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Cogliere le opportunità, programmare e diversificare gli strumenti

PARTE III. I DISTRETTI IN AGRICOLTURA VERSO IL 2020

6.4 Cogliere le opportunità, programmare e diversificare gli strumenti

I distretti in agricoltura (ma non solo55) sono un prezioso patrimonio di cultura e di

esperienza economica che caratterizza l’Italia da molti anni. Tuttavia questa

consapevolezza non è ancora abbastanza diffusa, perché il fenomeno è ancora economicamente sfuggente, socialmente poco percepito e perché sul territorio nazionale ha avuto finora una presenza puntiforme e non reticolare.

Partendo da questa considerazione, si dovrebbero accuratamente soppesare le diverse opportunità offerte dalla riforma delle politiche strutturali europee e in particolare del FEASR:

 assimilare i distretti in agricoltura ai GAL diversi da LEADER (par.5.3.1 e 5.4.2) per consentire loro di elaborare e gestire strategie locali multi-fondo. La considerazione che i distretti sono organizzazioni stabili dell’economia locale non può che aumentarne l’affidabilità;

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Molte delle considerazioni qui svolte, considerata la simmetria di principi metodologici adottata da tutti i Fondi strutturali, sono valide per la distrettualità in generale e anche per la maggior parte dei distretti industriali presenti nella maggior parte del territorio italiano. Per gli obiettivi di questo lavoro si evidenziano solo i risultati significativi per la distrettualità in agricoltura.

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 considerare la possibilità di includere i distretti in agricoltura nei benefici previsti per «reti e cluster» (par. 5.4.1). Questo percorso potrebbe incontrare un ostacolo nella previsione che essi debbano essere «di nuova costituzione». La volontà di valorizzare e sostenere il patrimonio della distrettualità italiana dovrebbe dunque essere focalizzato e percepito con tempestività e determinazione;

 inserire i distretti nel contratto di partenariato, consentirebbe di elevare le strategie locali e di inserirle in un quadro strategico e programmatico coerente e coeso: Unione Europea/Stato/Regione/sistema locale.

Cogliere queste nuove opportunità significherebbe mettere i distretti in una situazione del tutto nuova: poter accedere a finanziamenti programmati per il periodo europeo, così da dare stabilità e concretezza alle progettazioni locali.

Proprio quest’aspetto permetterebbe di superare alcuni punti di debolezza evidenziati e consentirebbe di:

 disporre di sistemi di monitoraggio e valutazione comuni e costanti nel medio periodo;

 usufruire dei risultati della valutazione e monitoraggio, che sarebbero per la prima volta disponibili, per migliorare la distrettualità in agricoltura, analogamente a quanto fatto per LEADER;

 creare una rete di distretti all’interno della Rete Rurale Nazionale, così come proposto per la rete PEI, con la finalità di stimolare la cooperazione tra distretti in agricoltura.

Un’ultima considerazione deve essere fatta a proposito di distretti e reti. Come evidenziato (1.4.3, 2.7 e 5.4.1), si tratta di strumenti diversi per metodologia, tempi, modi e spazi di realizzazione, ma entrambi concorrenti alla finalità dell’innovazione. Proprio la conoscenza delle specificità di ciascuno dovrebbe indurre a rendere entrambi questi strumenti disponibili per le imprese, anche nel quadro della programmazione del FEASR.

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7 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Questa ricerca è stata come una lunga corsa a ostacoli, rappresentati dalle diverse trappole terminologiche e interpretative che sono disseminate nel mondo positivo della distrettualità in agricoltura.

Anzitutto ho dovuto definire che cosa siano i distretti in agricoltura.

L’impostazione metodologica che ho adottato, in particolare la scelta di porre il focus solo sui distretti creati ex lege ha consentito di distaccarmi da tutte le problematiche già emerse nel dibattito teorico e di formulare l’ipotesi che il distretto può essere interpretato come metodo.

Attraverso l’analisi delle basi giuridiche sui distretti che derivano dalla legislazione nazionale e comunitaria, ho potuto formulare una definizione generale del distretto come metodo di intervento a livello locale, basato su una dinamica di governance multilivello, che si esplica nella formazione di un partenariato locale che formula una strategia e progetti di innovazione e riqualificazione del sistema produttivo distrettuale e nell’inserimento di tali progetti in livelli di programmazione sovra-ordinati, regionali, statali e comunitari, in applicazione dei principi di sussidiarietà verticale e orizzontale.

