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PARTE III. I DISTRETTI IN AGRICOLTURA VERSO IL 2020

8.2 Regione Piemonte

8.2.3 Scheda L R 29/2008

FINALITÀ

La legge del 2008 introduce alcune importanti novità e abroga le due precedenti norme del 1999 e del 2003, dandone la sintesi e l’attualizzazione di un decennio di esperienze sui Distretti rurali e agroalimentari di qualità.

In particolare, si provvede61 a ridefinire tutti i distretti già individuati o costituiti con la normativa precedente, nonché a regolarne ex novo il funzionamento allineandolo ai distretti di nuova individuazione. Le norme transitorie, infine, assicurano la continuità e la coerenza tra quanto in precedenza costituito e avviato e quanto disposto dalla nuova legge.

Rispetto alle norme antecedenti, in particolare rispetto alla legge del 2003, occorre rilevare che la spinta al decentramento amministrativo si è esaurita, infatti, il ruolo delle Province si depotenzia a favore di una istituzionalizzazione delle forme di concertazione, palesate dalla definizione dei Tavoli di concertazione e della loro composizione all’interno

61 Con il disposto delle “Istruzioni attuative per l’applicazione della legge regionale 9 ottobre 2008 n. 29 (ex art.13)” approvate con Deliberazione della Giunta Regionale 28 settembre 2009, n. 56-12247

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della legge stessa (art.10). I Tavoli sono chiamati a interloquire direttamente con l’assessore regionale competente, a denotare una ripresa di ruolo più incisivo da parte della Regione stessa.

La finalità dichiarata della norma (art.1 c.2) è la «programmazione integrata delle politiche rurali, agricole ed agroindustriali, in stretta connessione con i piani dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità», dunque, a dieci anni dalle prime sperimentazioni, la Regione Piemonte riprende con convinzione la strada di integrare la

distrettualità in agricoltura nel quadro della programmazione regionale, con ciò

differenziandosi rispetto alla legge del 2003, la cui finalità (art.1 c.1) era circoscritta a promuovere “il consolidamento e lo sviluppo di sistemi produttivi locali”.

DEFINIZIONE

Con riferimento alla gestione di problematiche locali è, dunque, introdotta ex novo la possibilità di istituire aggregazioni distrettuali temporanee e flessibili, collegate a specifici progetti, che possono eventualmente evolvere verso la formalizzazione del percorso.

La definizione dei Distretti rurali e agroalimentari di qualità è di nuovo identica a quella data dal D. Lgs. 228/2001. Mentre scompare la definizione dei progetti d’innovazione, è invece introdotta la possibilità di istituire “distretti sperimentali” (art.13 c.2, lett.d), che sono definiti come “la possibilità per i soggetti pubblici e privati di proporre, in via sperimentale, aggregazioni distrettuali temporanee e flessibili su economie territoriali non significative a livello regionale, con relative forme e modalità costitutive”, con ciò prefigurando la possibilità di “spingere” l’uso del distretto anche nella gestione di situazioni “locali” e “non significative a livello regionale.”

Tra le novità più interessanti, questa norma introduce la possibilità di assimilare ai distretti agroalimentari di qualità i distretti connotati da produzioni biologiche, nonché quelli no food che, come chiariscono bene le Istruzioni attuative, sono proposti soprattutto per la produzione di energia da fonti rinnovabili, ma è anche prevista la possibilità di costituire come distretti rurali i distretti del legno di interesse locale.

L’introdotta possibilità di costituire distretti rurali nelle aree urbane-rurali che non hanno i caratteri propri della ruralità ma problematiche specifiche ed emergenti, indica una forte volontà di attualizzare questo strumento, pur nell’alveo del D. Lgs. 228/2001.

INDIVIDUAZIONE

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qualità fino al punto di dover modificare la definizione territoriale di quelli già individuati, in quanto «Resta ferma l'individuazione dei territori dei distretti agroalimentari di qualità, definita sulla base della legge regionale 13 ottobre 2003, n. 26 (Istituzione dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità).» (art. 12. c.1).

Quanto ai distretti rurali sono introdotte le seguenti novità rispetto ai requisiti di:

Ruralità e omogeneità del territorio

 È richiesto il possesso di «un'identità storica e paesaggistica omogenea del territorio, determinata anche dalle scelte colturali delle imprese agricole e del patrimonio rurale».

Governance

 Questo requisito è significativamente modificato, prevedendo «l'esistenza di rapporti di tipo collaborativo tra le istituzioni locali, le imprese agricole nonché le imprese di altri settori locali, anche sotto forma di convenzioni” e non più che “le istituzioni locali sono interessate alla realtà distrettuale», essendo mutato il ruolo delle amministrazioni decentrate nel disegno normativo.

