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PARTE I. LA DISTRETTUALITÀ IN AGRICOLTURA IN ITALIA

2.6 Un modello per obiettivi differenziati

Questo percorso interpretativo della distrettualità in Italia - che prescinde dall’evoluzione dell’approccio politico per concentrarsi invece sulla sostanza di un metodo che rimane il nucleo dei successivi provvedimenti - consente infine di astrarre un modello generale di metodo distrettuale (modello distrettuale), dedotto da quelli sin qui esaminati.

Il modello generale si definisce come metodo di intervento a livello locale, basato su una dinamica di governance multilivello che si esplica: nella formazione di un partenariato locale che formula una strategia e progetti di innovazione e riqualificazione del sistema produttivo distrettuale e nell’inserimento di tali progetti in livelli di programmazione sovra-ordinati, regionali, statali e comunitari, in applicazione dei principi di sussidiarietà verticale e orizzontale.

Su questa base, il modello distrettuale (Fig. 2-5) può essere descritto attraverso il complesso di azioni e relazioni racchiuse nell’interazione tra i diversi attori a livello locale e tra questo livello e quelli sovra-ordinati, al fine della realizzazione della progettualità strategica sviluppata a livello locale.

A livello locale:

 La generica indicazione attori del territorio, deve essere considerata composta da soggetti qualificanti, in particolare per la parte privata, che nei diversi territori distrettuali potranno essere in prevalenza PMI specializzate in un distretto industriale, imprese della pesca in un distretto della pesca, o di una particolare filiera agroalimentare o dell’area rurale nei distretti rurali e agroalimentari di qualità o imprese turistiche nei distretti turistici. Anche la componente pubblica potrà variare in funzione della dimensione e delle caratteristiche del distretto.  Gli attori formano un partenariato locale, che potrà assumere forme anche

diverse dal primigenio consorzio di sviluppo industriale, purché assicuri un’effettiva rappresentanza (anche giuridica) del distretto così da svolgere funzioni rilevanti nell’interesse della realtà distrettuale e fungere da interfaccia con i livelli istituzionali locali e sovra-ordinati.

 Lo sviluppo di una specifica progettazione strategica di distretto deve essere svolto assicurando modalità partecipative e rispettose di tutti i soggetti coinvolti e garantendo la traduzione della strategia in progetti effettivamente perseguibili.

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Fig. 2-5 Il modello generale del metodo distrettuale – Nostra elaborazione

A livello sovra-locale:

 L’interlocutore privilegiato del distretto è certamente la Regione, cui sono demandate funzioni specifiche di individuazione e regolazione del funzionamento dei distretti, e di valutazione delle loro progettualità rispetto agli obiettivi delle politiche regionali al fine del loro inserimento nella programmazione delle politiche regionali, comunitarie e nazionali;

 Gli strumenti e le forme di sostegno alle quali si può ricorrere sono dunque

diversificati e vi sono le condizioni per realizzare un utilizzo coordinato e integrato degli strumenti, delle politiche e dei Fondi, che possono essere

modellati sulla base delle diverse caratteristiche territoriali, sociali ed economiche del territorio distrettuale.

Il modello distrettuale così definito, per i principi che lo ispirano, è coerente con l’approccio locale di tipo partecipativo e basato sulla governance multilivello, che è riproposto per il prossimo periodo di programmazione 2014-2020 (cap. 6) con un’enfasi maggiore che in passato e come scala di intervento rilevante per tutti i fondi strutturali dell’Unione. GOVERNANCE MULTILIVELLO ATTORI DEL TERRITORIO ISTITUZIONI SOVRA-LOCALI REGIONE, STATO, UE PARTENARIATO

LOCALE PROGRAMMAZIONE STRUMENTI DI

DIFFERENZIATI PROCESSI DI GOVERNANCE ORIZZONTALE PROCESSI DI GOVERNANCE VERTICALE FINANZIAMENTO DIFFERENZIATO E MULTI-FONDO PROGETTAZIONE DELLA STRATEGIA DI SVILUPPO LOCALE REALIZZAZIONE DEI PROGETTI E DEGLI OBIETTIVI STRATEGICI

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2.6.1 La funzione della governance

Sul tema della governance nelle aree rurali si è ormai creata un’estesa letteratura, anche se si è sviluppata solo negli anni più recenti, in contraddizione con quanto accaduto in altre scienze sociali (Mantino, 2008, Goodwin, 1998). Questo è certo diventato un tema rilevante in tutti gli approcci relativi alla programmazione e alla gestione integrata e decentrata delle politiche. Per gli scopi e per l’impostazione di questo lavoro, ci limitiamo a citare il Libro bianco della Commissione (2001) che indica i cinque principi basilari per la buona governance - apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza – come elementi costitutivi il «fondamento della democrazia e del principio di legalità negli Stati Membri», benché debbano essere considerati validi per tutti i livelli di governo, da quello globale fino a quello locale. Il documento della Commissione cerca di rispondere alla necessità di contrastare la «sempre minor fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nelle politiche che queste adottano» perché ormai considera che «non è più possibile garantire l’efficacia delle politice dell’Unione senza un maggior coinvolgimento di tutti nella loro elaborazione, applicazione, ed attuazione».

