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2. La parziale dichiarazione di illegittimità della regola sul

2.1. Le origini della vicenda

La vicenda che ha condotto la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 286 del 2016, a pronunciarsi per la parziale illegittimità della regola prevedente l'automatica attribuzione del cognome paterno, ha visto coinvolti anche stavolta due coniugi.

Più precisamente, i due coniugi, un cittadino di nazionalità italiana ed una cittadina di nazionalità brasiliana, al momento della nascita del loro primogenito, si erano visti respingere dall'ufficiale di stato civile la loro richiesta di attribuire al figlio entrambi i loro cognomi, ossia il cognome paterno e il cognome materno.

A seguito del rifiuto opposto, l'ufficiale di stato civile registrava così all'anagrafe il bambino dei coniugi con il solo cognome paterno, non rendendosi tuttavia conto come una sua tale decisione avrebbe avuto delle forti ripercussioni in ordine all'identità del bambino.

Infatti, il bambino, essendo titolare di doppia cittadinanza, brasiliana ed italiana, a seguito della scelta effettuata dall'ufficiale di stato civile, sarebbe stato identificato in Brasile, conformemente alla legislazione di tale Paese, con il cognome di entrambi i genitori, mentre in Italia sarebbe stato identificato con il solo cognome del padre.

Tuttavia, a fronte del rifiuto da parte dell'ufficiale di stato civile ad attribuire al loro figlio anche il cognome materno, i coniugi decidevano di presentare ricorso al Tribunale di Genova, ai sensi dell'art. 95 D.P.R. n. 396/2000.

Il Tribunale di Genova, adito della causa, decideva però di rigettare il ricorso proposto dai coniugi, evidenziando:

1) come l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato in costanza di matrimonio non fosse prevista da alcuna specifica norma di legge, ma fosse presupposta da una serie di disposizioni regolatrici diverse;

2) che, trattandosi nel caso di specie di formazione dell’atto di nascita e non di trascrizione di atto formato in altro Stato, non sussisteva l’esigenza della tutela di un nome già in precedenza acquisito;

3) come fosse da escludere la sussistenza della questione di legittimità costituzionale prospettata dalla parte, ricordando come la Corte costituzionale con sentenza n. 61/2006, avesse già dichiarato l'inammissibilità della questione relativa alle norme prevedenti l'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato nel matrimonio, visto che la soluzione richiesta avrebbe comportato da parte della stessa Consulta un’operazione manipolativa esorbitante dai propri poteri262.

Contro questo provvedimento i coniugi decidevano allora di presentare ricorso alla Corte d'Appello di Genova.

La Corte d'Appello di Genova osservava come, in effetti, la norma prevedente l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato in costanza di matrimonio, anche in presenza di una diversa e contraria volontà dei genitori, non fosse in realtà prevista da alcuna specifica norma di legge, ma d'altra parte, precisava come una tale regola, alla luce dei precedenti giurisprudenziali, potesse essere però desunta dal sistema normativo, in quanto presupposta dagli articoli

237, 262 e 299 c.c., nonché dal R.D. n. 1238/1939, art. 72, 1° comma e, ora, dal D.P.R. 396/2000, articoli 33 e 34.

La Corte distrettuale osservava, inoltre, come la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 61/2006, pur dichiarando l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata, avesse però precisato come “l’attuale sistema di attribuzione del cognome fosse retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, il quale affondava le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.

La Corte d'Appello ricordava poi come i maggiori Stati europei si fossero già adeguati al vincolo posto dalle fonti convenzionali e, in particolare, dall'art. 16, comma 1, lettera g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132, che impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome».

In proposito, venivano altresì richiamate dalla Corte d'Appello genovese le raccomandazioni del Consiglio d'Europa n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998, e, ancor prima, la risoluzione n. 37 del 1978, relative alla piena realizzazione della uguaglianza tra madre e padre nell'attribuzione del cognome dei figli, nonché le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo, che si erano mosse nella direzione della eliminazione di ogni forma di discriminazione basata

sul sesso nella scelta del cognome263264.

Dopo tali considerazioni, la Corte d'Appello riteneva che, la distonia del nostro sistema rispetto ai principi sanciti dall’art. 29 Cost., già rilevata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 61/2006, imponesse - alla luce anche di due consistenti interventi normativi, quali la modifica dell’art. 117 Cost. e la ratifica del trattato di Lisbona - la riproposizione della questione relativa alla norma implicita che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori. Tale disciplina, secondo la Corte genovese, si poneva in contrasto, in primo luogo, con l’art. 2 Cost., per la violazione del diritto all’identità personale, diritto che trova il primo ed immediato riscontro proprio nel nome e che, nell’ambito del contesto sociale, identifica quelle che sono le origini di una persona.

Da ciò, secondo la Corte, ne discendeva il diritto del bambino a vedersi riconoscere i segni di identificazione di entrambi i rami genitoriali.

La Corte, inoltre, denunciava la violazione degli artt. 3 e 29, 2° comma, Cost., sotto il profilo del diritto di uguaglianza e pari dignità dei genitori nei confronti dei figli e dei coniugi tra di loro. In particolare, evidenziava la Corte distrettuale come, l’esigenza di tutela dell’unità familiare non fosse in alcun modo idonea a giustificare l’obbligatoria prevalenza del cognome paterno.

Infine, veniva dalla stessa Corte denunciata la violazione dell’art. 117, 1°, Cost., così «come interpretato nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale […], costituendo le norme di natura convenzionale (sopra citate) parametri del giudizio di

263 Unal Tekeli c. Turchia, cit.; Stjerna c. Finlandia, cit.; Burghartz c. Svizzera, cit.

264 Ord. Corte d'Appello di Genova 24 settembre 2013, consultabile in Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 13, 1° serie speciale, dell’anno 2014

costituzionalità delle norme interne»265266.

Pertanto, una volta effettuate tali considerazioni, la Corte d'Appello di Genova decideva di sospendere il procedimento dinanzi ad essa pendente e rimettere con ordinanza di rinvio gli atti alla Corte costituzionale, per la decisione della questione di legittimità costituzionale, sollevata in ordine alla norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, 72, 1° comma comma, del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 e 33 e 34 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, e

prevedente l'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato nel matrimonio, anche in presenza di una diversa e contraria volontà dei genitori, in relazione agli articoli 2, 3, 29, 2° comma, e 117, 1° comma Cost.