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Maturata l’idea di mettere alle spalle la stagione dei maxiprocessi, il Codice di procedura penale73, entrato in vigore il 24 ottobre

1989, colpì al cuore il sistema inquisitorio, instaurando un rito ispirato a principi di caratura spiccatamente accusatoria.

Una riforma radicale: venendo meno la figura del giudice istruttore, ad a essere fortificato fu il ruolo del pubblico ministero designato a divenire nella fase procedimentale, se pur in assenza di poteri coercitivi, vero e proprio dominus dell’investigazione74;

l’eliminazione della figura del giudice istruttore costituì anche il presupposto per rimodellare il rapporto tra accusa e difesa, ispirato

71 G. FIORELLI, Dinamiche processuali cumulative e compressione delle garanzie difensive in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 668.

72 V. GERACI, Il maxiprocesso alla mafia tra mutazioni criminali e innovazioni giudiziarie, op. cit., p. 42.

73 La delega venne adempiuta dall’allora Ministro delle Giustizia Giuliano Vassalli che, coadiuvato da una commissione ministeriale presieduta da Giandomenico Pisapia diede alla luce il nuovo Codice, emanato con d.p.R. n. 447, del 22 settembre 1988. 74 Sul punto, ampiamente, L. MARAFIOTI, La “metamorfosi” del Pubblico Ministero nel nuovo processo penale, in Giur. it., 1990, IV, p. 116 ss.

al principio di parità; infine, pietra miliare del garantismo accusatorio fu rappresentata da un dibattimento mutato nella sua veste, chiamato costituire, nel contraddittorio delle parti, il cantiere di costruzione e valutazione della prova.

Ora è facilmente osservabile che, un dibattimento ideato per divenire la sede di formazione della prova desta non pochi ostacoli alla celebrazione di processi definibili extralarge. Basti pensare che nel maxi dibattimento di Palermo la sola richiesta, peraltro legittima, di lettura degli atti aveva causato un inceppamento in un contesto, com’è opportuno ricordare, dove la prova si formava nella segretezza dell’istruzione formale. Se così stavano le cose, proiettare questa gigantografia nell’odierna realtà processuale, improntata a un’attiva partecipazione della difesa nella formazione della prova, sarebbe qualcosa di inimmaginabile, o quantomeno, si aggraverebbe vistosamente il funzionamento degli ingranaggi che muovono il giudizio.

L’incompatibilità del giudizio cumulativo di dimensioni considerevoli con il nuovo rito accusatorio era un dato avvertito da legislatore, come ci viene testimoniato dalle direttive nn. 15-16 (contenute nella l. delega 16 febbraio 1987, n. 81), dove il Parlamento, riconoscendo i problemi della connessione ai fini del dibattimento, riposava le proprie speranze nel diverso articolarsi

del collegamento di indagini tra uffici del pubblico ministero, lasciando al legislatore delegato l’individuazione di quegli strumenti tesi ad evitare distorsioni sia relative all’instaurazione di indagini preliminari parallele, sia relative al trasferimento di un’indagine in forza della connessione75.

L’intento di staccare la spina di un mostro processuale ormai in stato comatoso76 si poteva evincere già dalla direttiva n. 1, all’art.

2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, la quale imponeva di informare l’intero giudizio al canone di “massima semplificazione nello svolgimento del processo, con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale”77.

Il legislatore delegato, accompagnato da esigenze riduttive di quel gigantismo conosciuto dal Codice Rocco, si accinse a disegnare un procedimento improntato alla massima semplicità purificandolo da gravami privi di utilità sostanziale, in conformità a quella regola condivisa dalle principali legislazioni straniere che, tendenzialmente, mirano ad avere un autonomo processo per ciascun imputato e titolo di reato78.

75 V. testualmente la Relazione al progetto preliminare, in G.U. n. 250 del 24 ottobre 1988 – serie generale – suppl. ord. n. 2, p. 13.