Il Comitato delle Regioni (2009) ha presentato il proprio Libro bianco sulla governance multilivello definendola come «un’azione coordinata dell’Unione, degli Stati Membri e degli enti regionali e locali fondata sul partenariato e volta a definire e attuare le politiche dell’Unione Europea». In particolare, il Comitato delle Regioni osserva che la governance è «sempre più strutturata in reti e privilegia una dinamica di cooperazione orizzontale» e tuttavia occorre collegare queste reti con il livello europeo per contribuire alla riuscita delle politiche. Ciò è possibile perché la governance multilivello promuove la cittadinanza attiva e la democrazia partecipativa. D’altra parte essa è applicabile alle politiche perché la politica ambientale «è servita da laboratorio per alcune pratiche», mentre la politica di coesione ha avuto un effetto leva perchè ha favorito la sinergia a livello europeo tra le priorità strategiche di sviluppo locali, regionali e nazionali. Anche ai fini dell’attuazione dell’obiettivo della coesione territoriale, il Comitato delle Regioni puntualizza che esso si realizza attraverso un approccio integrato e che «deve divenire un’incarnazione della governance multilivello».

La governance multilivello è basilare nella spiegazione del modello distrettuale e si è cercato di darne una raffigurazione grafica. Nella Fig. 2-5 è stata inserita una linea

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tratteggiata per rappresentare la separazione tra i processi di governance che si svolgono a livello locale e le azioni che si svolgono nel quadro dei rapporti con i soggetti sovra- ordinati al fine di inserire la progettualità locale nel quadro della programmazione delle politiche svolta a livello regionale, nazionale ed europeo. Il complessivo processo di governance multilivello nel modello distrettuale è la fondamentale leva per:

 attivare i processi locali, attraverso la concertazione e condivisione dei processi decisionali relativi alla progettazione di futuri obiettivi strategici. In questi termini, ai processi di governance orizzontale locale si realizza uno sviluppo partecipato che riesce a elevare la qualità delle relazioni, il clima di collaborazione e di fiducia degli attori del distretto (aspetti ampiamente indagati in tutta la letteratura sui distretti industriali) per concentrare tutti gli sforzi su obiettivi condivisi.

 inserire la strategia locale nell’insieme coerente di una programmazione di più ampio respiro, raccordando gli obiettivi locali con quelli delle politiche svolte a livello regionale, nazionale e europeo.

In tal modo, le strategie locali escono dal rischio di localismo (Haner, 2009) cui possono troppo facilmente essere relegate, per essere elevate a componente autentica dei processi politici ed economici complessivi.

Sarebbe ottuso e riduttivo considerare il processo di governance verticale funzionale unicamente all’accesso ai finanziamenti necessari ad assicurare la realizzazione dei progetti e degli obiettivi strategici stabiliti.

2.6.2 L’effetto distretto: competitività e coesione territoriale.

Guardando al lato sinistro della Fig. 2-5, il tipo di intervento che si realizza a livello locale è sempre frutto del confronto tra soggetti portatori di interessi diversificati – che si concretizza nella costituzione di un soggetto distrettuale misto - che possono divenire competitivi o convergenti in ragione della coesistenza sul medesimo territorio distrettuale. Il metodo partecipativo e concertativo per la composizione degli interessi assicura il raggiungimento degli obiettivi e la minimizzazione degli effetti di eventuali conflitti.

Questa caratteristica del metodo distrettuale fa sì che, attraverso la realizzazione di interventi strutturali frutto di una progettazione collettiva, si consegua un effetto distretto,

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cioè un risultato congiunto di innalzamento delle condizioni di competitività delle imprese distrettuali, cui consegue un innalzamento delle condizioni di attrattività dell’area distrettuale, anche qualora questo risultato non fosse stato esplicitato come obiettivo strategico.

Viceversa, qualora il progetto strategico di un distretto persegua obiettivi di riqualificazione delle condizioni del territorio (per esempio solo in termini ambientali o di accesso ai servizi essenziali o avanzati), l’effetto distretto farà sì che si ottenga un risultato congiunto in termini di miglioramento delle condizioni di vivibilità e attrattività dell’area, con un innalzamento delle condizioni di competitività anche per le imprese distrettuali.

Tra i due casi estremi, si possono configurare molteplici situazioni distrettuali in cui in una progettualità condivisa siano selezionati obiettivi che richiedono interventi diretti a sostegno delle imprese e obiettivi che richiedono interventi diretti a sostegno della qualità (nella sua accezione più ampia) del territorio distrettuale.

Questa chiosa al metodo distrettuale potrebbe sembrare pleonastica, se non fosse che l’utilizzo dei distretti è stato realizzato nell’ambito di azioni di governo dell’economia e del territorio che, per ragioni unicamente ideologiche, hanno spesso posto in contraddizione – e in competizione rispetto all’assegnazione delle risorse pubbliche - i termini della competitività delle imprese con uno sviluppo che fosse territoriale, rurale o urbano.

Al contrario di quanto troppo facilmente asserito, il metodo distrettuale, realizza interventi strutturali che producono un effetto congiunto che annulla il trade-off tra imprese e territorio e lo qualificano come strumento di coesione territoriale.