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PARTE II. L’APPROCCIO DELLE REGIONI ALLA DISTRETTUALITÀ IN

4.3 Individuazione

I criteri e la metodologia d’individuazione dei distretti tengono conto di numerose variabili che sono sintetizzate nella Tab. 4-1 e si diversificano in rapporto alla definizione giuridica utilizzata. L’esame delle scelte delle Regioni intorno ai requisiti essenziali da utilizzare e sulle modalità stabilite per giungere alla loro individuazione, conduce a interessanti osservazioni circa il rilievo che assume la dimensione territoriale nella distrettualità agricola, rispetto all’approccio utilizzato e dunque sulla funzione assegnata alla governance orizzontale in questo processo.

4.3.1 I requisiti

Nel caso dei distretti industriali (DIND) le modalità di individuazione si limitavano alla verifica della sussistenza di predefiniti parametri statistici (par. 1.2.1), che dopo la L. 140/1999 possono essere integrati dalla Regione con criteri qualitativi per meglio adattarsi a particolari situazioni locali. È questo il caso del Friuli Venezia Giulia, che per il distretto agroalimentare di San Daniele, adatta a quella realtà il parametro della densità imprenditoriale e aggiunge altri requisiti qualitativi come l’omogeneità di filiera e l’equilibrata composizione societaria del soggetto gestore. Con riguardo alla modalità di individuazione, il Friuli Venezia Giulia è classificato discendente, in quanto il percorso di individuazione è condotto solo dalla Regione, senza coinvolgimento o potere d’iniziativa di altri soggetti distrettuali.

Con le definizioni di distretti rurali e agroalimentari di qualità (DRAQ) introdotte dalla Legge di orientamento, le Regioni hanno creato un’ampia casistica di elementi economici, demografici, geografici e sociali atti a identificare e qualificare la natura distrettuale, rurale o agricola o di filiera, dell’istituendo Distretto. È possibile ricondurre tale gruppo a una limitata serie di requisiti costanti (Tab. 4-2), coerenti con l’impostazione della generalità delle norme esaminate:

Occorre precisare che il requisito qui denominato governance, costantemente richiesto da quasi tutte le Regioni, può essere riferito a fasi diverse della formazione del distretto: la preliminare manifestazione d’interesse da parte degli Enti locali dell’area distrettuale, o il preliminare coinvolgimento degli attori locali, privati e istituzionali, all’avvio della costituzione del distretto o del suo soggetto di rappresentanza, o la fase di attuazione del progetto. Nelle specifiche schede di analisi e sinteticamente nella Tab. 4-1 sono

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evidenziati altri requisiti specifici che esulano dai criteri generali. In particolare, nella tabella sono evidenziate con asterisco la Regione Liguria e la Provincia Autonoma di Trento perché individuano un solo distretto e dunque modellano i requisiti su tale specifica realtà, pur in coerenza con i criteri generali qui schematizzati.

Tab. 4-2 Requisiti per l’individuazione dei distretti produttivi e dei distretti rurali e agroalimentari di qualità – Nostra elaborazione su normativa regionale vigente.

Distretti produttivi Distretti agroalimentari di qualità

Distretti rurali

Rilevanza economica del distretto - Ruralità e omogeneità del territorio

- Qualità delle produzioni -

Integrazione di filiera Integrazione di filiera Integrazione multisettoriale - Integrazione con il territorio Integrazione con il territorio

Innovazione Innovazione -

Governance Governance Governance

Sicilia, Puglia e Lombardia, pur non facendo sempre un esplicito riferimento alla

finanziaria 2006 che assimila le diverse tipologie distrettuali, indicano i requisiti per l’individuazione dei distretti produttivi (DISP) nell’ambito di una legge generale, per poi specificare i caratteri dei distretti rurali e agroalimentari di qualità con successivi atti dispositivi, ad opera della Giunta Regionale e in riferimento al D. Lgs. 228/2001. Ciò non accade nel caso del Veneto che disciplina i distretti agroindustriali. I requisiti stabiliti da queste Regioni per l’individuazione dei distretti produttivi sono sostanzialmente identici (Tab. 4-2). Inoltre, in queste leggi regionali, la realizzazione della progettazione strategica come frutto dell’azione di concertazione, è elevata al ruolo di elemento che identifica e definisce il distretto, e conseguentemente è anche requisito necessario per la sua individuazione e per il contestuale riconoscimento del distretto, del suo progetto strategico e, in alcuni casi, del suo finanziamento da parte della Regione.

4.3.2 La diversa rilevanza della dimensione territoriale

La dimensione territoriale è una caratteristica rilevante, ma assume un diverso valore come requisito per l’individuazione dei distretti industriali e distretti produttivi, da un lato, e per i distretti rurali e agroalimentari di qualità, dall’altro.

