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La tutela del consumatore nel commercio elettronico. Riflessioni sul significato della distinzione B2C-B2B.

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(1)

ALLA MIA MAMMA …MIA STELLA E AL MIO PAPA’ … MIA GIOIA

(2)

PREFAZIONE 4

CAP. 1 – IL COMMERCIO ELETTRONICO

1.1 DEFINIZIONE 8 1.2 COMMERCIO ELETTRONICO DIRETTO E INDIRETTO 10 1.3 CONTRATTI PER IL COMMERCIO ELETTRONICO E CONTRATTI DEL COMMERCIO ELETTRONICO 12 1.4 DISTINZIONE DEI DUE MODELLI CONTRATTUALI: MODELLO “BUSINESS TO

BUSINESS” E “BUSINESS TO CONSUMER” 13

CAP.2 - I SOGGETTI NEL MODELLO BUSINESS TO CONSUMER

2.1 DAL CONSUMATORE AL CYBERCONSUMATORE 18 2.2 IL PROFESSIONISTA E IL PRESTATORE DEI SEVIZI NELLA SOCIETÀ

DELL’INFORMAZIONE 21

CAP.3 - LA TUTELA DEL CONTRAENTE: DAL CODICE CIVILE AL CODICE DEL CONSUMO, PASSANDO PER LE NORMATIVE

DI SETTORE

3.1 IL LUNGO VIAGGIO VERSO IL CODICE DEL CONSUMO 28 3.2 ANALISI DELLE NOVITÀ NORMATIVE PER UNA RIFLESSIONE SULLA COMPLESSITÀ DEL FENOMENO CONTRATTUALE ON-LINE, IN VISTA DELLA TUTELA DEL

CONSUMATORE. IL CODICE DEL CONSUMO E LA SCELTA DI NON INCLUDERE IL D.LS. 70/2003. 34

CAP.4 – IL CYBERCONSUMATORE TELEMATICO E LA SUA TUTELA GIURIDICA

4.1 PROTEZIONE DEL CONSUMATORE 38 4.2 L’EDUCAZIONE DEL CONSUMATORE 38 4.3 OBBLIGHI DI INFORMAZIONE AI CONSUMATORI E CONSEGUENZE DEL RELATIVO INADEMPIMENTO 44 4.4 LE CLAUSOLE VESSATORIE 52 4.5 APPLICAZIONE DEGLI ART.33 E SS DEL CODICE DEL CONSUMO ALLA DISCIPLINA DEI CONTRATTI ON-LINE 67 4.6 IL DIRITTO DI RECESSO: TERMINI , MODALITÀ ED EFFETTI 70

(3)

3

4.7 PRESUPPOSTI PER L’ESPERIBILITÀ DELL’AZIONE INIBITORIA: ART.37 DEL CODICE DEL CONSUMO 86

CAP.5 - DAL CONTRATTO DEL CONSUMATORE AL CONTRATTO CON ASIMMETRIE DI POTERE

CONTRATTUALE: TUTELA DEL “CONTRAENTE DEBOLE”

5.1 CONSUMATORE E CONTRAENTE DEBOLE 104 5.2 CONTRATTI DEL CONSUMATORE E ASIMMETRIE INFORMATIVE 112

5.3 LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITÀ INGANNEVOLE COME ESEMPIO DI TUTELA ANCHE DEL CONTRAENTE DEBOLE E NON SOLO DEL CONSUMATORE 122

CONCLUSIONI 139

(4)

Prefazione

L'avvento di Internet “con il corredo delle sue tecnologie produce un nuovo disordine informativo, costringendo l'informatica a porsi nuovamente l'obiettivo di dare ordine al caos da essa stessa prodotto. Parallelo a questo percorso tecnologico si sviluppa un nuovo settore giuridico: il diritto dell'informatica o dell'Internet1”.

Questa relazione tra diritto e attività umane sfrutta le innovazioni della scienza creando nuovi mezzi e strumenti per migliorare le condizioni di vita dell'uomo stesso. Solo negli ultimi anni tale dibattito si è fatto più accesso e ciò induce a pensare che sia un problema delle epoche più recenti. Affermando ciò però si cade in errore perché non si pone l'accento sul fatto che il diritto è sempre stato in relazione con la tecnologia. Infatti, in epoche precedenti anche la scrittura rappresentava un'innovazione, che ha perseguito obiettivi fondamentali per il diritto.

Nell'era moderna le tecnologie digitali “i bit, i programmi e i computer in generale non sono più tecnologie di quanto non siano tecnologia la carta e la penna. La nostra civiltà ha interiorizzato la parola e la scrittura al punto da dimenticare che esse sono invenzioni e tecnologie tipiche di un periodo molto piccolo della storia dell'uomo2”.

Una volta acclarato l'indissolubile rapporto tra diritto e tecnologia, è opportuno analizzare come e in che misura l'informatica e la telematica si interfacciano alle regole giuridiche e più in particolare:

1) come si può applicare la tutela del nuovo Codice del consumo sulla protezione del consumatore alla nuova figura di consumatore, ossia il

cyberconsumatore. Tale problematica non è di poco conto se si tiene in

considerazione che il d. lgs. n°70/200, recante le disposizioni sul commercio elettronico, non è stato inserito nel Codice del consumo;

1

Taddei Elmi-Peruginelli, “Dall’informatica giuridica al diritto dell’internet, in Riv. Dir. dell’internet, n°1/2005, p.18.

2

(5)

5 2) assodato che il diritto ha una stretta relazione con le idee di eguaglianza e

imparzialità, è importante capire perché nonostante ciò la normativa comunitaria e dopo quella italiana non abbiano previsto una tutela allargata che contemplasse non solo il consumatore, ma più in generale il contraente debole. Questa problematica si è accentuata maggiormente con la nascita e il forte sviluppo del commercio elettronico in quanto anche il professionista potrebbe trovarsi in una situazione di debolezza dovuta proprio all'utilizzo del computer, come strumento per contrattare. E quindi in merito a ciò sorge una domanda: sarebbe giusto o no estendere la tutela propria del consumatore anche ai professionisti che si trovano ad operare in una situazione di debolezza negoziale?

3) un'ampia parte della disciplina dei contratti del consumatore può e deve essere letta nella prospettiva della eliminazione delle asimmetrie informative. Tale situazione deriverebbe sia dal fatto che una parte si trova ad avere una carenza di informazioni utili per la stesura del contratto, sia dalla possibile mancanza di informazione e conoscenza per l'uso del mezzo utilizzato per la contrattazione, come ad esempio il computer.

Naturalmente, i problemi sollevati dal “ciclone Internet” non possono essere e non sono solo questi. Ulteriori problematiche potrebbero essere:

1) il superamento del supporto cartaceo e la conclusione dei contratti attraverso tecniche di trasmissione telematica a distanza. È necessario, in pratica, verificare se queste nuove tecnologie di trasmissione della volontà siano compatibili con le teorie tradizionali del negozio giuridico;

2) l'uso generalizzato di Internet nelle relazioni commerciali sta incidendo profondamente sulla struttura globale dei mercati, dei servizi e dei prodotti e di conseguenza la natura specifica di un mercato interamente elettronico (digitale) e senza confini (quale è Internet) esige un adeguamento dei

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principi della materia fiscale al fine di garantire l'effettiva applicazione della legge;

3) la legge applicabile alle transazioni commerciali effettuate da soggetti distanti tra loro perché appartenenti a nazioni diverse. All'interno di questa problematica, riveste una sua importanza il problema della giurisdizione competente a conoscere delle eventuali controversie che possono sorgere in relazione alla formazione ed esecuzione dei contratti stipulati via Internet;

4) La tecnologia può cambiare il contenuto delle posizioni giuridiche tutelate. Un chiaro esempio è il caso del diritto alla riservatezza che l'avvento dell'informatica ha trasformato da diritto ad essere lasciati soli a diritto al controllo sul flusso di informazioni che riguardano l'individuo.

