausole contrattuali che determinano un significativo squilibrio tra le prestazioni a danno del consumatore, senza richiedere l’accertamento ulteriore della buona fede e quindi anche se il professionista era in buona fede.
Quindi, sembrerebbe proprio che il legislatore abbia preso lo spunto da un “errore” di interpretazione per affermare, esplicitamente, che la tutela del
102
Tribunale di Torino 22/9/2000, Giur. It., 2001, p.981
103
Parere del Consiglio di Stato del 20/12/2004, in Foro italiano, 2005
104
Tale circostanza si è verificata in Francia dove il riferimento è stato eliminato in quanto è da ritenere già contenuto nell’espressione “significativo squilibrio”
105
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59 consumatore consisterebbe anche nel fatto che non deve dare la prova, oltremodo difficile, della presenza di questo stato soggettivo della “non ignoranza del professionista106”.
Un altro punto controverso è ravvisabile nel significato e peso da attribuire al “significativo squilibrio”, ossia se la buona fede sia un requisito aggiuntivo al requisito dello squilibrio “giuridico” tra le prestazioni, oppure se la clausola possa considerarsi vessatoria solo se in contrasto con la buona fede e comporti tale squilibrio. A mio parere, poiché il significativo squilibrio di per sé è una ipotesi sintomatica di contrarietà alla buona fede, non è necessario effettuare il doppio controllo e pretendere la compresenza di due requisiti, essendo sufficiente l’accertamento del significativo squilibrio.
Per quanto riguarda l’accertamento della vessatorietà la disciplina prevede tre diversi livelli:
1) Clausole dichiarate comunque nulle anche se oggetto di trattativa107. Tali clausole sono elencate nel 2° comma, dell’ art.36, che prevede: “Sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di:
- escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista;
- escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di inadempimento inesatto da parte del professionista; - prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che
non ha avuto di fatto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto”.
106
E. Cesaro, I contratti del consumatore, cit.
107
L'art.1469-quinques cod. Civ. afferma che le clausole di esclusione o limitazione della responsabilità sono inefficaci “quantunque oggetto di trattativa”. Ora, l'art.36 del codice del consumo ha sostituito l'inefficacia con la nullità di protezione, ma non ha mutato nient'altro nel testo.
Tale elenco individua la cosiddetta “black list108” di clausole abusive (elenco speciale), che va ad aggiungersi alla “grey list” (elenco generale), riportata all’art.33, comma 2°, Codice del consumo.
2) Clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria ( che si ritiene debba essere data dal professionista). E’ la cosiddetta grey list , che troviamo all’art.33, comma 2°, Codice del consumo. Tale norma sancisce che si presumono vessatorie, fino a prova contraria le clausole che hanno ad oggetto o per effetto, di:
a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista;
b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
c) escludere o limitare l'opportunità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest'ultimo;
d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l'esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà;
e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versato dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o recedere da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere;
108
Sono in realtà clausole, già, contenute nell’elenco generale alla lett. a), b), l) e presentano minime differenze letterali. La dottrina si è interrogata sul senso da attribuire alle minime differenze letterali e le aveva attribuite a difficoltà di coordinamento. L’uscita del Codice del consumo doveva essere l’occasione giusta per la coordinazione, ciò però non è avvenuto.
Capitolo 4 – Il cyberconsumatore telematico e la sua tutela giuridica
61 f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo
nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente di importo manifestamente eccessivo;
g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al