76 Si veda, A. GALATI, La degenerazione del maxiprocesso, in AA. VV., Il giusto processo, Atti del Convegno, Milano, 1998, p. 136.

77 Vedi, G. FIORELLI, Elefantiasi processuale e consapevolezza accusatoria in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 669.

78 Sul punto, ampiamente, G. LEOENE, Manuale di diritto processuale penale, 1975, p. 182.; L. MARAFIOTI, la separazione dei giudizi penali, Milano, 1990; M.

Andando ad analizzare gli interventi riformatori del legislatore delegato è doveroso partire da quell’istituto da più parti additato come concausa principale delle distorsioni degenerative del processo cumulativo. Il riferimento è diretto all’istituto della connessione, che in precedenza trovava disciplina nell’art. 45 del Codice del 1930, mentre, nell’attuale assetto ordinamentale viene ridisegnato all’art. 12 c.p.p..

Orbene, la direttiva n. 14 contenuta all’art. 2 della l. delega, parlava chiaro: il legislatore era stato chiamato ad intervenire profondamente sull’istituto mediante una “espressa previsione dei relativi casi” ed una “esclusione di qualsiasi forma di discrezionalità nella determinazione del giudice competente”, facendo della connessione un vero criterio attributivo della competenza, al pari di quello stabilito per materia e territorio79.

Se la connessione nel Codice del 1930 riconosceva al giudice, anche con avvallo di una giurisprudenza piuttosto consolidata sul punto, ampi margini di discrezionalità, la direttiva n. 14, dettava criteri tesi a delimitare la discrezione giudiziale, in ossequio ad un rigoroso rispetto del principio di tassatività.

Queste linee-guida vennero fatte trasmigrare dal legislatore

GARAVELLI, Connessione, riunione e separazione, di procedimenti fra vecchio e nuovo codice, Milano, 1989.

delegato nell’art. 12 del Codice attuale, che vide – nella sua formulazione originaria – ridurre le ipotesi di connessione attorno a tre lettere: lett. a) concorso e cooperazione di più persone nel reato o di evento cagionato con condotte indipendenti; lett. b) concorso formale o materiale di reati commessi nella medesima unità di tempo e di luogo; lett. c) disciplinava i soli casi di connessione teleologica, qualora fosse imputata la medesima persona. L’innovazione più grande risiedeva, oltre all’eliminazione del vincolo di occasionalità, nell’aver amputato la c.d. connessione probatoria come prevista dall’art. 45, n. 4 c.p.p. del 1930, che in particolare, a causa della sua estensione interpretativa, era l’origine in sede istruttoria del gigantismo processuale80.

“Alla luce di ciò, unicità del fatto, contingenza locale-temporale ed unità del processo volitivo erano, pertanto, le sole ragioni tali da far presupporre l’indispensabilità del simultaneus processus”81.

La spinta verso un procedimento che doveva conformarsi a canoni di semplificazione e speditezza, non poteva non coinvolgere nell’opera riformatrice istituti come la riunione e la separazione

80 Sulla connessione, Cfr. G. FIORELLI, Elefantiasi processuale e consapevolezza accusatoria in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 670-671.

81 G. FIORELLI, Elefantiasi processuale e consapevolezza accusatoria in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 671.

dei procedimenti, che vennero interpolati pur sempre adempiendo a un tendenziale favor separationis.

La riunione, così come riformata all’art. 17 c.p.p., fu declinata per quei procedimenti pendenti nel medesimo stato e grado, purché non comportasse un pregiudizio alla rapida definizione degli stessi. L’istituto, peraltro, non venne ancorato alle sole ipotesi connexitatis causa, ricomprendo anche il reato continuato e quei vincoli di occasionali e probatori che trovavano operatività nell’abrogata disciplina sulla connessione82. L’assenza del

motivo ostativo, non rendeva il provvedimento del tutto discrezionale, essendo imposto al giudice l’obbligo di trattazione unitaria delle regiudicande, con contestuale obbligo di motivare il provvedimento e riconosciuta facoltà alle parti di sollecitare il controllo circa l’adempimento del potere-dovere83.