Tutte le problematiche fin qui esposte evidenziano come la normativa sulla tutela del consumatore sia necessaria e irrinunciabile. Il Codice del consumo, così, ha il merito di aver fornito una trattazione più omogenea della materia, fornendo un quadro più unitario delle discipline settoriali di matrice comunitaria. È, però, difficilmente condivisibile, come verrà sottolineato nel proseguio della trattazione, la scelta del legislatore di aver lasciato fuori dal testo, che doveva armonizzare la materia in tema di tutela del consumatore, il d.lgs.n° 70/2003 in materia di commercio elettronico.

(7)
(8)

1.1 Definizione

Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito, grazie alla diffusione e all’utilizzo di Internet, a un rapidissimo processo di sviluppo della cosiddetta “società dell’informazione”.

Una delle più importanti innovazioni, che la telematica ha messo a disposizione di tutti, è stata quella del commercio elettronico, ossia la possibilità di acquistare beni e servizi collegandosi on-line.

Il volume economico attuale della Rete è valutato dai più accreditati istituti di rilevazione nell’ordine di miliardi di dollari.

Anche in Italia, seppure il processo sia stato più timido, si è diffusa questa nuova modalità di stipulare contratti. Infatti, nell’ambito di quella che oggi viene definita economia della conoscenza3, ovvero la “New economy”, i contratti

on-line rappresentano il paradigma della globalizzazione e liberalizzazione del

mercato.

Dal punto di vista puramente tecnico, il commercio elettronico è un’attività che comporta lo scambio di beni o servizi fra due parti, svolta utilizzando sistemi automatizzati di trattamento dei dati, integrati con procedure automatiche di scambio delle informazioni4.

La prima definizione giuridica del commercio on-line, si rinviene nella comunicazione del 15 Aprile 1997 della Commissione Europea [COM(97)157]5 che definisce il commercio elettronico come “lo svolgimento di attività commerciali e transazioni per via elettronica… esso comprende attività disparate quali: commercializzazione di merci e servizi per via elettronica; distribuzione

on-line di contenuti digitali; effettuazione per via elettronica di operazioni quali

trasferimenti di fondi… e ancora rapporti bancari, vendite all’asta, marketing e progettazioni”.

3

L’espressione è usata per indicare l’economia, che trova nella convergenza tra informatica, telematica e comunicazione il più potente motore di sviluppo.

4

Adalberto, “La sicurezza nel commercio elettronico”, Roma, 2000.

5

E’ “un’iniziativa europea in materia di commercio elettronico”. Ritroviamo tale definizione pressoché analoga in tutti i documenti programmatici redatti dai veri organismi internazionali.

(9)

Capitolo 1 – Il commercio elettronico

9 In realtà il commercio elettronico non è nato con Internet, ma si è sviluppato con esso6; questo perché le aziende da parecchi anni scambiano dati e stipulano contratti tramite la tecnologia EDI7 su reti proprietarie che consentono l’accesso solo ad alcuni soggetti.

Naturalmente, però, dobbiamo sottolineare che la Rete ha sicuramente agito da catalizzatore nello sviluppo del fenomeno e ha dato la spinta per la sua normazione.

Le caratteristiche proprie del commercio elettronico, quali l’estrema delocalizzazione, la velocità delle transazioni, l’assenza di intermediazioni classiche, la transnazionalità rappresentano per le istituzioni nazionali ed internazionali coinvolte da questo fenomeno, un campo d’azione decisamente nuovo ed inesplorato.

Proprio a causa di questa eterogeneità di contenuti appare difficile trovare una definizione esaustiva. Questo è dovuto anche al fatto che una definizione troppo particolareggiata e non flessibile potrebbe essere controproducente e restrittiva in un campo che si evolve così velocemente.

La scelta migliore, forse, sarebbe quella di fissare i capisaldi e fornire delle esemplificazioni che non siano tassative come quelle contenute nella comunicazione della CE.

Inoltre, il nuovo fenomeno commerciale rischia di invertire l’assetto tradizionale del mercato basato sull’offerta a favore del compratore. Questo perché il consumatore ha la possibilità di agire per primo visitando le diverse offerte a livello globale, di confrontarle e di decidere cosa comprare o addirittura, grazie a portali e software specializzati, di domandare in Rete la migliore offerta di un certo tipo di prodotto entro un dato termine, ad un certo prezzo.

Possiamo dire così, che la Rete si sta rapidamente trasformando e specializzando, spezzettandosi in una molteplicità di segmenti destinati a soddisfare un interesse individuale e determinato.

6

Altre forme di commercio elettronico possono essere riscontrate nelle televendite,videotel ecc…

7

Electronic Data Interchange- Reti specializzate e chiuse che offrono una grande sicurezza di trasmissione dei dati. Ciò consiste in uno scambio automatizzato di messaggi, standardizzati e convenzionali tra applicazioni informatiche, tramite l’elaborazione a distanza delle informazioni.

(10)

Quindi possiamo definire Internet come un vero e proprio luogo virtuale economico dove domanda e offerta si incontrano liberamente.

Detto ciò, dobbiamo sottolineare che il commercio elettronico dovrebbe portare ad una maggiore integrazione e trasparenza dei mercati, da conseguire attraverso la riduzione di asimmetrie informative.

Infatti, in un mercato ancora non del tutto regolamentato, ma che appare come una sorta di “spazio senza legge”8 appare necessario avere una maggiore certezza per quel che riguarda i venditori e le loro pratiche commerciali e una più efficace regolamentazione per la tutela del consumatore.

1.2 Commercio elettronico diretto e indiretto

Dal punto di vista della “filiera” commerciale, il commercio elettronico può riguardare tutte le fasi e le transazioni di tipo informativo, documentale, contrattuale fino alla regolazione finanziaria del rapporto e può comprendere o meno la consegna fisica dei beni materiali.

A seconda, quindi, che si ricomprenda o meno la consegna, si distingue tra commercio elettronico diretto e indiretto.

Si parla di commercio elettronico indiretto se la vendita avviene tramite un catalogo elettronico o un’asta elettronica e i beni vengono consegnati materialmente al compratore. Oggetto di questo tipo di contratto possono essere sia beni materiali che immateriali suscettibili di essere spediti per via elettronica. Se invece si prevede anche la consegna on-line di beni e servizi immateriali, parleremo di commercio elettronico diretto. Il prodotto oggetto del contratto è di tipo immateriale (ad esempio software, prodotti di editoria elettronica, video,

8

(11)

Capitolo 1 – Il commercio elettronico

11 servizi informatici ecc…) e viene trasferito per via elettronica mediante

download9.

Appena il cliente ha effettuato l’acquisto e il pagamento, può scaricare il prodotto codificato, che decodificherà con una password di sblocco datagli dal venditore. Nel commercio elettronico diretto, così, sfruttando le potenzialità della Rete, si riusciranno ad evitare alcuni costi accessori, quali spese di trasporto e tutti i costi correlati.

Questa distinzione tra commercio elettronico diretto e indiretto influisce sia sulla qualificazione dell’attività ai fini fiscali, sia sui criteri di individuazione della territorialità ai fini dell’applicazione IVA.

Il commercio elettronico indiretto si considera come una forma di vendita a distanza e pertanto rimangono valide le norme fiscali e doganali applicabili alle vendite commerciali normali. Tali normative consistono nella detassazione dei beni in uscita dal territorio dello Stato e nella tassazione di quelli in entrata. Per quanto riguarda il commercio elettronico diretto, questo è equiparato ai servizi soggetti ad imposizione nel luogo in cui vengono utilizzati.

Il d.lgs.273 del 200310 introduce un criterio di applicazione IVA, secondo cui i servizi prestati tramite mezzi elettronici sono assoggettati ad imposizione nel luogo in cui è ubicato il beneficiario del servizio.