Per i primi prevale il requisito dell’omogeneità della filiera, anche prescindendo dalla vicinanza geografica delle imprese coinvolte, perciò un distretto può presentare

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discontinuità territoriale e sovrapposizione con altri distretti, come nel caso del Friuli Venezia Giulia.

Allo scopo di semplificare e rendere più efficace l’impatto territoriale degli interventi, in Puglia e nelle altre Regioni che disciplinano distretti produttivi, sono stabilite specifiche procedure di aggregazione di più distretti di minori dimensioni in quelli che talvolta sono definiti “macro-distretti” con maggiore capacità di rappresentare la filiera. Un caso estremo di quest’approccio è la Sicilia, che impone una corrispondenza univoca tra un distretto, il suo patto di sviluppo e l’unica filiera che esso può rappresentare e prevede «solo in casi motivati» la possibilità di dare articolazioni territoriali sub- regionali al patto.

Coerentemente con il significato e le finalità attribuite al tipo di distretto che hanno scelto di regolare, in queste Regioni prevale l’intento di sostenere il sistema delle imprese distrettuali - in alcuni casi anche i finanziamenti sono riconosciuti solo a progetti di sistema e non di singole imprese - e non sono ravvisati elementi di competitività collegati alla concentrazione delle imprese in un particolare contesto ambientale, economico, sociale e culturale che pure concorre a formare l’atmosfera di distretto. Poiché solitamente le Regioni che disciplinano distretti produttivi prescindono dal settore produttivo, questo tipo di approccio si conserva anche quando si tratta di individuare distretti produttivi agroalimentari o agroindustriali per i quali l’asserzione della rilevanza del territorio è certamente più immediata.

Ci pare allora comprensibile che la Lombardia costituisca un’eccezione in questo gruppo di Regioni. Infatti, questa Regione nel regolare i distretti produttivi rurali e agroalimentari di qualità crea un raccordo piuttosto forte con la legge di orientamento, e non prevede possibilità di discontinuità territoriale né procedure di aggregazione.

L’altra eccezione all’omogeneità di scelte dei due gruppi di Regioni è rappresentata dall’Abruzzo che, con la sua recentissima legge del 2011, pur disciplinando distretti rurali e agroalimentari di qualità, prevede procedure di aggregazione delle imprese della filiera agroalimentare in macrodistretti produttivi regionali con lo scopo di valorizzare il «Sistema Abruzzo delle produzioni agroalimentari di qualità».

Al contrario, nel caso delle altre Regioni che disciplinano i distretti rurali e agroalimentari di qualità, la contiguità territoriale è un requisito essenziale per individuare i distretti rurali, e anche nel caso dei distretti agroalimentari di qualità i

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legislatori riconoscono nell’unità territoriale il valore identitario del distretto.

4.3.3 Bottom up o top down?

È interessante esaminare chi siano i soggetti ai quali le normative regionali assegnano competenze nella proposizione e nell’individuazione dei distretti. A tale scopo, nelle schede di analisi in appendice sono evidenziate le diverse competenze che la legge attribuisce loro.

Nella Tab. 4-1 la modalità di individuazione è sinteticamente indicata come “discendente” nel caso in cui la Regione identifichi dall’alto i distretti, o “ascendente” nel caso in cui la Regione riconosca i distretti a seguito di una proposta proveniente dai soggetti pubblici e/o privati dei territori interessati. A tali soggetti è riconosciuto il potere d’iniziativa. Talvolta anche attraverso la costituzione di Comitati promotori, è imposto l’obbligo di dimostrare il loro preliminare coinvolgimento in un processo di governance orizzontale che dia dimostrazione della volontà di sostenere in seguito l’istituendo distretto.

È qualificata “diretta” la modalità di riconoscimento di un singolo distretto per la Liguria e la Provincia Autonoma di Trento, che comunque richiede anche lo svolgimento di processi di governance locale.

Più in generale, si deve constatare che solo il Friuli Venezia Giulia e la Sicilia indicano una modalità discendente.

Tutte le altre Regioni utilizzano modalità ascendenti, ma con due eccezioni:

- la Basilicata, che legifera prima della legge di orientamento e adatta poi la sua legge sui sistemi produttivi locali ai distretti rurali e agroalimentari di qualità, in modo “evoluzionistico”, lascia traccia delle tre modalità possibili: quella “statistica” voluta dalla L. 317/1991, quella “statistica ma con discrezionalità” consentita dalla L. 140/1999 e quella ascendente nello spirito della Legge di orientamento;

- il Lazio, che nella sua legge del 2006, prevede una modalità discendente con l’applicazione di parametri statistici, accanto a quella ascendente.

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