In conformità alla medesima ratio venne rimodellata la disciplina della separazione dei processi.

Dalla relazione al progetto preliminare del nuovo Codice traspariva la volontà di circoscrivere il più possibile la discrezionalità del giudice nel “disporre la separazione,

82 Sul punto, si veda ampiamente, G. FIORELLI, Nuovo processo e favor separationis in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 671.

83 In tale senso, G. SPANGHER, Soggetti, in Profili del nuovo codice di procedura penale, a cura di G. CONSO – V. GREVI, Padova, 1996, p. 19.

ampliandone, per quanto possibile, il campo di applicazione in modo da evitare il rischio di maxiprocessi inutili o dannosi dal punto di vista funzionale”84.

L’istituto improntato a esigenze di semplificazione e speditezza processuale, così come ridisegnato all’art. 18 c.p.p., dove vengono individuati quei casi in cui il giudice dispone la separazione dei processi, salo che non ritenga “la riunione assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti”.

Nella nuova disciplina viene tutelato l’interesse dell’imputato ad ottenere una sollecita decisione, qualora l’accertamento della responsabilità dei computati richieda un prolungamento dei tempi processuali, nell’ottica di recuperare celerità processuale senza, tuttavia, sacrificare la ricerca della verità85.

Alcune previsioni hanno come obbiettivo la rottura dell’unitarietà della regiudicanda dibattimentale, in questi termini si pone la lett. a) dell’art. 18 comma 1 c.p.p., che dispone la separazione quando in udienza preliminare, per uno o più dei computati sia possibile pervenire prontamente ad una decisione, appare pensata proprio, sfruttando le potenzialità del rito abbreviato, di evitare un’automatica consequenzialità tra maxi inchieste e maxi

84 Così la Relazione al progetto preliminare, cit., p. 14.

85 Sul punto G. FIORELLI, Nuovo processo e favor separationis in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 672.

dibattimenti; ma anche la lett. e) nel disporre la separazione, quando nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni l’istruzione in dibattimento risulti conclusa mentre nei confronti di altri è necessario il compimento di ulteriori atti che non consentono di pervenire prontamente alla decisione, è anch’essa finalizzata alla frantumazione del cumulo dibattimentale.

In materia di separazione, si potrebbe parlare di un “atto solo tendenzialmente dovuto”86, dato che il verificarsi dei presupposti

delineati dall’articolo di perse non sono sufficienti, vista l’imposizione di una valutazione tesa a bilanciare esigenze di speditezza processuale ed esigenze di accertamento unitario della regiudicanda cumulativa. E quest’ultime esigenze assumono particolare importanza nei “processi di criminalità organizzata, nei quali la complessità delle trame interne ai vincoli associativi sembra imporre inevitabilmente un accertamento unitario dei fatti oggetti del processo”87.

Si tratta di una valutazione alla quale il giudice dovrà dar conto della motivazione del provvedimento “ed è chiaro che dalla

86 In questi termini si esprime la Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., p. 167.

87 G. FIORELLI, Nuovo processo e favor separationis in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 673.

motivazione, pena la nullità del provvedimento, dovranno emergere ragioni che giustificano l’adozione di una decisione razionale”88.

L’art. 18 comma 2, c.p.p., innova, disciplinando una separazione disposta dal giudice, su comune accordo delle parti, purché, sia ritenuta idonea ai fini della speditezza processuale. Tale comma permette l’operatività dell’istituto in tutti quei casi dove la rottura dell’unitarietà della regiunicanda premi esigenze esemplificative e di speditezza, conformemente alla ratio seguita dal legislatore delegante di favorire lo sviluppo autonomo di ciascuna vicenda processuale89.