E’ bene tener presente che sono soggetti a tassazione, nell’Unione Europa, i servizi on-line a pagamento resi da operatori extra-comunitari a privati consumatori comunitari. Invece non sono tassati quelli resi da operatori comunitari a privati consumatori extra-comunitari.

La difficoltà di applicare i tributi nazionali al commercio elettronico, ha fornito lo spunto per proposte alternative. Ci si aspetta, infatti, che le politiche fiscali del nuovo secolo vengano riformulate, perfezionate e adattate alle esigenze del mercato globale attraverso la cooperazione e gli accordi internazionali. Tutto ciò, però, non in nome delle nuove tecnologie, ma in considerazione della necessità di disporre di un sistema fiscale universalmente valido.

9

Processo che permette di scaricare i files da Internet.

10

(12)

1.3 Contratti per il commercio elettronico e contratti del

commercio elettronico

Una ulteriore distinzione all’interno del commercio elettronico riguarda la differenza tra contratti del commercio elettronico e contratti per il commercio elettronico.

I primi sono i contratti telematici, che si differenziano dal contratto tradizionalmente inteso11 solo per le modalità informatiche adottate in tutto l’iter che porta all’accordo. La sua ammissibilità nel nostro ordinamento è sancita dall’art.1322 cod. civ.12. Tale articolo lascia ampia libertà di contenuti alle parti, che possono concludere contratti che non sono oggetto di una disciplina particolare, purchè questi siano volti a realizzare interessi ritenuti meritevoli di tutela nel nostro ordinamento giuridico.

I contratti per il commercio elettronico, invece, possono essere utilizzati per trattare in via telematica i propri affari. Un esempio di tale tipo di contratto è ravvisabile nell’outsourcing informatico.

Il termine outsourcing deriva da una prassi sviluppatasi e consolidatasi negli Stati Uniti fin dagli anni ‘50, perché si sentiva l’esigenza di maggiore flessibilità delle aziende nel condurre gli affari. Proprio per ciò, infatti, identifica il fenomeno secondo cui alcune aziende, magari inerenti allo stesso core business, trasferiscono a soggetti esterni le proprie attività.

L’outsorcing informatico è stato definito come: “la delega ad un fornitore esterno, attraverso un contratto, di tutte le risorse tecnologiche, le risorse umane e le responsabilità di gestione (o di parte di esse), associate alla fornitura di servizi di information technology13”.

11

Disciplinato dall’art.1321 cod. civ.: “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.”

12

Tale articolo afferma: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative”.

13

Questa espressione risulta magari un po’ estrema, dato che è sì possibile esternalizzare attività aziendali, ma sicuramente non tutte. Infatti non possono essere esternalizzate quelle che rappresentano il cuore principale dell’attività aziendale, mentre possono esserlo le altre, che partecipano e contribuiscono a sviluppare il core business. Ciò naturalmente dipende dalle strategie che l’azienda decide di mettere in atto per contenere i costi e per ampliare la produzione.

(13)

Capitolo 1 – Il commercio elettronico

13 Tale metodo è stato scelto sicuramente per l’importanza che hanno nel settore informatico la ricerca e l’aggiornamento.

1.4 Distinzione dei due modelli contrattuali: modello “business to

business” e “business to consumer”

Dal punto di vista soggettivo, il commercio elettronico può coinvolgere diverse categorie di utenti: consumatori, aziende, imprenditori e pubblica amministrazione.

In merito a questa varietà di soggetti, è possibile distinguere diverse forme di commercio elettronico:

1- Business to business- Tale modello presuppone un’attività di scambio di beni e servizi tra imprese, che sfruttano la Rete per ottenere nuove opportunità di business. In questo modo le imprese sono in grado di essere sul mercato 24 ore su 24, e inoltre possono risparmiare fortemente sui costi di distribuzione, di pubblicazione della documentazione tecnica dei prodotti e anche sulla pubblicità, in quanto la Rete consente di raggiungere tutto il mondo a costi irrisori. Attualmente è la forma di commercio elettronico più utilizzata; il volume di affari è largamente superiore a quello del business to consumer. In realtà, le due forme di commercio elettronico -b2b e b2c- dal punto di vista tecnico non presentano grandi differenze. Infatti in tutte e due, il contratto viene concluso per via telematica mediante una serie di “click” effettuati all’interno del negozio virtuale, con i quali chi effettua l’acquisto sceglie il prodotto. Dal punto di vista pratico, le transazioni business to business, avvengono mediante l’attribuzione, da parte dell’impresa “ venditrice”, di un codice identificativo e di una password ad ogni singolo cliente. Quindi è solo con l’utilizzo del codice e della password personali, che l’impresa

(14)

cliente può entrare nel “negozio virtuale” dell’impresa venditrice14. L’utilizzo della password ha come obiettivo sia di capire chi ha effettivamente effettuato l’ordine, sia di risolvere un problema di riservatezza15. Questa fortissima esigenza di sicurezza e di certezza riguardo alla provenienza dell’ordine è sicuramente dettata dall’ingente valore delle transazioni effettuate. Tale metodo identificativo dell’impresa cliente è alla base di uno dei problemi giuridici peculiari del commercio elettronico, ovvero la mancanza della sottoscrizione degli ordini con i quali un’impresa acquista da un’altra beni o servizi16. Infatti nel commercio elettronico non abbiamo la certezza sulla paternità dell’ordine e questo perché la transazione avviene mediante l’invio di una serie di impulsi elettronici, senza sottoscrizione e senza valore di prova legale. Se, infatti, facciamo riferimento alla scrittura privata tradizionale, osserviamo che il supporto cartaceo e la sottoscrizione del documento tradizionale garantiscono: l’integrità del documento, l’immodificabilità, la conoscenza della dichiarazione e la paternità della dichiarazione.

Questo grave problema è stato superato dal nostro legislatore con l’introduzione nell’ordinamento giuridico della disciplina della firma digitale17. La legge attribuisce al documento al quale sia stata apposta la firma digitale, lo stesso valore probatorio18 di un normale documento redatto in forma scritta e regolarmente sottoscritto che sarà caratterizzato dal requisito della “non ripudiabilità”: in altre parole, viene creata, ope

legis, una presunzione non superabile da prova contraria.

14

Sull’argomento v. E. Tosi, Problemi giuridici di internet, Milano, 2003, pagg. 49 e ss.

15

L’impresa che offre on-line i propri prodotti, ha delle esigenze di riservatezza, dovute a politiche commerciali selettive. Infatti un’impresa può avere una politica dei prezzi differenziata per ogni cliente.

16

Questa attività di scambio può essere condotta dalle imprese fornitrici ed acquirenti, in modo diretto, tramite i siti aziendali privati o indirettamente tramite l’ausilio di particolari intermediari che facilitano l’incontro tra le imprese stesse.

17

La definizione della firma digitale la ritroviamo nel d. lgs. n° 82/2005 -Codice dell’amministrazione digitale- La firma digitale è un particolare tipo di firma elettronica qualificata, basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente di rendere manifesta e di verificare la provenienza ed integrità di un documento informatico.

