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La disciplina della pubblicità ingannevole come esempio di tutela anche del contraente debole e non solo del consumatore

Cap.5 Dal contratto del consumatore al contratto con asimmetrie di potere contrattuale: tutela del “contraente

5.3 La disciplina della pubblicità ingannevole come esempio di tutela anche del contraente debole e non solo del consumatore

Su mercati così vasti, che superano grazie alle nuove tecnologie i confini geografici, la pubblicità si presenta come il mezzo più veloce e necessario affinché i consumatori riescano ad ottenere le informazioni.

Proprio per questo peso notevole che ha assunto la pubblicità nelle decisioni commerciali del consumatore, il legislatore, sia comunitario che nazionale, ne ha voluto garantire il ruolo positivo, ossia ha voluto promuovere la sua funzione di comunicazione e promozione senza indurre i suoi destinatari in inganno. Questo obiettivo non è di poco conto se si tiene in considerazione che non tutte le aziende, sia esse nazionali che internazionali, utilizzano la pubblicità correttamente. Molte, soprattutto quelle che operano in Internet, puntano sul fatto che il consumatore non ha modo di verificare la veridicità delle informazioni in

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123 essa contenute. Ciò avverrà soltanto quando il consumatore acquisterà il prodotto e quindi sempre troppo tardi.

Il d.lg. 6 settembre 2005, recante il Codice del consumo, al Titolo III, cerca di porre le basi per far sì che il punto di incontro tra le esigenze degli imprenditori e dei consumatori sia il più equo possibile. Proprio per il raggiungimento di tale obiettivo, il Codice del consumo ha predisposto norme volte ad evitare che la pubblicità sia utilizzata come strumento per far giungere ai destinatari informazioni distorte ed ingannevoli.

Tale normazione in tema di pubblicità era quasi obbligatoria se si considera il forte impatto che ha nel commercio odierno241 e dato che le informazioni sono facilmente plasmabili ai fini anticoncorrenziali o ingannevoli. A causa di ciò quindi, anche in questo ambito, compito del legislatore è quello di tutelare il destinatario della comunicazione commerciale, soggetto che spesso è il più debole in un contesto in cui le imprese operano con mezzi e risorse talmente consistenti da influenzare, e a volte forzare, le sue scelte. Inoltre, in tale volontà del legislatore di voler tutelare tale soggetto, c'è un elemento di forte innovazione, che ritroviamo all'interno del Codice del consumo nella previsione di una figura di consumatore come “qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale242”. Tale definizione ha una portata molto più ampia rispetto alle altre definizioni di consumatore, in quanto amplia la definizione comprendendo anche figure soggettive prima non considerate, come ad esempio il titolare di una ditta individuale, il lavoratore autonomo o il professionista.

Da ciò si nota come il Parere dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato243, espresso in sede di approvazione finale del Codice del consumo sia

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“Gli investimenti pubblicitari netti (tv, radio e stampa), in Italia nel 2005 sono stati pari a circa € 6.130.000.000. Nonostante la leggera flessione rispetto al 2003 (-2,2%.) Superano i € 6 miliardi: quasi € 17 milioni al giorno, oltre € 700.000 all'ora. Cifre che dimostrano come la pubblicità sia un fenomeno molto rilevante in termini economici”. Tesauro, Pubblicità ingannevole e comparativa, 2006, in www.agcm.it

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Art.18 del d. lgs.n°146/2007, che ha modificato alcuni articoli del Codice del consumo.

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Cfr. Parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 10 maggio 2005 n°AS299, in Boll. n°18/2005.

stato accolto solo in parte, ossia nella sola parte relativa alla repressione della pubblicità ingannevole, mentre all'inizio del codice (art.3) è rimasta la definizione limitata alla sola “persona fisica che agisca per scopi estranei all'attività imprenditoriale eventualmente svolta”.

Nel Codice del consumo la figura di consumatore dettata dall'articolo 18 è, quindi fondata su una nozione ampia, in quanto comprende al suo interno sia le persone fisiche che giuridiche, ivi compresi, anche soggetti che agiscono per scopi inerenti la propria attività imprenditoriale o professionale.

