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A partire dagli anni ottanta del novecento, importanti interventi riformatori che hanno riguardato la maggior parte degli ordinamenti europei, hanno dato luogo alla soppressione della regola prevedente l'automatica attribuzione ai figli del cognome paterno, poiché non rispettosa del principio di uguaglianza tra uomo e donna, e soprattutto, tra i coniugi-genitori. Tale ondata riformatrice, verificatasi nello stesso momento in cui avevano luogo altre importanti innovazioni - avvenute negli altri ordinamenti europei prima che in Italia – nell'ambito del diritto di famiglia, quali la totale equiparazione tra figli legittimi e naturali e tra padre e madre nell'esercizio della responsabilità genitoriale, non ha però interessato il nostro ordinamento, il quale rimane ancora tutt'oggi uno dei pochi ordinamenti giuridici europei non ancora riformati in in materia73.

Alla luce di ciò, è evidente come la mancanza di una rivisitazione del sistema italiano di attribuzione del cognome ai figli, ormai evidente retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, renda la normativa italiana del tutto superata e fuori luogo rispetto al contesto normativo degli altri ordinamenti europei, al contesto internazionale e anche a rispetto a quanto disposto dallo stesso contesto nazionale74.

A tale riguardo, è necessario prestare attenzione a quanto disposto dalla recente riforma in materia di filiazione che ha eliminato ogni distinzione tra “figli legittimi” e “figli naturali”.

Sebbene oggi, ai sensi dei novellati artt. 315 e 315 bis c.c., tutti i figli godano dello stesso stato giuridico a prescindere dal fatto che i loro genitori siano o meno coniugati, rimangono tuttavia ferme le differenze tra figli nati nel matrimonio e figli nati al di fuori di esso

73 Così, Sandra Winkler, Sull'attribuzione del cognome paterno nella recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in Nuova Giur. Civ., 2014, fasc. 6, pt.1, p.520

per ciò che concerne il sistema di attribuzione del cognome. Difatti, mentre per i figli nati in costanza di matrimonio è prevista l’obbligatoria attribuzione del cognome paterno, per i figli nati al di fuori del matrimonio, tale regola troverà applicazione soltanto nell'ipotesi in cui entrambi i genitori non coniugati abbiano provveduto contemporaneamente al riconoscimento del bambino al momento della nascita75.

Chiarito ciò, si potrebbe ritenere che, nell'ordinamento italiano, la costante attribuzione del cognome paterno al figlio nato da genitori coniugati sia il frutto di una apposita disposizione legislativa76. Ma

non è così, poiché nell’ordinamento italiano non vi è alcuna disposizione espressa che prescriva l'attribuzione del cognome paterno ai figli nati in costanza di matrimonio, nonostante questa sia la prassi seguita in maniera inderogabile dagli ufficiali di stato civile al momento della registrazione anagrafica dei neonati77.

Difatti, nonostante l’art. 6, 1° comma, c.c., disponga che «ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito», è necessario evidenziare, però, come in realtà una esplicita disposizione, individuatrice della regola di attribuzione del nome cui la norma sembra fare riferimento, non sia in realtà rinvenibile, neanche nella normativa in materia di stato civile78.

Tuttavia, la Corte di Cassazione e la Corte costituzionale hanno rilevato come il mancato rinvenimento di una norma specifica non voglia dire che un precetto di carattere normativo non sussista. In particolare, la Corte Costituzionale79ha affermato che il rimando di

cui all’art. 6 c.c., secondo cui “ogni persona ha diritto al nome che le

75 Così, Stefania Stefanelli, L'illegittimità dell'obbligo del cognome paterno e prospettive di riforma, in Famiglia e Diritto, 2014, fasc. 3, p. 225

76 Riccardo Villani, L'attribuzione del cognome ai figli (legittimi e naturali) e la forza di alcune regole non scritte, in Nuova, Giur. Civ., 2007, fasc. 3, pt. 1, pp. 319 77 Così, Bassu, op. cit., p. 561

78 Così, Villani, op. cit., p. 319 79 Corte cost., sentenza 3.2.1994, n. 13

è per legge attribuito”, non deve inteso nel senso di un rinvio a norme che disciplinano direttamente l’acquisto del nome, ma deve essere piuttosto inteso come un rinvio a norme disciplinanti il riconoscimento di uno status e ad altre disposizioni, dalle quali è dato desumere, sulla base di un rapporto di presupposizione esistente tra le stesse, la regola immanente nel sistema, secondo cui al figlio nato nel matrimonio viene automaticamente attribuito il cognome paterno80. Ed in effetti non si può contestare il fatto che, molteplici

sono le disposizioni di legge dalle quali è dato desumere la regola secondo cui al figlio nato nel matrimonio debba essere attribuito il cognome paterno81.