18

L’art.2702 cod. civ. rubricato “Efficacia della scrittura privata”, recita: La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritto, se colui contro

(15)

Capitolo 1 – Il commercio elettronico

15 2- Business to consumer- Tale forma di commercio elettronico è

rappresentata dalla gestione delle transazioni informatiche e commerciali tra imprese e consumatori finali. Questa attività rappresenta la naturale espansione delle attività di tipo b2b, e può svilupparsi a diversi livelli di complessità, a partire dalla “semplice” promozione on- line della propria offerta commerciale, alla possibilità data al consumatore di effettuare l’acquisto del prodotto o servizio via Internet, sino ad arrivare alla regolazione on-line del pagamento19. Questo modo di operare permette alle imprese maggiormente permeabili alle innovazioni e agli stimoli del mercato di sfruttare strategie “one to one marketing” servendo, tuttavia, mercati di massa. Sicuramente, nel b2c, un’importante scelta aziendale è quella di offrire un supporto di servizi ed infrastrutture tecniche necessarie a garantire una sicura vendita on-line, vista l’esistenza della preoccupazione e diffidenza dell’utente finale circa la sicurezza dei pagamenti. Inoltre a differenza del b2b dove le problematiche del negozio giuridico sono incentrate sulle identità e solvibilità dei contraenti, nel caso in cui la transazione riguardi, invece, il consumatore, occorrerà tutelare tale soggetto più debole dagli eventuali rischi cui va incontro.

3- Public agencies to business e Public agencies to consumer- In questo modello, in realtà, la Pubblica Amministrazione non vende nulla al cittadino o all’impresa. Essa utilizza la tecnologia del commercio elettronico per fornire servizi a pagamento. Attraverso la Rete è possibile, ad es., gestire gli appalti pubblici o consentire al cittadino di adempiere agli obblighi fiscali20.

4- Consumer to consumer. Questa è sicuramente la forma più recente di commercio elettronico tra consumatori finali, resa possibile dallo sviluppo sulla Rete di siti che organizzano aste on-line per diverse categorie il quale la scrittura è prodotta né riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.

19

Sostanzialmente viene riprodotta in modo virtuale l’attività normalmente compiuta dall’operatore economico nel commercio tradizionale.

20

Ad esempio, attraverso il servizio Uniconline, i contribuenti possono sia compilare la dichiarazione dei redditi, che pagare le relative imposte. E’ sufficiente chiedere un pin e scaricare dal sito internet del Ministero delle Finanze l’apposito software.

(16)

merceologiche di beni, che gli utenti possono scambiarsi. Il sito organizza l’asta, fissando sia le modalità di funzionamento, sia lo spazio dove si svolgerà la transazione commerciale tra i consumatori. Tali consumatori potranno interagire tra loro e definire le modalità di pagamento e di consegna dei beni acquistati.

A conclusione di ciò, le problematiche che dobbiamo prendere in considerazione riguardano il fatto:

1) se il modello business to consumer può essere assoggettato alla disciplina di tutela del consumatore elettronico, che assume comunque la veste di consumatore;

2) se, pur essendo assoggettati al modello business to business, anche gli artigiani, le piccole imprese e gli enti no profit, nel momento in cui si trovano ad essere contraenti deboli in un rapporto contrattuale, possono usufruire della tutela del consumatore.

(17)
(18)

2.1 Dal consumatore al cyberconsumatore

Inevitabile punto di partenza di una trattazione che riguarda il consumatore è la presa d’atto che, l’avvenuto passaggio da una società caratterizzata da un ruolo preponderante dell’apparato produttivo ad una in cui la fase distributiva assume una sua decisa connotazione, ha reso il consumatore soggetto debole da dover tutelare.

E’ cosa risaputa che nella nostra Carta costituzionale non si parla dei consumatori. Del resto, anche il codice civile ha risentito di questa impostazione. Infatti, fino all’emanazione della legge italiana antitrust21, il mercato ha costituito autonomo oggetto di tutela. I consumatori erano, così, soggetti ad una tutela di “secondo livello” rispetto agli interessi degli imprenditori che erano fortemente regolamentati.

E’ negli anni ’70 che il Parlamento europeo avvia un dibattito sull’esigenza di una politica di efficace protezione del consumatore. Infatti, nella Carta europea per la protezione dei consumatori, approvata dall’assemblea consultiva d’Europa con la Risoluzione n. 543/1973, il consumatore veniva definito come “ogni persona… alla quale siano venduti beni o forniti servizi per uso privato”.

E’ solo di due anni più tardi (1975) la stesura del “Programma preliminare della CEE per una politica di protezione e di informazione del consumatore22”. Qui il consumatore viene considerato, a prescindere dall’essere “controparte (anche indiretta) dell’impresa”, quale fruitore dei benefici derivanti dalla concorrenza e dal mercato, in un’ottica più ampia che non lo vede più solo nella sua veste di usuale “compratore e utilizzatore di beni e servizi per il proprio uso personale, familiare o collettivo”, ma anche “come individuo interessato ai vari aspetti della vita sociale che possono, direttamente o indirettamente, danneggiarlo come consumatore”.

21

Legge n° 287/1990

22

Sono state individuate cinque categorie di diritti fondamentali del consumatore in quanto tale: 1) diritto alla protezione della salute e della sicurezza

2) diritto alla tutela degli interessi economici 3) diritto al risarcimento dei danni

(19)

Capitolo 2 – I soggetti nel modello business to consumer

19 L’inserimento della nozione di consumatore nel Codice civile avviene solo nel 199623 con la legge n. 52, con la quale viene inserito, dopo l’art.1469 c. c., un capo24 recante la disciplina dei contratti del consumatore. Così l’art.1469-bis c. c., dopo aver stabilito il campo di applicazione della disciplina25, attribuisce, in conformità al testo della direttiva (93/13/CEE) la qualità di consumatore alla “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. Dalla lettura di tale articolo, non vi sono dubbi sul fatto che tale norma va applicata solo alle persone fisiche, che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale. Tale definizione ha acceso lunghi dibattiti circa il suo carattere discriminante dovuto alla scelta di non estendere il suo raggio applicativo anche agli artigiani, alle piccole imprese e agli enti no profit.

Secondo parte della dottrina, la disciplina a tutela del consumatore troverebbe il suo fondamento nell’appartenenza di questi soggetti ad una specifica categoria o

status, quella, appunto di consumatore, che sarebbe caratterizzata da una

intrinseca debolezza26.

Secondo un’altra autorevole dottrina, invece, la prassi negoziale e commerciale non consentirebbe di individuare in modo rigido tale categoria, e non potrebbe, pertanto, parlarsi genericamente di alcuno status di consumatore. All’interno della nozione di consumatore, infatti, sussisterebbero soggetti estremamente eterogenei per competenza ed esperienza e, dunque, non tutti dotati di analoga debolezza27, che si vorrebbe elevare a comune denominatore della categoria28. Com’è noto, così, la questione di legittimità dell’art.1469-bis cod. civ. era stata posta innanzi alla Corte Costituzionale, nella parte in cui non equipara al consumatore le imprese artigiane e le piccole imprese. La Corte si è pronunciata affermando che “la preferenza nell’accordare particolare protezione a coloro che

5) diritto alla rappresentanza

23

Attuazione della direttiva sulle clausole vessatorie nei contratti.

24

Capo XIV-bis

25

La disciplina riguarda le clausole abusive nei contratti con i consumatori.

26

G.Alpa, Interpretazione del contratto, in Contratto e Impresa, 1987, pagg. 313

27

Ad esempio piccole imprese e imprese artigiane.

28

L.Bigliazzi Geri , Commentario al capo IV-bis del cod.civ. dei contratti del consumatore, in Nuove leggi civili commentate, 1997, pagg. 794 e ss.

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agiscono in modo occasionale, saltuario e non professionale, si dimostra non irragionevole allorchè si consideri che la finalità della norma è proprio quella di tutelare i soggetti che sono presumibilmente privi della necessaria competenza per negoziare; da qui la logica conseguenza dell’esclusione dalla disciplina in esame di categorie di soggetti, che proprio per l’attività svolta hanno cognizioni idonee per contrattare su un piano di parità.

Una diversa scelta -conclude la Corte- presupporrebbe logicamente che il piccolo imprenditore e l’artigiano, così come il professionista siano sempre soggetti deboli anche quando contrattano a scopo di lucro in funzione dell’attività imprenditoriale da essi svolta; il che contrasterebbe con lo spirito della direttiva e della conseguente normativa di attuazione”.