LEADER

 L’individuazione dei distretti rurali è rinviata al termine del periodo di programmazione 2007/2013, ribadendo la considerazione che i distretti rurali in Piemonte dovrebbero interessare soprattutto i territori montani e rurali già coinvolti nella programmazione LEADER per il periodo 2007/13.

Per l’individuazione dei distretti agroalimentari di qualità, si segnalano novità rispetto ai seguenti requisiti:

Governance

 La medesima notazione evidenziata rispetto ai distretti rurali, in questo caso assume una particolare connotazione rispetto alla finalità di detti rapporti collaborativi orientati alla finalità di «promuovere lo sviluppo dell'imprenditoria locale e la valorizzazione dei prodotti tipici, biologici e di qualità»(art. 4 c.1 lett.e).

INTRODUZIONE DI NUOVE TIPOLOGIE DI DISTRETTI Aree urbane-rurali

È prevista la possibilità di istituire distretti rurali in aree urbane-rurali, purché siano caratterizzate da agricoltura multifunzionale (art.3 c.2)

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 Le produzioni biologiche assumono una nuova rilevanza rispetto ai distretti agroalimentari di qualità e così «i sistemi produttivi locali nei quali assumono carattere principale la produzione biologica e le attività connesse o le attività finalizzate alla valorizzazione dei prodotti locali ottenuti in conformità alle disposizioni del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007 (relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91), possono costituire distretti agroalimentari di qualità» (art.4 c.2).

Non food

 Si cerca di colmare un bisogno emergente non coperto dalla legislazione nazionale, cioè la necessità di istituire distretti per le produzioni agricole non food, dunque, per rimanere entro la cornice normativa del D. Lgs. 228/2001, è stabilito che «ai distretti agroalimentari di qualità sono assimilati i distretti che producono, lavorano o trasformano prodotti di origine agricola non destinati all'alimentazione umana,

compresi i prodotti assimilabili ai derivati del legno» (art.4 c.3).

 Merita di essere annotata, contrariamente a quanto previsto con la legge antecedente, la previsione di aree distrettuali discontinue in presenza di aree legate da correlazioni culturali, economiche e di sviluppo tali da rendere necessarie programmazioni congiunte, la contiguità territoriale non è elemento essenziale nella definizione dei confini distrettuali, né è causa di esclusione l'appartenenza ad altro distretto (art.5 c.6).

Compatibilità dei distretti già individuati

L’applicazione dei nuovi criteri ai due distretti del vino, già incompatibili con la norma del 2003, impone la loro riunificazione in un unico distretto, la cui definizione territoriale è rinviata alle Istruzioni attuative per individuare ex novo i territori vocati alla produzione vitivinicola e orientati al mercato, sulla base di criteri di specializzazione e concentrazione produttiva, oltre che della presenza di «quel tessuto di relazioni interaziendali e intersettoriali che sempre caratterizza un Distretto». Tale aggiornamento è anche l’occasione per considerare i mutamenti intervenuti in oltre un decennio dalla prima istituzione di questi peculiari distretti.

Competenze

Nell’individuazione dei distretti le Province conservano l’obbligo di garantire la più ampia concertazione.

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La Giunta regionale con questa legge si riserva di nuovo la facoltà di proporre progetti

distrettuali o interdistrettuali di interesse strategico, nel rispetto dei propri strumenti di

programmazione, sentiti i distretti interessati.(Art.9 c 4). Tale annotazione sembra avvalorare l’intenzione di utilizzare in senso strategico e innovativo lo strumento distrettuale.

ORGANIZZAZIONE

Con quest’ultima legge, torna ad assumere un ruolo di attore principale la Regione, in particolare per i compiti attribuiti all’assessore regionale nella fase di formazione del Piano di Distretto e per il suo rapporto diretto con il Tavolo di Distretto.

Il Tavolo di Distretto - la cui composizione può essere variata a giudizio dell’assessore

regionale competente – è disciplinato nella legge regionale (art.10) anziché nelle norme attuative, ed è definito come collegio di consultazione obbligatoria.