I due istituti (connessione e separazione), come novellati nella stesura del Codice del 1988, si pongono in una logica rovesciata rispetto alla disciplina abrogata; la separazione, da istituto chiamato ad operare come extrema ratio, per evitare situazioni di impasse, pare sia stato progettato per un costante utilizzo, offrendo al giudice l’arma per mantenere sotto controllo la ragionevolezza dimensionale della regiudicanda, con la possibilità di scomporla con l’unico limite della assoluta necessità di accertamento unitario

88 A. CRISTIANI, Manuale del nuovo processo penale, Torino, 1989, p. 75. 89 In tema, L. MARAFIOTI, La separazione dei giudizi penali, op. cit., p. 330 ss.

dei fatti90.

Nel nuovo rito accusatorio, ridotti i casi di connessione (in particolare con l’eliminazione di quello probatorio) che avrebbero condotto ad una trattazione unitaria delle regiudicande, c’era un forte rischio di perdere quel paradigma di conoscenze intrise tra le fitte trame del crimine organizzato. Premiare esigenze di speditezza e semplificazione avevano imposto un costo al quale il legislatore doveva trovare la giusta soluzione.

La scelta fu in particolare quella di offrire, rafforzando le risorse, una risposta investigativa unitaria all’articolarsi del crimine organizzato, elidendo i previgenti limiti temporali e territoriali91.

Dal punto di vista temporale, gli ordinari diciotto mesi di durata delle indagini preliminari, con l’art. 407 comma 2, c.p.p. vengono affiancati da un termine di due anni, per specifiche ipotesi che ricomprendono anche i processi di criminalità organizzata e il caso di reati per cui sia indispensabile mantenere il collegamento tra uffici del pubblico ministero ai sensi dell’art. 371 c.p.p.92.

Mentre, dal punto di vista territoriale, l’investigazione doveva

90 Sul punto, G. FIORELLI, Nuovo processo e favor separationis in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 674.

91 Espressioni riprese da, G, FIORELLI, Rischi di frammentazione della regiudicanda cumulativa in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 674.

92 In proposito, G. FRIGO, Compatibilità del maxiprocesso con le direttive per il nuovo codice di procedura penale, in Anatomia del maxiprocesso (Atti del convegno), in Difesa pen., 1987, p. 431.

superare le divisioni imposte, su tutto territorio nazionale, dal diverso articolarsi delle attribuzioni dei singoli uffici requirenti. Per evitare questa frammentazione, già nel sistema previgente si era avvertita la necessità di far circolare notizie e informazioni, ma nell’attuale realtà processuale si necessitava di un legame più profondo tra i diversi uffici inquirenti per recuperare quel vulnus derivante da un procedimento improntato a maggior snellezza. Il coordinamento investigativo, così “come ideato durante i lavori preparatori della legge-delega, doveva dar risposta a due distinte esigenze: da un lato, evitare quanto più possibile i maxiprocessi, dall’altro lato, reprimere efficacemente la grande criminalità organizzata”93 “che non può essere considerata semplicemente un

fenomeno temporaneo e contingente”94.

Queste esigenze trovano conferma anche nella relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, dove, testualmente, venne affermato: “posto di fronte al problema della compatibilità tra processo accusatorio, che richiede, proprio perché tutto si costruisce al dibattimento, procedimenti con pochi imputati e con imputazioni assai ben definite, e criminalità organizzata, con molti

93 Così, G, FIORELLI, Rischi di frammentazione della regiudicanda cumulativa in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 674.

94 In questi termini, Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., p. 93.

soggetti operanti, responsabili ciascuno di molti reati spesso commessi in concorso con persone diverse, il legislatore si è attenuto al principio “no ai maxiprocessi , si alle maxi-indagini”

95.

Il legislatore, così, intendeva spostare in sede di indagine l’analisi della complessità della fattispecie associativa, offrendo adeguate risposte all’estensione territoriale del fenomeno criminale, attraverso l’ampliamento delle investigazioni ottenuto per mezzo del coordinamento tra più uffici del pubblico ministero; la maxi inchiesta, così instaurata in sede di indagine, non avrebbe dovuto canalizzarsi di fronte al medesimo giudice del dibattimento, al fine di prevenire quello che si stava cercando di elidere sul piano normativo, che con espressione di immediato impatto può definirsi: “elefantiasi processuale”96.