Tale problematica non è stata neanche superata con l’ultimo passaggio nell’evoluzione normativa del concetto di consumatore, ovvero l’emanazione del Codice del consumo29. Infatti, nell’ambito di un generale disegno di semplificazione e riassetto normativo, con l’art.7 della legge 29 Luglio 2003 n. 229, il Governo è stato delegato all’emanazione di un d.lgs. contenente una “sistemazione” delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori30. Ciò si è reso indispensabile a causa dei numerosi interventi del legislatore comunitario, che hanno reso non tanto facile la conoscenza della disciplina, quanto la coordinazione tra le norme. Infatti, il Codice del consumo non presenta le caratteristiche proprie di un codice in quanto non è innovativo, non è

29

Emanato con il d. lgs. 206/2005

30

La delega dettava quattro principi per il suo esercizio:

1) adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali e articolazione della stessa allo scopo di armonizzarla e coordinarla, nonché di renderla strumento coordinato per il raggiungimento degli obiettivi di tutela del consumatore previsti in sede internazionale;

2) omogeneizzazione delle procedure relative al diritto di recesso al consumatore nelle diverse tipologie di contratto;

3) conclusione, in materia di contratti a distanza del regime di vigenza transitoria delle disposizioni più favorevoli per i consumatori, previste dalla art.15 del d. lgs. n° 185/1999, e rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite;

4) coordinamento, delle procedure di composizione extragiudiziale delle controversie, dell’intervento delle associazioni per i consumatori, nel rispetto delle raccomandazioni della Commissione delle Comunità europee.

Il primo criterio ha consentito al governo di operare non solo in chiave compilativa dei testi previgenti, ma anche in modo innovativo. Il secondo esprime l’esigenza di eliminare la differenza dei termini del diritto di recesso ex d. lgs. 50/92 (7 gg) ed ex d.lgs. 185/99 (10 gg). Il terzo criterio è alla base della

(21)

Capitolo 2 – I soggetti nel modello business to consumer

21 completo31 e non è sistematico. Non è sistematico in quanto, ad esempio, la stessa nozione di consumatore si presenta diversamente esposta in alcuni articoli del codice. Infatti, la definizione generale di consumatore presentata dall’art.3 si concentra su due elementi: l’esistenza di una “persona fisica” e il fatto che questa “agisca per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. Alcune volte la nozione di consumatore si esplicita in figure soggettive peculiarmente qualificate: ad esempio, l’acquirente di un diritto di godimento immobiliare (art.69 lett. b), l’acquirente o il cessionario di pacchetti turistici (art.83 lett. c). Altre volte si definisce non in ragione della fruizione di beni o servizi, ma in quanto destinatario di determinate iniziative: “la persona fisica alla quale sono dirette informazioni commerciali” (art.5, comma 1°); altre volte ancora, prescindendo addirittura dalla natura di persona fisica: “la persona fisica o giuridica cui sono dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze” (art.18, comma 2°)32.

Nel contesto che si è andati sin qui descrivendo, negli ultimi anni ha fatto prepotentemente irruzione Internet, che si presenta come uno “sconfinato mercato privo di ogni confine territoriale e affollato da milioni di professionisti, commercianti, consumatori ed utenti33”.

Nel nuovo mondo “i mercati cedono il posto alle reti, i venditori e i compratori ai fornitori e agli utenti finali, e il godimento di qualunque bene si può ottenere attraverso l’accesso34”.

Dinanzi a queste profonde modifiche delle tradizionali dinamiche di mercato, appare lecito almeno il sospetto che anche i tratti caratteristici della figura del consumatore e quindi delle dinamiche e dei rapporti tra questi e il professionista debbano essere rivisti e ripensati. Infatti, il consumatore di un tempo (soggetto isolato) è stato progressivamente soppiantato dal Cyberconsumatore, soggetto

regolamentazione del fenomeno delle televendite, mentre il quarto impone un’omogeneizzazione nelle soluzioni extragiudiziali delle controversie, secondo quanto acquisito dalle associazioni dei consumatori.

31

Non è innovativo, perché non fa altro che raccogliere in un unico corpo normativo le varie disposizioni legislative presenti nell’ordinamento e non è completo, in quanto talune situazioni sono ancora

disciplinate fuori da codice.

32

R.Clarizia, La nozione di consumatore, in Diritto dell’internet n° 4/2006 pag. 356

33

G. Scorza, Il diritto dei consumatori e della concorrenza in internet, Padova, 2005.

34

(22)

che secondo indagini di mercato è una persona di cultura medio-alta, con un reddito piuttosto elevato ed una discreta padronanza degli strumenti informatici e telematici, che utilizza la Rete per ricercare informazioni commerciali, per confrontare i prezzi dei beni e servizi, per comparare sotto ogni altro profilo le offerte provenienti dagli imprenditori e dai professionisti35. Possiamo dire che il consumatore elettronico è un soggetto attivo, non aiutato nelle scelte ed interattivo: ciò gli consente di risparmiare molto, saltando tutti gli anelli della catena di intermediari a monte e distributori a valle. La “disintermediazione” tuttavia lo rende più solo: è qui che si rende necessaria ancora una volta la sua tutela prima della conclusione di un contratto ed in generale per la sua stipulazione. Così, possiamo dire, che oggi il consumatore si riscatta “nel World

Wide Web dal ruolo passivo che lo ha sempre caratterizzato, ed è l’impresa che

adesso si adegua alle sue esigenze e che deve passare dal marketing di massa al marketing relazionale, con la consapevolezza che mantenere un cliente costa meno che conquistarne nuovi”.

L’intensità dei mutamenti in atto impone di interrogarsi circa l’attualità delle definizioni e delle nozioni che si sono sin qui esaminate e conseguentemente circa la bontà ed efficacia del panorama normativo cui è affidata la disciplina della materia, panorama che poggia sull’assunto che il consumatore sia sempre e comunque la parte debole del rapporto di consumo. Ciò ha evidenziato problematiche giuridiche specifiche, quali quelle inerenti alla giurisdizione, alla legge applicabile, alla competenza; problematiche che tuttavia trovano soluzione nelle norme consuete di diritto internazionale privato ed in quelle di tutela del consumatore tradizionale. Forse, però, pesano di più le resistenze culturali che incontra il consumatore elettronico in relazione alle difficoltà connesse con l’attivazione di forme di effettiva tutela giurisdizionale del consumatore in paesi lontani: “chi farebbe una causa negli USA o in Cina per un e-book difettoso pagato pochi dollari e consegnato on-line?”. Qui, però, il discorso è un po’

35

G. Scorza , Il consumatore. Questioni definitorie in materia di commercio elettronico, in www.diritto.it/osservatori/telejus/scorza.pdf

(23)

Capitolo 2 – I soggetti nel modello business to consumer

23 diverso e si incentra da un lato sulle forme di tutela preventive del consumatore e dall’altro sulle forme alternative di risoluzione delle controversie36.

Per quanto riguarda il primo aspetto, i siti consentono di conoscere il venditore meglio di come si possa fare off-line; infatti viene pubblicizzato il feedback dei professionisti e si può conoscere in ogni momento come la collettività dei consumatori valuti il venditore sulla base delle precedenti transazioni.

2.2 Il professionista e il prestatore dei sevizi nella società

dell’informazione

Alla nozione di consumatore si contrappone quella di professionista definito dall’art.3 lett. c) del Codice del consumo come “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale”.

In realtà, il legislatore, nel tentativo di riportare tale norma nel Codice del consumo, ne ha modificato la definizione. La stesura originaria della norma, contenuta all’art.1469-bis, comma 2 cod. civ. definiva il professionista come “qualunque soggetto, pubblico o privato, che eserciti un’attività di cessione di beni o prestazione di servizi, non necessariamente finalizzata alla produzione di utili, avvalendosi di un’organizzazione stabile e duratura non occasionale”.