Rappresentanza

 Nella nuova definizione di ruoli e funzioni, i distretti rurali e agroalimentari di qualità devono poter essere riconosciuti giuridicamente, così si stabilisce che: «il distretto è costituito in società o in forma associativa, ove necessariamente sono presenti le province, i comuni singoli o associati e le comunità montane interessate, con la partecipazione anche di soggetti privati.» (art.6 c.1). A questo proposito è molto interessante l’approfondita disquisizione condotta nelle Istruzioni attuative, rispetto alla forma giuridica più adeguata per i distretti. Appaiono molto accurate e concrete, in particolare, le considerazioni svolte rispetto alla necessità di costituire un soggetto che non sia troppo oneroso da amministrare né sul piano economico né degli adempimenti amministrativi, che al tempo stesso sia agile da utilizzare per assicurare sia la piena partecipazione e rappresentanza di tutti i soggetti, sia la snellezza dei processi decisionali. Posto che nell’approccio dal basso nessuna forma può essere imposta, dalla disquisizione condotta emerge che la forma associativa senza scopo di lucro possa essere la più confacente per i distretti rurali e agroalimentari di qualità.

 Al legale rappresentante del Distretto compete di assicurare la coerenza nell’attuazione del Piano e di riferire annualmente alla Giunta Regionale dei risultati raggiunti.

Funzionamento

Per il funzionamento del Distretto si conserva l’ormai consolidata procedura di supporto della provincia, che deve garantire la sede del Distretto, mentre il personale può essere comandato sia dalla provincia sia dalla Regione che, come in precedenza, sostiene anche le

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PROGETTAZIONE

Il Piano di distretto

I contenuti del Piano di Distretto (art. 8), ferma restando l’analisi della situazione esistente, devono dare indicazioni: delle politiche agricole e rurali rilevanti per il distretto, per la tutela e la valorizzazione delle produzioni agricole e agroindustriali, delle risorse ambientali e territoriali, del paesaggio agrario e delle tradizioni rurali; dei soggetti attuatori e delle fonti di finanziamento; e, soprattutto, delle sinergie e delle integrazioni con altri strumenti comunitari, nazionali e regionali di intervento. Inoltre, il Piano indica gli strumenti e le strutture da istituire per la propria attuazione e per la valorizzazione complessiva del distretto, quali le strade del vino, stante la necessità di recuperare le funzioni specifiche già attribuite alle strade del vino. Il piano ha validità triennale e può essere aggiornato.

Si deve dunque rilevare che nel superamento della legge del 2003, si perde completamente l’enfasi allora posta sui “progetti d’innovazione” come azioni caratterizzanti il Piano, mentre si introducono gli elementi di integrazione rispetto agli altri strumenti di intervento, che ovviamente sono oggetto della programmazione regionale, con ciò rinforzando la finalità espressa dall’art.1 c.2, sopra richiamata.

Competenze

Nelle procedure di approvazione del Piano (art.9), hanno un ruolo di primo piano i due nuovi soggetti introdotti dalla norma:

 il distretto stesso, cui compete di redigere la proposta di Piano (essendo supportato dagli Enti per le competenze tecniche),

 l’assessore regionale che convoca i Tavoli di distretto, al fine di “garantire un ruolo consultivo alle istituzioni locali e alle rappresentanze economiche e sociali del territorio distrettuale”.

 All’assessore regionale compete anche la redazione del parere di conformità del Piano rispetto “alle politiche dello sviluppo rurale; ai canoni della pianificazione strategica; agli strumenti di programmazione; ai criteri della qualità della spesa.”

 Il Piano, sentita la commissione consiliare competente, è approvato dalla Giunta regionale, che ha la facoltà di rigettarlo in tutto o in parte.

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Finanziamento

Al finanziamento della legge sono destinate somme considerevolmente inferiori rispetto alla legge del 2003, (l’art. 22 c.1 stabilisce un massimale di 45.000,00 euro annui), mentre (art.22c.2) è previsto l’utilizzo di “fonti di finanziamento esistenti ai sensi della normativa comunitaria, statale e regionale operante. Fonti aggiuntive possono essere previste ai sensi dell'articolo 18”, cioè con obbligo di notifica ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato, qualora i finanziamenti siano configurabili quali aiuti di Stato, come scrupolosamente specifica il legislatore piemontese.

MONITORAGGIO

Il ruolo del monitoraggio è ancor più rafforzato. Infatti, oltre alla clausola che impone al rappresentante del Distretto di riferire annualmente alla Giunta Regionale (art.15), è stabilito l’obbligo per la Giunta di riferire al Consiglio regionale dopo il primo triennio, rispetto a precise questioni chiave (art.16):

 quali nuovi distretti sono stati istituiti in applicazione della legge;

 quale forma societaria o associativa caratterizza i singoli distretti istituiti;  la natura delle risorse allocate;

 i benefici ottenuti dall'azione di intervento di programmazione regionale;  eventuali difficoltà verificatesi in sede di applicazione della legge.

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