I giudici della Corte di Cassazione244 hanno individuato una nuova figura di consumatore, ossia la figura del “consumatore medio”. Tale soggetto è raffigurabile come “un individuo appartenente ad una tipologia culturale astratta e non statica, che si identifica nel destinatario di comunicazioni commerciali come persona mediamente intelligente, accorta ed informata sui prodotti del settore merceologico di appartenenza”. In sostanza, per consumatore medio deve intendersi un “soggetto dotato di un grado d'intelligenza, prudenza e informazione, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto riguardo ad un determinato prodotto245”.

Così, la nozione di consumatore medio avrebbe il compito di comprendere al suo interno quelle categorie di soggetti particolarmente deboli e vulnerabili. Secondo un recente orientamento dottrinale, potrebbe essere possibile una terza qualificazione di consumatore, “comprensiva sia della persona fisica che dei soggetti giuridici che, nella dinamica del ciclo produttivo, si trovano in condizioni di dover fruire di un bene o di un servizio di cui hanno bisogno e, nello stesso tempo possono a loro volta essere anche soggetti che producono o commercializzano i beni e servizi posti a monte della filiera produttiva. Infatti, proprio dall'impostazione del Codice del consumo, di cui al combinato disposto degli articoli 3,5,18 del Codice del consumo, è possibile desumere che il consumatore è sì una persona fisica contrapposta a quella di produttore ma lo è anche la persona giuridica, nel momento in cui ricopre una posizione debole nel

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Cass., sez. I, 28 marzo 2004 n°6080, in Il diritto industriale, n°6/2004, p.12.

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Foglia, “Il concetto di consumatore medio ed il ricorso all'indagine demoscopica”, nota a Cass., sez. I, 28 marzo 2004 n°6080, in Il diritto industriale, n°6/2004, p.65.

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125 momento podromico alla costituzione del rapporto contrattuale o nella fase in cui lo stesso rapporto negoziale sia già instaurato, subendo le conseguenze negative o pregiudizievoli nella propria sfera economica246”.

La pubblicità è parte del gioco commerciale, e non fa nulla di male, però non deve ingannare perché altrimenti viola il principio fondamentale della comunicazione corretta e veritiera, con il rischio di mettere in pratica situazioni anticoncorrenziali247.

Tale argomentazione risulta fondamentale fin dalle prime battute del Codice del consumo tanto che l'art.2 del suddetto Codice sancisce: “sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la disciplina dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni.”

Quindi, si ricomprende tra i diritti fondamentali del consumatore anche quello di un'adeguata informazione ed una corretta pubblicità. Ciò dipende dall'importanza che ha un'informazione precisa ed essenziale per il consumatore nell'esprimere validamente la propria volontà e possa agire in base a ciò che realmente gli interessa. Soltanto in tal modo “si garantirebbe la costruzione di un mercato equo e virtuoso, in cui risultano premiati i prodotti migliori e gli imprenditori più efficienti248".

In generale, la pubblicità può essere definita come ogni forma di messaggio che sia diffusa attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la

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Sebastio, “La pubblicità ingannevole alla luce della nuova normativa del consumo”, in www.esp- eat.net, p.15; cfr. Delli Priscoli, “Consumatore, imprenditore debole e principi di uguaglianza”, in Contr. Impr. Eur., 2003.

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Le scelte dei consumatori potrebbero essere alterate anche attraverso una comparazione sleale fra le imprese. Questo può essere il rischio della pubblicità comparativa, che, se svolta correttamente, rappresenta invece uno strumento informativo fondamentale a disposizione dei consumatori, in quanto accresce la trasparenza del mercato.

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Mele, “La pubblicità corretta e veritiera come baluardo dei consumatori e del mercato”, in Contratti e tutela dei consumatori, op. cit., p.59

costituzione o il trasferimento di diritti e obblighi su di essi oppure la prestazione di opere e di servizi.