La comparazione tra la prima e la seconda definizione evidenzia l’esistenza di differenze sostanziali da non sottovalutare per comprendere meglio la logica della nuova figura di professionista, trattata dal Codice del consumo. Tali differenze sono fondamentalmente due. In primo luogo, si nota subito che la definizione di professionista del Codice del consumo contiene il duplice

36

Nella prassi commerciale in rete si sono sviluppate forme di ODR (on-line dispute resolution) nell’ambito dei rapporti che sfuggono ai tradizionali rimedi processuali per la necessità di contenere i costi.

(24)

riferimento all’agire del soggetto “nell’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale37”.

Questa doppia semplificazione ha tolto un dubbio interpretativo che si è reiteratamente posto con la precedente definizione contenuta nel codice civile. Ci si domandava, infatti, se potesse essere qualificato come professionista anche un soggetto che operasse esclusivamente in un’ottica di prevalente interesse pubblico e non per percepire un utile. Tale dubbio è venuto meno con l’emanazione del Codice del consumo. Infatti il legislatore ha voluto espressamente sottolineare che il professionista è “sia colui che esercita un’attività imprenditoriale, caratterizzata dal fine primario di produrre reddito, sia colui che svolge un’attività professionale, cioè un’attività di prestazione di servizi e cessione di beni non necessariamente finalizzata alla produzione di utili38”.

Il legislatore europeo, comunque, precisa che anche nella seconda fattispecie enunciata il professionista deve avere un’organizzazione stabile e duratura.

La seconda differenza riguarda, invece, il fatto che il legislatore ha deciso di omettere nella definizione contenuta nel codice del consumo l’inciso relativo alla possibile natura pubblica o privata del professionista. Infatti, mentre la vecchia norma contenuta nell’art.1469-bis sanciva che “il professionista è la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che nel quadro della sua attività…”; la nuova definizione contenuta alla lett. c) dell’art.3 del Codice del consumo prevede che per professionista deve intendersi “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della sua attività…”.

In realtà ancora non si è capito il perché di tale omissione, che del resto non è di poco conto39.

Da ciò gli interpreti sono propensi a dedurre che il legislatore abbia manifestato la sua volontà di restringere la portata della definizione di professionista ai soli

37

Il termine professionale contenuto nella norma, è utilizzato in contrapposizione al termine occasionale, cioè per qualificare un’attività che viene svolta in modo sufficientemente stabile e durevole e con un certo apporto organizzativo.

38

Tribunale Palermo, 3 febbraio 1999, in Giustizia Civile, 2000, I, 241.

39

Tale omissione non trova riscontro nella redazione di accompagnamento allo schema del codice del consumo.

(25)

Capitolo 2 – I soggetti nel modello business to consumer

25 soggetti privati. Tuttavia, come commenta anche la dottrina più accreditata40, si tratta di una conclusione difficilmente condivisibile e contrastante con il rilievo che già prima, con la vecchia norma contenuta nell’art.1469-bis, si era riconosciuta la qualità di professionista agli enti pubblici. Tale tesi era stata accolta anche dal Tribunale di Palermo, con una decisione nella quale si legge: “il legislatore ha inoltre espresso a chiare lettere che anche la persona giuridica pubblica, che per definizione persegue finalità di interesse generale, può svolgere un’attività professionale o addirittura, anche imprenditoriale”41.

La dottrina in esame sostiene che “una simile lettura della scelta del legislatore di sopprimere il predetto riferimento nella definizione di professionista è difficilmente conciliabile con la manifesta intenzione dello stesso legislatore di farsi carico, attraverso il codice, anche di riconoscere ai consumatori e agli utenti di diritto all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità ed efficienza42”.

Infatti nessuna norma del Codice del consumo preclude espressamente la possibilità di considerare professionista un soggetto pubblico, però l’esclusione esplicita di tale riferimento fa giungere a tale conclusione.

Con l’avvento di Internet e la conseguente nascita del commercio elettronico, si è andata sviluppando una nuova figura di professionista, quella del prestatore di servizi nella società dell’informazione.

Nonostante il fatto che l’ingresso nell’era informatica costituisse un dato di fatto, il Codice del consumo ha ritenuto di non definire espressamente il prestatore dei servizi. Il Codice del consumo infatti rimanda la lettura di tale definizione all’art.2 lett. b) del d.lgs. n. 70/2003. Tale decreto non rappresenta altro che l’attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa ad alcuni “aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico”.

L’art.2 del d. lgs.70/2003 sancisce che è prestatore “ la persona fisica o giuridica che presta un servizio nella società dell’informazione”. Tale norma ha una

40

V. nota 33

41

Tribunale Palermo 3 Febbraio1999, in Giustizia Civile, 2000, I, 241.

42

(26)

portata molto più ampia della nozione di professionista sinora esaminata. Infatti non è individuato il campo entro cui il prestatore dei servizi è confinato. Quindi dalla norma sembra che il professionista possa essere rappresentato indistintamente da un soggetto che svolge un’attività sia in ambito professionale che imprenditoriale, sia pubblico che privato.

Secondo la già citata dottrina tale ampiezza definitoria riflette per un verso l’eterogeneità di coloro che svolgono un’attività commerciale in Internet e, per altro verso, la trasversalità delle esigenze di tutela del destinatario dei servizi43.

43

(27)

Cap.3 - La tutela del contraente: dal codice civile al

Codice del consumo, passando per le normative di settore

(28)

3.1 Il lungo viaggio verso il Codice del consumo

Come accennato nei precedenti paragrafi, possiamo affermare che il sistema giuridico vigente è soggetto a trasformazioni che oggi giorno sono più frequenti e veloci del passato a causa del progresso tecnologico.

Il settore che più di altri è ed è stato soggetto a mutamenti è quello dei contratti. In quest’ambito i cambiamenti si sono avvertiti già dagli anni ’80 per il forte impulso della Comunità Europea, perché le innovazioni giuridiche più profonde derivano proprio dal recepimento nel nostro ordinamento di direttive comunitarie.

L’art.1321 cod. civ. statuisce che “il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale44”. Con riferimento al contratto, il codice civile prevede all’art.1322 il principio dell’autonomia contrattuale: “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative”. Tale potere è riconosciuto in ugual misura ad entrambi i contraenti su un piano di parità45. Il codice civile assicura solo un’uguaglianza formale, che non tiene conto delle disparità sostanziali che potrebbero sussistere tra due contraenti. Il legislatore italiano ha contemplato, quindi, la possibilità che nei contratti tra professionisti e consumatori tale aspetto fosse superato e per far ciò, ha individuato una particolare categoria di contratti, ossia i contratti standard. In questa tecnica di contrattazione non è l’oggetto del contratto ad essere predefinito, ma l’aspetto giuridico di riferimento, ovvero il contenuto normativo46. In pratica il professionista predispone il contenuto del contratto, che poi viene proposto ad ogni singolo cliente. Ciò comporta che con la predeterminazione viene eliminata la fase della trattativa, che per il codice civile precede la determinazione del contratto. Questo modo di agire però pone due problemi:

1) L’asimmetria tra il livello di conoscenza informativa delle parti;

44

Note essenziali del contratto sono: la presenza di almeno due parti e la natura economica degli interessi.

45

Tale affermazione è una conquista dell’epoca delle ideologie liberali nate con l’illuminismo e sviluppatesi con la rivoluzione francese

(29)

Capitolo 3 - La tutela del contraente: dal codice civile al Codice del consumo, passando per le normative di settore

29 2) Il possibile squilibrio delle condizioni contrattuali a favore dell’impresa e

a danno del contraente.

