3. Il cognome comune delle persone unite civilmente
3.3. L'ordinanza del Tribunale di Lecco e i possibili rimedi a
Il quadro normativo che oggi si presenta alle coppie unite civilmente, alla luce di quanto sopra evidenziato, non può dunque che apparire fortemente ridimensionato rispetto a quello previsto in origine. Il decreto governativo n. 5/2017, infatti, oltre ad aver sancito, ai sensi dell'art. 3, 1° comma, lettera c) n. 2, che la scelta effettuata dalle parti delle unioni civili in ordine al cognome comune non ha alcun incidenza sulla schede anagrafiche di queste (essendo oggi la scelta circa il cognome comune, ai sensi della relazione del decreto governativo, limitata al solo utilizzo di questo), ha altresì autorizzato gli ufficiali di stato civile, a norma dell'art. 8, ad annullare le annotazioni relative alla scelta del cognome comune effettuata dalle
parti che si sono unite civilmente, nei primi mesi di vigore della legge n.76/2016. Da uno scenario simile ne deriva inevitabilmente come, dinanzi alle scelte sbagliate effettuate da un legislatore delegato alquanto sbadato, gli unici soggetti a rimetterci saranno proprio le parti delle unioni civili, le quali si sono prima viste attribuire un diritto, e subito dopo se lo sono viste tolto.
Vi è però una strada che le coppie unite civilmente, che abbiano optato per un cognome comune prima dell'entrata in vigore del citato decreto governativo, possono percorrere al fine di vedere riconosciuto il loro diritto a mantenerlo: ossia, adire la giustizia ordinaria.
Ed è proprio questa la strada che è stata percorsa con esito positivo, dopo l'entrata in vigore del decreto governativo, da una coppia di donne, nei confronti del Sindaco del Comune di Lecco, di cui brevemente si riportano i fatti.
I ricorrenti, Anna Rossi e Luisa Rossi Bianchi, unitesi civilmente a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 76/2016, avevano deciso, in applicazione dell'art. 1, comma 10 della stessa legge, di assumere per la durata della loro unione civile il cognome comune “Rossi”. A seguito di tale scelta la signora Luisa Rossi Bianchi aveva poi deciso di avvalersi, sempre in applicazione del citato comma 10, della possibilità di posporre il proprio cognome “Bianchi” a quello comune dell'unione civile, ottenendo di conseguenza il corrispondente aggiornamento della propria scheda anagrafica. Qualche mese dopo tale unione, la signora Rossi Bianchi Luisa aveva, inoltre, partorito la figlia Marta, la quale – avendo assunto il cognome della madre – veniva registrata all'anagrafe come Marta Rossi Bianchi, con conforme attribuzione del codice fiscale e rilascio di carta di identità, nonché emissione di ogni altro documento ad essa riferibile.
Entrato in vigore il d.lgs. n. 5/2017, la coppia ha deciso di non rimanere inerte dinanzi all'ingiustizia a loro provocata dal citato decreto, e ha presentato ricorso ex. art. 700 c.p.c. al Tribunale di Lecco, nei confronti del Sindaco dell'omonimo Comune.
I ricorrenti, in particolare, chiedevano la pronuncia di un provvedimento volto ad inibire al Sindaco di Lecco, e per esso all'Ufficiale di Stato civile dello stesso Comune, l'applicazione degli artt. 3, 1° comma, lettera c) n. 2 e 8 del d.lgs.vo n. 5/2017, dei quali gli stessi ricorrenti denunciavano inoltre l'illegittimità costituzionale, chiedendo al Tribunale di Lecco di sollevare in ordine ad essi apposita questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale68.
Il Tribunale di Lecco, con decreto del 9 marzo 2017, ha accolto la richiesta dei coniugi, la quale è stata successivamente confermata con ordinanza del 2 aprile 2017, riconoscendo così alla coppia il diritto a conservare il cognome in precedenza scelto.
Il Tribunale ha infatti evidenziato, nell'ordinanza confermativa del decreto in precedenza emesso, come l’avvicendamento delle norme verificatosi, «avesse senz’altro prodotto nella fattispecie in esame una lesione della dignità della persona e dell’interesse supremo del minore, che trovano tutela nei richiamati principi fondamentali dell’Unione europea»6970.
Il Tribunale, con l'ordinanza in esame, non se l'è però sentita di
68 Decreto del Tribunale di lecco del 9 marzo 2017, reperibile su www.articolo29.it
69 Ordinanza confermativa del Tribunale di Lecco del 4 aprile 2017, reperibile su www.articolo29.it
70 Il Tribunale nell'ordinanza confermativa del precedente decreto, ha in particolare richiamato a tutela del nome: l'art. 1 (La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata), 7 (Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni) e 24, 2° comma (In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea; l'art. 8 (Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
affrontare e di sollevare la questione relativa alla presunta illegittimità costituzionale degli artt. 3, 1° lettera c) n.2 e 8 del d.lgs. n.5/2017, denunciata dalle ricorrenti. In tal modo, la decisione del Tribunale, da un lato, ha certamente consentito di salvaguardare l'identità personale delle due donne e della loro figlia, dall'altro, però, vi è da sottolineare come una tale decisione, non avendo effetti erga omnes, si sia prestata soltanto a risolvere il singolo caso, non prestando invece, come avrebbe fatto una sentenza della Corte costituzionale, alcuna tutela a tutte le altre coppie che, nei primi mesi di vigore della legge, hanno anche esse scelto un cognome comune. Ciò non impedisce comunque alle altre coppie la possibilità di poter trovare tutela dinanzi al giudice ordinario71.
Tuttavia, senza dover attendere una sentenza della Corte costituzionale in materia, una soluzione al problema scatenato dal d.lgs. n. 5/2017, potrebbe essere data dalla stessa legge n. 76/2016. La legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso prevede infatti, al suo comma 31, che «entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 28, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo».
La legge offre, dunque, un meccanismo che consentirebbe di risolvere i problemi emersi dal d.lgs. n. 5/2017, attraverso una semplice correzione governativa che, prendendo atto della decisione del Tribunale di Lecco, dovrebbe dar luogo all'eliminazione dell'art. 3, comma 1, lettera c), n. 2 e dell'art. 8 del citato decreto, riattribuendo così alle parti delle unioni civili i diritti loro originariamente conferiti dalla legge n. 76/201672.
71 Così, Marco Gattuso, Il brutto pasticcio sul cognome dell'unione civile, in www.articolo29.it