Finalità di questo messaggio è quella di influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui. Infatti quando l'azienda decide di mettere un prodotto sul mercato oltre a realizzarlo, affidargli un prezzo e divulgarlo, si preoccupa di conquistare la maggior parte della clientela e per far ciò non utilizza soltanto l'offerta di qualità migliore a prezzi più bassi rispetto alle altre aziende, ma attiva una comunicazione di immagine positiva dei propri prodotti. Sarà proprio per questa positività di immagine che i propri prodotti vengono distinti agli occhi dei consumatori da quelli dei concorrenti.

La prima Nazione ad accorgersi della necessità di proteggere il mercato da situazione anticoncorrenziali e di conseguenza i consumatori da un mercato non equo sono stati gli Stati Uniti d'America249. L'Italia, in realtà, già dagli anni ‘20 capisce che un mezzo comunicativo così importante quale la pubblicità doveva essere dotato di un bagaglio normativo importante.

Le prime norme riguardavano per lo più “il ricorso alla censura preventiva dei messaggi pubblicitari, limitata peraltro ad alcuni settori merceologici. Negli anni successivi alla fine della guerra, nonostante la straordinaria crescita del fenomeno pubblicitario, gli interventi legislativi furono molto scarsi sulla base di norme tuttora vigenti, in ambito civilistico, se si escludono le specifiche norme poste a tutela della regolare formazione della volontà del contraente nel momento della conclusione di un contratto, gli unici ad essere tutelati in via generale erano gli imprenditori, che, in qualità di concorrenti, potevano chiedere l'intervento del giudice contro messaggi pubblicitari che costituissero concorrenza sleale250”. E’ intorno agli anni ’50-‘60 che viene messa in risalto la grande importanza sociale della pubblicità in quanto assunta da molti come rappresentativa di ciò che è corretto, giusto, desiderabile o, quantomeno di ciò che è ricercabile in un dato momento storico. Si scoprì251 che “la pubblicità non influisce solo sul piano

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Tale compito venne affidato ad un organismo amministrativo: la Federal Trade Commission, già dal 1938.

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Tesauro, Pubblicità ingannevole e comparativa,2006, in www.agcm.it p.8.

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127 economico, ma si riflette anche sul piano dei valori, proponendo modelli di vita che ricalcano in tutto e per tutto quello che la classe egemone impone.”

Negli anni ‘60 sorse anche la polemica che ha preso spunto dalla contrapposizione tra pubblicità informativa e persuasiva: l'una diretta a trasmettere al consumatore le informazioni sulla qualità e sul prezzo dei prodotti necessari a consentirgli una scelta libera ed adeguata ai suoi bisogni, fra le sempre più numerose alternative d'acquisto che il mercato offre, l'altra tendente ad influenzare la condotta del consumatore inserendo stimoli irrazionali e subdoli tra gli elementi che ne determinano la scelta.

Peculiare dello spirito dei pubblicitari del tempo fu la frase rivolta loro da Atkinson: “il cervello del compratore è la scacchiera su cui si gioca la partita. Le facoltà del cervello sono i pezzi. Colui che si occupa delle vendite muove e guida queste facoltà così come muoverebbe i pezzi degli scacchi sulla scacchiera. Allo scopo di comprendere il terreno su cui dovete condurre la vostra battaglia, e gli elementi mentali che dovete combattere, persuadere, muovere, spingere e attrarre, è necessario che comprendiate le varie fasi della mente252”.

Sulla base di queste affermazioni, si può ritenere che l'inganno pubblicitario è messo in atto dai pubblicitari proprio per sedurre ed inculcare il messaggio che vogliono trasmettere, sia esso anche non veritiero.

Il primo e il vero forte impulso alla normazione dell'istituto in esame è stato dato dalla Comunità Europea con la direttiva 84/450/CEE253, che stabilisce i principi generali in materia di pubblicità ingannevole ai quali le legislazioni degli Stati membri dovevano uniformarsi. Tale direttiva, inoltre, indicava gli elementi a cui riferirsi per verificare se sussistesse l'ingannevolezza, relativa al prezzo, al prodotto o all'impresa produttrice e lasciava poi agli Stati membri la possibilità di decidere quale dovesse essere l'organo al quale concretamente rivolgersi per ottenere una pronuncia di divieto della pubblicità ingannevole254.