Ciò che deve fare l’impresa è rendere accessibili le condizioni del contratto e dal canto suo il contraente ha l’onere di prenderne conoscenza47. In pratica si vuole arrivare a valorizzare la libertà e l’autonomia contrattuale effettiva che deve portare alla soluzione dei due problemi (ovvero mancanza effettiva della conoscenza del contenuto del contratto e squilibrio delle condizioni).

Ogni contraente deve decidere liberamente e consapevolmente. I fattori che ostacolano la consapevolezza e la libertà della conoscenza sono quattro:

a) situazioni anticoncorrenziali b) asimmetrie informative

c) certe tecniche di contrattazione, come la contrattazione on-line d) tecniche pubblicitarie aggressive e ingannevoli

Questa esigenza di tutela del consumatore, considerato parte debole del rapporto economico, era stata già avvertita dal legislatore del ’42, che però, l’ ha percepita in maniera smorzata; ed inoltre gli strumenti di tutela dettati nel ’42 sono inadeguati, anche se moderni per quegli anni. Il legislatore rivolge la sua attenzione unicamente alle condizioni generali di contratto e ai moduli standard, predisposti unilateralmente da una parte ed imposti in modo indifferenziato a chiunque entri in rapporto con essa. Infatti la finalità del legislatore del ‘42 è quella di assicurare omogeneità alle contrattazioni poste in essere dalle imprese; ciò però ha come conseguenza quella di “elidere” la fase delle trattative con il singolo contraente. In pratica la normativa codicistica è diretta a salvaguardare il corretto esercizio della libertà negoziale e una volta garantito tale obiettivo non si guarda, però, al quid actum tra le parti48. A tutto ciò si somma il fatto che l’onere d’informazione a carico del fornitore di beni o servizi ne risulta quasi nullo e l’atto formale della sottoscrizione basta a far “digerire” anche le clausole più svantaggiose per la controparte49.

46

Ad esempio modalità di consegna o pagamento, responsabilità, accollo dei rischi.

47

E’ sufficiente che fossero conoscibili usando l'ordinaria diligenza.

48

G.Cassano, Condizioni generali di contratto, in Diritto dell’internet, 2007, p. 5.

49

(30)

Alle condizioni generali di contratto50 il Codice civile dedica due disposizioni -gli artt.1341e 134251- che riguardano l’efficacia delle clausole predisposte e gli oneri formali necessari per il loro impiego.

L’art.1341, comma 1, cod. civ., impone al consumatore un onere di conoscenza o di conoscibilità delle condizioni generali di contratto. Infatti dispone che le condizioni generali di contratto sono valide se il contraente le conosceva o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza al momento della conclusione del contratto. Quindi, notiamo subito che non è richiesto un particolare sforzo conoscitivo del contraente, ma un’attenzione normale. Il predisponente, d’altro canto, deve redigere le condizioni generali di contratto in maniera chiara e precisa, adottando un linguaggio che possa essere compreso da tutti gli utenti.

Inoltre, il 2° comma dell’art.in esame rivela, una tutela dell’aderente poco incisiva. Infatti predisponendo che “in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto…”, il legislatore non ne circoscrive l’impiego, né impedisce all’impresa di utilizzarle. Così possiamo affermare che, anzi, garantisce all’impresa la possibilità di introdurre nel contratto clausole di ogni tipo, non negoziabili e non modificabili da parte dell’aderente.

Gli artt. 1342 e 1370 codice civile, che completano il quadro normativo di riferimento, non assumono grande rilevo ed efficacia. La previsione dell’art.1342

50

L’espressione “ condizioni generali di contratto”, di derivazione tedesca (Allgemeine Bedingung), è sicuramente equivoca (come afferma Picardi, Condizioni generali e moduli o formulari: la Cassazione delimita l’ambito di applicazione degli artt.1341 e 1342 cod.civ., in Giustizia Civile, 2000, p.1792). “Mentre è infatti evidente che il termine condizione vada inteso nel senso di clausola e non di condizione in senso tecnico, possono invece sorgere dubbi sul significato da attribuire all’aggettivo “generale”, che dal punto di vista lessicale definisce il genere e non la specie. Dato il contesto è evidente che il genus cui fare riferimento sia una categoria, più o meno ampia, di contratti: potrebbe quindi ritenersi generale quella clausola comune ad una serie di contratti, che può essere inserita in ciascuno di essi. Come è stato osservato, però, la relazione al codice civile è il successivo art.1342 cod. civ., sicuramente collegato al precedente, inducono ad intendere il termine nel senso di uniforme: in quest’ottica la clausola generale è quella destinata ad essere inserita con il medesimo tenore, in una pluralità di contratti, in contrapposizione a quella particolare il cui contenuto varia da contratto a contratto”.

51

A questi articoli si deve poi affiancare la norma individuata dal legislatore come strumento di controllo dei contratti di massa, ossia l’art.1370 codice civile.

(31)

Capitolo 3 - La tutela del contraente: dal codice civile al Codice del consumo, passando per le normative di settore

31 codice civile, sancisce che le clausole aggiuntive52 prevalgono su quelle del modulo o formulario, qualora siano incompatibili. La tutela scarsamente efficace deriva dal fatto che, comunque, queste clausole abusive non possono mai modificare in toto l’assetto regolamentare predisposto dal predisponente, che spesso è un’azienda.

Quanto all’art.1370 codice civile prevede che “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro”. Si tratta in pratica della

interpretatio contra proferentem. Lo scarsissimo uso di questo articolo, per lo più

limitato alle clausole di dubbia interpretazione ne rende insignificante il ruolo di tutela dell’aderente.

Il sistema normativo delineato dal codice civile e sin qui tratteggiato non appare in grado di fornire una risposta alle istanze di tutela promosse dai contraenti deboli. Infatti, la realtà delle contrattazioni economiche rende manifesto uno scenario diverso, in cui il singolo individuo non riesce a porre in discussione la clausola vessatoria. Inoltre, ad aggravare il contesto si pone il fatto che nella maggior parte dei casi il contraente debole non ha alternative nella negoziazione perché i mercati si sviluppano in senso monopolista ed oligopolista, e ciò induce a rendere uniforme l’applicazione di clausole generali vessatorie.

Questo tipo di tutela che presenta il codice, e che ai nostri occhi sembra anacronistica e non efficace, è dovuta al fatto che non si era ancora delineata la figura di consumatore, così come oggi la conosciamo. A tutto ciò, si aggiunge che il nostro codice risente del liberismo ottocentesco, in cui era diffusa l’idea della piena libertà delle parti nel decidere il contenuto del contratto, attraverso l’incontro e la sintesi delle reciproche volontà.

52

Si tratta di clausole che stabiliscono a favore del predisponente limitazioni di responsabilità o facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero che impongano a carico dell’aderente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.

(32)

In tale prospettiva l’intervento del legislatore si rende necessario non solo per un’esigenza di modernità, ma soprattutto come concreta attuazione del principio di uguaglianza sostanziale previsto all’art.353, comma 2, della Costituzione.

E’ solo nel 1993, con la direttiva n.1354, che la CE ha prescritto ai Paesi membri di disciplinare in modo uniforme le clausole abusive. In Italia la direttiva è stata recepita con la legge n. 52 del 1996, che ha inserito nel nostro codice gli artt.1469-bis e ss. In sede di attuazione della direttiva europea si era posto il problema di dove collocare tale disciplina. L’interrogativo più significativo si incentrava sulla collocazione interna55 o esterna al codice. La strada prescelta, com’è noto, è stata l’introduzione nel Codice civile attraverso la novellazione degli artt.1469-bis e ss. Questa scelta non è casuale: questa è una disciplina che riguarda tutti i tipi contrattuali, però ha un ambito un po’ ristretto rispetto alle norme generali sul contratto.