Come metodo, il distretto è neutro rispetto ai diversi settori di applicazione.

Attraverso l’esame di questo modello metodologico ho potuto analizzare la specifica funzione della governance, che è la base per il suo funzionamento, e ipotizzare l’esistenza di un effetto distretto, in virtù del quale nel modello distrettuale la competitività delle imprese agricole e la competitività dei territori sono profondamente connesse in una relazione positiva che tende ad aumentare la coesione economica, sociale e territoriale.

Probabilmente proprio questo è il tratto che distingue il distretto dagli altri strumenti e che ne ha determinato la diffusione e l’attualità, considerato che molte Regioni l’hanno disciplinato e che molti territori lo invocano come strumento risolutivo per intraprendere nuovi percorsi di sviluppo. Infatti, la casistica delle diverse tipologie di distretti riconosciuti si apre con un effetto a fisarmonica e mostra che il distretto è il modello utilizzato per rispondere a ben diverse istanze, non solo economiche, ma anche sociali ed etiche.

Questo rende molto affascinante lo studio, ma non aiuta lo studioso che deve superare numerose trappole terminologiche e uscire dalla palude dei mille distinguo per riuscire a individuare, infine, gli elementi strutturali, invarianti e portanti del metodo distrettuale.

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metodo distrettuale sostanzialmente simile, concretamente flessibile e adattabile ai più diversi contesti e tipi di obiettivi, più o meno incentrati sulla competitività dell’impresa o sul sostegno ai territori rurali.

Il secondo risultato della ricerca, allora, consiste nel poter affermare che con l’espressione «distrettualità nell’agricoltura italiana» si indica un fenomeno omogeneo dal punto di vista metodologico.

La questione è tutt’altro che nazionalista, ma può assumere un certo rilievo nel quadro della nuova programmazione della politica di sviluppo rurale, viste le proposte legislative della Commissione sulla base delle quali, nel prossimo anno, saranno varati i nuovi regolamenti comunitari.

La nuova impostazione strategica della politica di bilancio e delle politiche strutturali determina molti punti di discontinuità rispetto al passato e nel cambiare “le regole del gioco” amplia la platea dei soggetti chiamati in causa e ne intensifica le responsabilità.

Alcune nuove misure introdotte dal FEASR, nella loro formulazione propositiva, aprono una finestra sulle nuove possibilità relative ai distretti in agricoltura.

Se sarà possibile superare alcuni intralci interpretativi e definitori, ci saranno opportunità che potranno essere adeguatamente valutate dal governo e dalle Regioni e province autonome, soprattutto nella definizione del contratto di partenariato, che è il nuovo strumento di governance multilivello che lega tutti i soggetti coinvolti, ai vari livelli, e li impegna nei confronti della Commissione al raggiungimento dei risultati programmati, condizione per l’accesso a una parte dei risultati.

Per tale scopo, assume importanza il mettere in rilievo le profonde radici e la diffusione della distrettualità in agricoltura che invece è un fenomeno sfuggente e che (solo in agricoltura) sconta un gap culturale che ne rende incerta la percezione.

Al contrario la distrettualità in agricoltura è stata un fenomeno scuola perché è stato per le Regioni, per le imprese e per molti territori un’occasione di apprendimento collettivo e istituzionale circa la progettazione del proprio sviluppo secondo regole, tempi e modalità di spesa precisi.

Questo fa della maggior parte dei distretti – come della maggior parte dei GAL - soggetti affidabili, di consolidata esperienza, su cui poter imperniare la programmazione delle politiche unionali per il prossimo periodo, potendone a buon diritto rivendicare l’uniformità metodologica.

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respiro, con tempi e risorse certi, potrebbe consentire di superare i diversi punti di debolezza genetici che sono stati rilevati, stimolando la cooperazione territoriale e la formazione di una rete di distretti in agricoltura.

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8 DISTRETTI RURALI E AGROALIMENTARI DI QUALITÀ