È infatti sufficiente ricordare che:

1) l’art. 237, 2° comma, c.c, poneva tra gli elementi costitutivi del possesso di stato l’avere portato sempre il cognome del padre che si pretende di avere82;

2) l’art. 262, 1° comma c.c., in materia di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio dispone che, il riconoscimento contestuale dello stesso da parte di entrambi i genitori comporta che il figlio assuma il cognome padre, in ragione di una evidente equiparazione della prole naturale riconosciuta alla prole legittima;

3) l'art. 262, 2° comma c.c., il quale prevedendo che, in caso di successivo riconoscimento del padre, o di successivo

80 In tal senso anche Corte cost., sentenza n. 61/2006, Corte cost., ord. n. 586/1988, nonché, App. Milano, sentenza 4 giugno 2002

81 Così, Riccardo Villani, op. cit., p. 319

82 Il riferimento al cognome del padre non esiste più. Infatti,l'art. 12 d. lgs. 28.12.2013, n. 154, entrato in vigore in data 7.2.2014, ha riformato l'art. 237 c.c., eliminandone qualsiasi riferimento in proposito.

accertamento della paternità, il figlio può assumere il cognome del padre, aggiungendolo o sostituendolo a quello materno, sottintende l'evidente favor del legislatore per il cognome paterno;

4) l’art. 299, 3° comma c.c., in tema di adozione di maggiorenni, che, prevede, ancora una volta in ragione della equiparazione della posizione del figlio adottivo a quello nato nel matrimonio, che, compiuta l’adozione da coniugi, l’adottato assuma il cognome del marito;

5) l’art. 27 della l. n. 184/1983, il quale prevede che, a seguito dell’adozione del minorenne, questo assuma lo stato di figlio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. Tale norma, come si vedrà, è infatti stata interpreta dalla Corte costituzionale nel senso che l’adottato minorenne acquista il cognome paterno83;

6) l’art. 34, 1° comma, D.P.R. n. 396/2000, prevede che: «è vietato imporre al bambino lo stesso nome del padre vivente». In questo caso, lo scopo della norma è chiaro, ossia quello di evitare omonimie, in virtù del fatto che padre e figlio porteranno lo stesso cognome;

7) l’art. 33, 1° comma, del citato D.P.R., il quale prevedeva che al figlio legittimato venisse attribuito – salva l'opzione esercitabile dal soggetto maggiorenne – il cognome del padre84.

83 Corte cost., ord. 19.5.1988, n. 586

84 Comma abrogato dal D.P.R. 30 gennaio 2015, n.26. La legittimazione si trattava di un procedimento che consentiva al figlio naturale di assumere lo status di figlio legittimo attraverso susseguente matrimonio dei genitori, o per effetto del

Tuttavia, se l’interpretazione prevalente in dottrina considera l’assegnazione automatica del cognome paterno ai figli nati in costanza di matrimonio derivante dall’interpretazione sistematica di una serie di disposizioni normative, d'altra parte (un indirizzo minoritario) vi è chi ritiene che, la norma prevedente l’attribuzione del cognome paterno ai figli di genitori coniugati abbia carattere consuetudinario85.

Più precisamente si tratterebbe, secondo tale orientamento minoritario, di una norma consuetudinaria, considerato che né dal vecchio ordinamento dello stato civile, né dal sistema rinnovato tramite D.P.R. n. 396 del 2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) si riscontrano indicazioni espresse in ordine all'attribuzione del cognome al figlio. A sostegno di tale orientamento potrebbe esser richiamato quanto disposto dall’art. 29, 2° comma, del D.P.R. n. 396/2000. Tale articolo, infatti, tra i dati da inserire nell’atto di nascita del bambino, prevede soltanto il prenome che gli viene dato dai genitori, non facendo invece alcun riferimento esplicito al cognome86 87.

Tuttavia, la circostanza che una tale lacuna legislativa possa essere colmata attraverso una norma di carattere consuetudinario, si presta ad essere del tutto sconcertante, se si pensa al fatto che nel nostro ordinamento è invece disciplinata con legge l'attribuzione del cognome in specifici casi minoritari: l'adozione del minorenne (art. 27 legge n. 184/1983), l'adozione del maggiorenne (art. 299, 3° comma c.c.), e il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio

provvedimento del giudice, ai sensi dell'abrogato art. 280 c.c.