L’art. 371 c.p.p. (ottemperano alla direttiva n. 16 della legge- delega) ha trasfuso sul piano normativo la volontà del legislatore delegante, rafforzando il collegamento tra uffici del pubblico ministero, assicurando contestualmente “speditezza, economia ed

95 Così, Relazione sul tema della prova processuale con riferimento ai problemi relativi ai processi contro la criminalità organizzata (approvata dalla Commissione nella seduta del 2 ottobre 1991), in Atti parlamentari – X legislatura, Do. 39, p. 25. Sul tema, anche L. VIOLANTE, La formazione della prova nei processi di criminalità organizzata. Relazione della commissione parlamentare antimafia. In Cass. pen., 1992, p. 494.

96 Espressione adottata da, G, FIORELLI, Rischi di frammentazione della regiudicanda cumulativa in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 676.

efficacia delle indagini medesime”97.

È del tutto evidente che il coordinamento tra una pluralità di uffici di procura della Repubblica procedenti, oltre a far circolare un patrimonio ingente e prezioso di informazioni, l’incisività delle indagini, passa dall’estensione territoriale e dalla pluralità di risorse umane impiegate.

Le ipotesi di collegamento delle indagini che imponevano nella formulazione originaria dell’istituto il coordinamento tra gli uffici, i quali dovevano provvedere allo scambio di atti e di informazioni nonché alla comunicazioni delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria, potendo, altresì procedere, congiuntamente, al compimento di specifici atti, erano: 1) la connessione ex art. 12 c.p.p. ( ossia in caso di reato continuato); 2) reati commessi da una pluralità di persone in danno le una dalle altre; 3) quando la prova di un reato o di una sua circostanza incide sulla prova di un reato o di un’altra circostanza ovvero la prova di una pluralità di reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte. Com’è osservabile la c.d. connessione probatoria, espunta dall’istituto della connessione come disciplinato dall’art. 45 del

97 Cfr. G. TURONE, Le “indagini collegate” sui reati di criminalità organizzata, in AA.VV., Il nuovo rito penale. Linee di applicazione, 1989, p. 32 ss.; L. FERRAIOLI, Il coordinamento delle indagini nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata, in Mafia e criminalità organizzata, a cura di F. BRICOLA – V. ZAGREBELSKY, Torino, 1995, p. 429.

Codice abrogato, veniva recuperata in sede di collegamento di indagini, permettendo un ampliamento delle fattispecie di coordinamento che esulano le sole ipotesi di connessione e garantendo incisiva risposta investigativa al dilagante fenomeno territoriale dell’illegalità di massa98.

Se il legislatore delegato nell’art. 371 c.p.p. sperava di trovare la giusta via per contrastare il crimine organizzato, attraverso un’incisiva attività investigativa, non poté che rimanere deluso. La scelta, molto discutibile, di aver lasciato il coordinamento alla mera spontaneità dei singoli procuratori della Repubblica procedenti, e quindi, a “rapporti personali esistenti tra pubblici ministeri”99, contando anche, “l’omissione di alcuna forma di

controllo o di rimedio processuale in caso di inadempienza”100,

palesava l’inefficienza e la disarmonia di un sistema che avrebbe dovuto costituire la “spada di Damocle” nei confronti della tirannia delle organizzazioni criminali.

Un primo intervento riparativo del deficit di coordinamento investigativo, deve essere ricondotto all’introduzione dell’art. 118-

98 Su tutti i punti, Cfr. G, FIORELLI, Rischi di frammentazione della regiudicanda cumulativa in Maxiprocessi e processo “giusto”, op. cit., p. 676.