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Vanzetti, “La pubblicità menzognera”, in Riv. di diritto civile, 1964, parte I, p.584

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Tali direttive è stato modificato con l'emanazione nel 1997 della direttiva n° 97/95/CE

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Le formule adottate nei vari Paesi europei sono state diverse: in alcuni la tutela della pubblicità ingannevole è stata affidata al giudice civile, penale o uomini attivo (come il Belgio, Francia, Olanda, Germania); in altri le relative competenze sono state attribuite ad autorità indipendenti, così come è successo in Italia

L’Italia ha recepito questa direttiva attraverso il d.lgs.n°74 del 25 gennaio 1992, in materia pubblicità ingannevole255. Con tale decreto, la tutela della pubblicità ingannevole e illecita è diventata effettiva perché tale normativa consente ai consumatori, i concorrenti, alle associazioni professionali e alle pubbliche amministrazioni di presentare denunce in modo tale da avviare la tutela. Il decreto in questione definisce la pubblicità, come abbiamo anche detto precedentemente, come qualunque forma di messaggio che sia diffuso nell'esercizio di un'attività economica, allo scopo di promuovere la vendita o il trasferimento di beni mobili o immobili oppure la prestazione di opere e servizi. Dall'analisi della definizione notiamo subito che la nozione è talmente ampia che vi ricomprende qualsiasi forma di comunicazione promozionale, a prescindere dai mezzi di diffusione e modalità utilizzati. Quindi potremmo includervi anche quelle forme di pubblicità che, anche se non spingono all'acquisto immediato del prodotto, comunque promuovono l'immagine dell'impresa.

Potremmo affermare che l'inganno pubblicitario assume rilevanza soprattutto nella violazione dei contenuti perché è diretto a forzare la volontà del potenziale acquirente e fargli compiere un'attività economica che se non ingannato non avrebbe compiuto. Ciò è tanto più rilevante tanto più il consumatore é inconsapevole di subire un messaggio pubblicitario. In questo modo il venditore approfitta della sua superiorità rispetto al consumatore, superiorità vista dal punto di vista dello squilibrio strutturale tra chi comunica, aiutato da esperti, e chi riceve personalmente, in condizioni di inferiorità, il contenuto del messaggio. Quindi possiamo asserire che l'ingannevolezza del messaggio pubblicitario assume importanza per un duplice aspetto:

1) risulterà idonea a ledere i consumatori, pregiudicando in questo modo l'interesse pubblico alla veridicità, trasparenza e correttezza della comunicazione pubblicitaria;

2) la comunicazione ingannevole sarà idonea a pregiudicare i concorrenti che subiranno uno svantaggio economico derivante dalla sottrazione di clientela.

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129 Così, l'illecito pubblicitario assume rilievo sia sul versante pubblicistico di tutela dei compratori, sia da un punto di vista privatistico per la tutela dei concorrenti. Alcune norme del d.lg. n°74/92 sono state riprodotte nel Codice del consumo. Infatti, il titolo III del d. lg. n° 206/2005 è dedicato alla "pubblicità ed altre comunicazioni commerciali" ed è diviso in tre capi:

1) Disposizioni generali; 2) Caratteri della pubblicità;

3) Particolari modalità della comunicazione pubblicitaria.

Tale titolo del Codice del consumo ha un ambito applicativo molto più ampio, in quanto si rivolge ad un pubblico vasto. Ciò si evince anche dalla definizione di consumatore in materia di pubblicità e altre comunicazioni commerciali. Infatti, destinatario della pubblicità è “il consumatore o utente, sia esso persona fisica o giuridica a cui sono dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze”. Tale ampiezza definitoria, già segnalata, dipende dalla peculiarità della comunicazione pubblicitaria, in quanto essa è diretta a colpire chiunque ne prenda visione, sia esso un individuo,un ente o una persona giuridica. Questo riferimento alla persona giuridica deriva "dall'adesione ai rilievi espressi dall'Autorità Garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione del 4 maggio 2005. In tale occasione l’AGCM aveva criticato l'originaria versione dell'art.3, comma 1, lett.a), del codice del consumo, che faceva riferimento alla persona fisica alla quale <<sono dirette le comunicazioni commerciali o che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta>>. La ristrettezza della definizione rispetto a quella vigente in materia di pubblicità ingannevole e comparativa -ristrettezza peraltro contrastante con la ratio della normativa in oggetto- induceva l’AGCM ad auspicarne un ampliamento che comprendesse anche le persone giuridiche256”. Infatti, a mio avviso, sarebbe scorretto predisporre una tutela limitata alle sole persone fisiche, perché i messaggi pubblicitari scorretti e ingannevoli sono percepiti non solo dal consumatore, ma da tutti coloro che operano nel mercato, che a causa di ciò perde la sua equità.