85 Sul punto, si veda, Elisa Pazè, Verso un diritto all'attribuzione del cognome materno, in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), 1998, fasc. 1, p. 324; Maria Cristina De Cicco, Disciplina del cognome e principi costituzionali, in Rassegna di diritto civile, 1991, pp. 191 e ss.; Id., La normativa del cognome e l'uguaglianza dei genitori, in Rassegna di diritto civile, 1985, pp. 960 e ss.

86 Così, Bassu, op. cit., pp. 561-562

87 Nel medesimo senso disponeva l’art. 71 del r.d. n. 1238 del 9 luglio 1939 (vecchio ordinamento dello stato civile)

(art. 262 c.c.)88.

In altre parole, aderendo alla tesi di tale orientamento minoritario ci troveremmo dinanzi ad un sistema di attribuzione del cognome in cui, l'ipotesi principale sarebbe regolata da una norma di carattere consuetudinario, mentre le ipotesi minoritarie e di carattere secondario sarebbero regolate da specifiche disposizioni di rango legislativo89.

Tutto ciò, darebbe luogo ad un sistema di attribuzione del cognome alquanto singolare, se tiene in considerazione il fatto che la consuetudine praeter legem dovrebbe intervenire in funzione suppletiva, a regolare settori della vita sociale o ipotesi di carattere secondario in cui manchi del tutto l'apporto del diritto scritto, e non il contrario, come invece avverrebbe nel caso di specie, in cui appunto l'ipotesi principale sarebbe regolata dalla consuetudine, e la legge interverrebbe soltanto a disciplinare ipotesi particolari, per sottrarle al vigore della norma consuetudinaria90.

Inoltre, come giustamente ha ritenuto la Corte di Cassazione, la consuetudine «postula una reiterazione e continuità di comportamenti conformi ad una medesima regola da parte della generalità dei consociati nella convinzione della loro doverosità, elementi non riscontrabili nella vicenda dell'attribuzione del cognome paterno, segnata da un'attività vincolata dell'ufficiale dello stato civile, a fronte della quale la volontà ed il convincimento dei singoli dichiaranti non trova spazio»91.

Per il figlio nato fuori del matrimonio, invece, l'attribuzione del cognome è disciplinata da una apposita ed espressa disposizione del

88 Così, Pazè, op. cit., p. 324 89 Così, Pazè, op. cit., p. 324 90 Così, Pazè, op. cit., p. 324

codice civile, ossia l’art. 262.

Tale articolo, nella sua formulazione originaria del codice civile del 1942, prevedeva che il figlio assumesse il cognome del genitore che per primo lo avesse riconosciuto, oppure, che questo assumesse, nel caso di riconoscimento effettuato, anche in tempi diversi, da entrambi i genitori, il cognome del padre. Soltanto, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, al fine di assicurare una più vasta applicazione del principio di eguaglianza tra i genitori, furono introdotti criteri del tutto differenti a quelli precedentemente vigenti. Venne infatti previsto che, il figlio assumesse il cognome del padre soltanto qualora vi fosse stato un riconoscimento contemporaneo dello stesso da parte di entrambi genitori; mentre, in caso contrario, avrebbe continuato ad operare il principio secondo cui il figlio assumeva il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto92.

Inoltre, fu introdotta una nuova disposizione nell'art. 262 c.c.

Precisamente, la nuova disposizione riconosceva al figlio maggiorenne, nel caso in cui il successivo riconoscimento fosse stato quello paterno, la possibilità di assumere il cognome del padre, aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre; se il figlio era minorenne, tale scelta veniva invece rimessa al giudice (tribunale per i minorenni) alla luce del suo esclusivo interesse. Dal sistema della norma ne derivava – anche se l'art. 262 non lo sanciva esplicitamente – che il cognome attribuito al bambino dall’ufficiale dello stato civile, in quanto figlio di ignoti, veniva automaticamente sostituito da quello del genitore che per primo ne avesse effettuato il riconoscimento, qualora non fosse già stata avviata la procedura di adottabilità93.

Sul tema era intervenuta la Corte costituzionale94, che con sentenza n.

92 Così, Massimo Dogliotti, La nuova filiazione fuori del matrimonio: molte luci e qualche ombra, in Famiglia e Diritto, 2014, fasc. 5, p. 494

93 Csoì, Dogliotti, op. cit., pp. 494-495 94 Corte cost. 23 luglio 1996, n. 297

297 del 1996, aveva dichiarato l’illegittimità dell'art. 262 c.c., nella parte in cui non prevedeva per il figlio il diritto a mantenere il cognome attribuitogli dall'ufficiale di stato civile, in aggiunta a quello del genitore, dopo l’avvenuto riconoscimento, qualora tale cognome fosse ormai divenuto autonomo segno della propria identità personale95.