Con il recepimento della direttiva n°13/93 il legislatore italiano ha voluto superare i limiti propri della legislazione del 1942; infatti si mostra consapevole dell’inferiorità del consumatore, soggetto per definizione inesperto, impreparato e mosso dal bisogno.

Dunque scopo di questa normativa è introdurre un controllo delle clausole di tipo sostanziale, sicuramente diverso da quello di carattere prettamente formale

53

Art.3, comma 2: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.”

54

I principi impliciti nella direttiva sono: - il principio della tutela del consumatore

- il principio della differenziazione dei contratti dei consumatori dagli altri di massa e dai contratti individuali

- il principio della buona fede

- il principio dell’equilibrio contrattuale - il principio della trasparenza del contratto

- il principio della “interpretatio contra proferentem” - il principio della conservazione del contratto

- il principio della scelta della legge applicabile meno sfavorevole al consumatore - il principio della tutela collettiva.

55

Questa via, inizialmente indicata dalla proposta Alpa-Bianca prevedeva l’inserimento nel codice civile degli artt.1341-bis/1341-octies (Alpa, Per il recepimento della direttiva comunitaria sui contratti dei consumatori in Contratti, 1994, pag. 113). Questa via è stata anche seguita dalla proposta Berlusconi-Comino presentata alla Camera dei Deputati il 16 Gennaio 1995 con il n°1882, inserita nella legge comunitaria del 1994, ma con uno spostamento della normativa all’interno del codice civile, al libro V prevedendosi l’inserimento degli artt.2062-bis/2062-sexies (De Nova, Le clausole vessatorie. Art.25 l.6/2/96 n°52, Milano, 1996, pag. 66 e ss).

(33)

Capitolo 3 - La tutela del contraente: dal codice civile al Codice del consumo, passando per le normative di settore

33 previsto dagli artt.1341-1342 c.c., che operano nella fase dell’accordo e in una prospettiva procedimentale. Inoltre, la norma collocata strategicamente dopo l’art.1469 c.c., concernente la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, viene a rappresentate un punto di passaggio tra la disciplina dei contratti in generale e quella dei singoli contratti.

Questo corpus normativo ha subito di recente un’ ulteriore modifica attraverso la sua traslazione nel Codice del consumo56 agli artt.33 e ss., permanendo immutato in tutte le sue disposizioni tranne piccole modifiche, ovvero una norma di rinvio contenuta all’art.38 e l’eliminazione delle definizioni di consumatore e professionista, che sono contenute nella parte iniziale del codice stesso.

In realtà, in un primo momento, sembrava che gli art.1469-bis/sexies c.c. non dovessero essere integrati nel Codice del consumo. Questo era dovuto forse al fatto che tale disciplina era riuscita a collocarsi nel corpo del Codice civile, nella sede nevralgica riguardante la disciplina generale del contratto. Così, proprio per non far perdere loro il significato sistematico del loro inserimento nel Codice civile, non comparivano nella prima stesura del Codice del consumo.

Però, lo stralcio degli articoli era quasi obbligatorio nel lavoro di riordino delle norme di tutela del consumatore. Il non inserimento di queste disposizioni avrebbe privato il codice di alcune disposizioni fondamentali in tema di tutela del consumatore, incidendo sull’organicità della disciplina.

56

Introdotti nella parte III “rapporto di consumo” e più precisamente nel titolo I “i contratti del consumatore”.

(34)

3.2 Analisi delle novità normative per una riflessione sulla

complessità del fenomeno contrattuale on-line, in vista della

tutela del consumatore. Il codice del consumo e la scelta di non

includere il d.ls. 70/2003.

Questa trattazione può, anzi deve, trovare applicazione in un contesto più ampio a causa delle nuove dimensioni economiche e istituzionali del mercato.

Le cause principali di queste nuove condizioni economiche sono: 1) la dimensione transnazionale delle imprese;

2) sviluppo dell'uso delle reti telematiche e quindi lo sviluppo

dell’e-commerce, che ha come caratteristiche intrinseche:

- la transnazionalità, legata alla struttura stessa di Internet - la velocità dello scambio

- la non fisicità che rende lo scambio assolutamente privo di ogni forma di contratto, dal momento della negoziazione a quello della conclusione ed esecuzione.

- l’utilizzo dello strumento telematico.

Quindi, l’evolversi dei contesti economici e il consolidarsi di situazioni di disparità sempre più accentuate hanno fatto nascere la consapevolezza che il contratto, molto spesso, sia il frutto non di un incontro di due volontà liberamente operanti, ma dell’imposizione della parte più forte.

Questi aspetti fanno nascere problematiche giuridiche legate alla necessità di tutelare il consumatore, definito contraente debole, all’interno della Rete globale. Infatti, i contratti informatici che si presentano con la tipologia di contratti standard transnazionali - di cui si è parlato prima - non sono frutto di un accordo tra le parti, quanto piuttosto un mezzo attraverso il quale il soggetto più forte vincola il soggetto più debole. Inevitabile conseguenza di ciò è che risulta indispensabile in ogni ordinamento avere strumenti che consentano un controllo sostanziale ed un maggiore equilibrio degli interessi contrapposti. Inoltre nell’ambito dei contratti informatici un aspetto di rilievo è rappresentato dalla carenza di conoscenze tecniche da parte dell’utente e, dunque, dal rischio contrattuale che ne scaturisce. Per tale motivo la difficoltà di accesso alle

(35)

Capitolo 3 - La tutela del contraente: dal codice civile al Codice del consumo, passando per le normative di settore

35 caratteristiche tecniche di un sistema informatico costituisce fonte di squilibrio tra le parti negoziali: “la carenza di informazioni può generare aspettative erronee nell’acquirente, fino a viziarne la formazione della volontà57”.

A questo punto della trattazione ci dobbiamo chiedere quale sia la tutela giuridica da applicare a questa fattispecie.

Per rispondere a questo interrogativo è necessario fare riferimento agli ultimi testi legislativi che riguardano il consumatore e alla disciplina del commercio elettronico. Tali testi sono il Codice del consumo e il d.lgs. n.70/2003.

Come si legge nella relazione illustrativa58 che accompagna il provvedimento di attuazione, la direttiva europea sul commercio elettronico vuole assicurare la libera prestazione di servizi on-line, creando regole uniformi per il commercio elettronico, che è per sua natura senza frontiere.

In particolare, anche in considerazione della incertezza esistente in molti Stati membri sulla disciplina da applicare a tale forma di commercio e alle divergenze esistenti tra le varie legislazioni nazionali, la direttiva si propone di fornire una base comune di regole alla prestazione di servizi della società dell'informazione. Invece il Codice del consumo, come già abbiamo detto, sistema la normativa vigente riguardo alla tutela dei consumatori. Così possiamo affermare che il Codice del consumo aspira a diventare “la legge generale del diritto dei consumatori, di cui le clausole vessatorie sono il momento emblematico59”. Possiamo dire che il Codice del consumo e il d.lgs. 70/2003 si occupano di aspetti diversi e da ciò dipende la scelta, forse, di non includere il secondo nel testo del primo. Come è stato sostenuto in dottrina: “il diritto dei consumatori riguarda la sostanza dell’operazione, mentre il diritto dell’informatica ne definisce la forma60”. Inoltre l’ambito di applicazione del d.lgs. n°70/2003 è molto più ampio rispetto al Codice del consumo, in quanto non si riferisce ai soli consumatori, ma a tutti i contraenti che utilizzano la Rete per le proprie transazioni.

57

Bocchini , Diritto dei consumatori e nuove tecnologie, Torino, 2004, p. 98.

58

Accompagna la notifica dello schema di d.lgs. alla commissione europea effettuata ai sensi della direttiva 98/34/CE con nota 2003 DAR 0029/I del 24 Gennaio 2003.

59

A. Gentili, Il codice del consumo e i rapporti on-line , Rivista Diritto dell’Internet n°6/2005.

60

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