99 Così, M. M. BARILLARO, Le modifiche al cod. proc. pen. Del 1992 dopo le stragi. La disciplina della connessione dei reati e delle indagini collegate, op. cit., p. 85. 100 Evidenzia questa problematicità codicistica, G. MELILLO, Procedimenti connessi e coordinamento delle indagini in materia di delitti di criminalità organizzata, in Cass. pen., 1999, p. 2415.

bis disp. att. c.p.p.101, diretto a rendere maggiormente stringente,

per reati di particolari gravità individuati dall’art. 407 comma 2, lett. a) (ora anche per reati ex artt. 452-bis, 452-quater, 452-sexies e 452-octies c.p.)102 il coordinamento tra i diversi uffici procedenti.

Al terzo comma dell’articolo, al fine di rendere effettivo il coordinamento, la scelta del legislatore fu quella di individuare il procuratore generale presso la corte di appello come figura di garanzia: quest’ultimo nel caso in cui il coordinamento non era stato promosso o non risultava effettivo, aveva la facoltà di indire riunioni con i procuratori convolti del collegamento investigativo, e nel caso quest’ultimi appartenevano a distretti diversi le riunioni venivano indette, d’intesa tra loro, dai procuratori generali presso le corti di appello interessate. Cornice che trovò il suo punto di congiunzione, nel comma 1-bis art. 372 c.p.p.103, riconoscendo al

procuratore generale un potere di avocazione ( che oggi residua per tali ipotesi delittuose ex artt. 270-bis, 280, 285, 286, 289-bis, 305, 306, 416 nei casi in cui è previsto l’arresto in flagranza e 422 c.p.), qualora si trattava di indagini collegate e non risultava effettivo il coordinamento delle indagini ai sensi dell’art 371,

101 Mediante il d. lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, poi modificato con l. 8 novembre 1991, n. 356.

102 A seguito della l. 22 maggio 2015, n. 68.

103 Introdotto dall’art. 3 del d.l. 9 settembre 1981, n. 292, convertito in l. 8 novembre 1991, n. 356.

comma 1, c.p.p., ne avevano dato esito positivo le riunioni per il coordinamento disposte o promosse dal procuratore generale anche d’intesa con altri procuratori generali interessati104.

Come osservabile, una volta risultato vano il tentativo di sollecitare il coordinamento, mediante riunioni tra i procuratori degli uffici interessati, al procuratore generale presso la corte di appello, residuava il tentativo che si poneva come extrema ratio, di avocare le indagini mediante decreto motivato, “sostituendosi a tutti gli effetti al procuratore della Repubblica avocato”105.

Queste innovazioni legislative fecero sì che a un coordinamento spontaneo tra uffici della pubblica accusa, come delineato, dal tessuto normativo originario del Codice del 1988, si aggiungesse un coordinamento forzoso delimitato a fattispecie delittuose espressamente individuate.

A questo ritocco normativo, ben presto, si aggiungerà un innovativo, e se possiamo dire rivoluzionario modo di coordinamento tra strutture requirenti, ideato originariamente per garantire organizzazione e apporto professionale nel contrasto al

104 L’articolo 372 comma 1-bis c.p.p. è il risultato della novella operata dalla l. n. 8 del 1992, che ha sottratto all’avocazione del procuratore generale le fattispecie rimesse nel potere di avocazione del procuratore nazionale antimafia. Quindi abbiamo una non coincidenza tra fattispecie delittuose per le quali è prevista l’informativa e quelle per le quali è esercitabile l’avocazione, essendo le seconde solo un sottoinsieme delle prime.

105 B. NACAR, Indagini preliminari (avocazioni delle), in Dig. disc. pen., Torino, 2004, agg. II, p. 398. Sull’avocazione cfr., anche, C. MORSELLI, Pubblico ministero, in Dig. disc. pen., X, Torino, 1995, p. 494.

crimine organizzato mafioso. Con il d.l. n. 367 del 20 novembre 1991 (convertito con l. n. 8 del 20 maggio 1992), viene istituito un “terzo modello di coordinamento investigativo, fondato sulla