Il d.lgs. n. 154 del 2013, pur eliminando ogni riferimento alla condizione “naturale” del figlio, ha sostanzialmente mantenuto inalterato l’assetto della norma in esame.

Infatti, ancora oggi il figlio continua ad ogni modo assumere il cognome del genitore che per primo abbia effettuato il riconoscimento, ed, in caso di contemporaneo riconoscimento, quello paterno. È stato, infatti, ritenuto che tale disposizione non determini alcuna violazione del principio di eguaglianza tra i figli, dato che anche in costanza di matrimonio questi assumono il cognome paterno96.

Inoltre, nel caso di riconoscimento paterno, successivo a quello materno, è ancora oggi prevista la possibilità per il figlio di conservare il solo cognome materno, oppure di assumere il cognome del padre, aggiungendolo, sostituendolo, o anteponendolo (essendo quest'ultima opzione prevista dal nuovo 2° comma dell'art. 262 c.c.) a quello della madre. Naturalmente, la scelta spetterà al figlio se maggiorenne, mentre se minore, a decidere a riguardo sarà il giudice (tribunale ordinario) il quale dovrà esclusivamente valutare

95 Così, Dogliotti, op. cit. p. 495

96 Sul punto, Cfr., Mario Trimarchi, Il cognome dei figli: un'occasione perduta dalla riforma, in Famiglia e Diritto, 2013, fasc. 3, p. 249. L'autore, infatti, rileva che, forse l'unica motivazione posta a giustificazione dell'operatività della regola prevedente l'automatica attribuzione del cognome paterno, anche per il figlio nato fuori del matrimonio riconosciuto da entrambi i genitori, sia proprio quella di assicurare la parità di trattamento tra i figli nati nel matrimonio e quelli nati al di fuori di esso. Per questo motivo, secondo l'autore, si tratta di una regola che, per i figli nati fuori dal matrimonio, sarà destinata a trovare applicazione fino a quando non sarà superata la regola secondo cui ai figli legittimi viene automaticamente imposto il cognome paterno.

l’interesse del bambino97.

Ma il il d.lgs. n. 154, per ciò che riguarda la norma in questione, non si è limitato solamente a qualche parziale modifica e alla eliminazione all'interno della stessa dei semplici riferimenti riguardanti lo status di “figlio naturale”.

Difatti, tale decreto legislativo ha aggiunto alla norma in questione un nuovo 3° comma che, nel riprodurre la sentenza n. 297/1996 della Corte costituzionale, disciplina il caso in cui il riconoscimento del figlio sia avvenuto successivamente all’attribuzione del cognome da parte dell'ufficiale di stato civile.

Eppure anche in tale ultima ipotesi emerge una netta prevalenza per l'attribuzione al figlio del cognome paterno98.

Il comma 3, infatti, al suo primo capoverso prevede, nel caso in cui la filiazione nei confronti del genitore sia accertata o riconosciuta successivamente all'attribuzione del cognome da parte dell'ufficiale di stato civile, che si applichi il primo e il secondo comma dell'art. 262 c.c.

Al secondo capoverso di tale comma, viene però ad essere tutelato il diritto all'identità personale del figlio. Infatti, esso prevede che, una volta avvenuto il riconoscimento, il figlio può comunque decidere di mantenere il cognome precedentemente attribuitogli dall'ufficiale di stato civile, ove questo sia ormai divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo abbia riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi99.

Quest'ultima previsione non appare però abbastanza chiara: che significato avrebbe, infatti, ai sensi del 3° comma, il riferimento al

97 Così, Dogliotti, op. cit., p. 495 98 Così, Dogliotti, op. cit., p. 495 99 Così, Dogliotti, op. cit., p. 495

«cognome dei genitori»?100

Laddove si interpreti tale espressione, in linea con la protezione dell’identità personale del figlio offerta dal comma in questione, questo riferimento dovrà esser necessariamente inteso nel senso che, in caso di riconoscimento da parte di entrambi i genitori, il figlio potrà assumere il cognome del padre, ma pure quello madre, ovvero di entrambi. Ovviamente, fermo restando il principio che il figlio possa mantenere l'originario cognome attribuitogli dall’ufficiale dello stato civile101.

5. - L'inadeguatezza della regola italiana prevedente