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In base alle norme257 del Codice del consumo la pubblicità è ingannevole quando induce o può indurre in errore, pregiudicando il comportamento economico dei consumatori. Quindi possiamo ritenere ingannevole il messaggio che crea delle idee e aspettative sbagliate sul prodotto o servizio offerto. Ciò che va subito rilevato è che non è necessario che la comunicazione pubblicitaria abbia arrecato un danno per essere qualificata come ingannevole. Infatti, è sufficiente che tali contenuti inesatti che il pubblicitario comunica siano potenzialmente in grado di modificare le decisioni dei consumatori.

Dobbiamo però sottolineare che un messaggio ingannevole può nascere sia dall’omissione di informazioni necessarie per valutare in modo completo l'offerta, sia da affermazioni ambigue o false. Quindi, potrebbe verificarsi, che le singole informazioni in realtà sono tutte vere, ma ciò che rende ingannevole il messaggio è il modo in cui esso è costruito, ossia la pubblicità è costruita in modo tale che i consumatori la interpretino in modo errato258.

L’ambito che più di altri si è rivelato un terreno fertile per la diffusione di messaggi ingannevoli è stato quello dei prodotti altamente tecnologici e ciò a causa di una capacità di comprensione del pubblico degli utenti estremamente limitato.

L’art.21 del Codice del consumo sancisce che: “per determinare se la pubblicità sia ingannevole se ne devono considerare tutti gli elementi con riguardo in particolare ai suoi riferimenti:

a) alle caratteristiche dei beni o di servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l'esecuzione, la composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati delle caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni e servizi;

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Artt. 18 e ss del Codice del consumo.

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Un esempio calzante di questa fattispecie è ravvisabile in quelle pubblicità che enfatizzano a grandi lettere la convenienza di un'offerta per poi precisare con diciture quasi invisibili quelle informazioni che di fatto annullano i vantaggi reclamizzati.

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131 b) al prezzo o al modo in cui questo viene calcolato ed alle condizioni alle

quali i beni o i servizi vengono forniti;

c) alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell'operatore pubblicitario, quali l'identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni materiali e relativi all'impresa ed i premi o riconoscimenti”.

Però, le ipotesi più frequenti di intervento per pubblicità ingannevole hanno comunque riguardato la falsità delle caratteristiche dei beni, quando la caratteristica non veritiera abbia avuto peso determinante nella scelta del consumatore.

Un’importante sentenza in questa direzione è quella del Giudice di Pace di Napoli del 2005, che ha ad oggetto il fenomeno delle sigarette light, considerate dai consumatori meno pericolose, in quanto più leggere. In realtà il giudice ha sancito che: “il fumatore che sostituisce le sigarette normali con quelle light nella convinzione che queste ultime facciano meno male o lo aiutino a smettere, va risarcito. L’idea della minore pericolosità del fumo leggero è stata semplicemente il risultato di una pubblicità ingannevole messa in atto dai colossi del tabacco per lanciare il nuovo prodotto sul mercato259”.

Accanto alla fattispecie della pubblicità ingannevole, finora analizzata, ci sono altre forme pubblicitarie definite: pubblicità comparativa e occulta.

La pubblicità comparativa non è in sé dannosa, perché fornisce al consumatore un utile strumento di conoscenza nella scelta dei prodotti. Questo dipende dalle caratteristiche insite nella pubblicità comparativa, ossia dal fatto che i produttori