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3. Il cognome comune delle persone unite civilmente

3.2. Il decreto legislativo n 5/2017

A stravolgere e a ridimensionare fortemente la disciplina del cognome delle unioni civili, come si era sopra accennato, è però intervenuto il decreto legislativo in materia di stato civile n. 5 del 19 gennaio 2017, entrato in vigore, l'11 febbraio 2017.

42 Così, Bugetti, op. cit., p. 916 43 Così, Bugetti, op. cit., p. 916

Con tale decreto il Governo, dando attuazione alla delega contenuta nel comma 28 della legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, ha disposto l'adeguamento delle norme dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della presente legge.

Ed a due delle norme del summenzionato decreto è dedicata in questa paragrafo una breve riflessione.

Più precisamente, trattasi di norme che, oltre ad aver fortemente ridimensionato la disciplina del cognome per le parti dell'unione civile, sono anche subito apparse sospette di illegittimità costituzionale, per eccesso di delega. Con una prima norma il legislatore delegato ha in sostanza disposto l'abrogazione del comma 10; e con una seconda norma è stata, invece, prevista la cancellazione dai registri anagrafici dei cognomi comuni già scelti dalle coppie in questi primi mesi di vita della legge44.

La prima delle due norme incriminate è l'art. 3, 1° comma, lettera c) n. 2.

In particolare, la norma in questione, inserendo nell'art. 20 del D.P.R. n. 223/1989 il comma 3 bis, ha previsto che «per le parti dell’unione civile le schede anagrafiche devono essere intestate al cognome posseduto prima dell’unione civile». Da un tale quadro normativo, non può che emergere chiaramente come il cognome comune scelto dalle parti dell'unione civile, non abbia alcuna incidenza anagrafica per il partner il cui cognome non sia eletto a cognome della coppia. Quest'ultimo, difatti, ai sensi del nuovo comma 3° bis, continuerebbe a recare sui vari documenti ad esso intestati l’indicazione del cognome da esso posseduto prima dell'unione civile, senza che alcuna rilevanza, dal punto di vista anagrafico, possa assumere la

44 Così, Marco Gattuso, Furto di identità: che fine ha fatto il cognome dell'unione civile?, in www.articolo29.it

decisione compiuta dalla coppia a portare un comune cognome familiare4546.

All'esito di una tale scelta normativa volta a sancire la mancata incidenza anagrafica del cognome comune scelto dalla coppia, occorre però chiedersi quale sia allora l'effetto derivante da una tale scelta compiuta dalle parti dell'unione civile.

E proprio la risposta ad un tale interrogativo è stata data dal Governo nella relazione illustrativa che accompagna il decreto legislativo n. 5/2017.

Nella relazione illustrativa del citato decreto si legge, infatti, che «in analogia a quanto previsto dall’articolo 143 bis c.c. per il cognome della moglie», è stato deciso che la scelta delle parti dell'unione civile ad assumere un cognome comune, abbia quale unico effetto quello di consentirne l’uso. Siffatta decisione sembra, dunque, far venire meno la grande novità introdotta dalla legge sulle unioni civili.In altre parole, sembra venire meno quella funzione di identificazione dell'intero nucleo familiare che il cognome comune scelto dalle coppie avrebbe dovuto inevitabilmente svolgere. Infatti, a seguito di tale intervento normativo, la scelta compiuta dalle parti delle unioni civili relativamente al cognome comune si limiterebbe soltanto a configurare una qualche specie di autorizzazione che una parte dà all'altra ad utilizzare il proprio cognome47.

Tuttavia, se si presta una maggiore attenzione a quanto disposto dal comma 10 in tema di cognome delle unioni civili, appare del tutto

45 Quella del Governo, si tratta tuttavia di una decisione che oltre a vanificare la portata del comma 10, non può che apparire del tutto singolare se si volge lo sguardo a ciò che lo stesso esecutivo aveva stabilito soltanto pochi mesi prima con il primo decreto transitorio in materia. Infatti, il Governo con D.P.C.M. n. 144 del 23 luglio 2016, aveva sancito all'art. 4, 2° comma che «a seguito della dichiarazione relativa al cognome, gli ufficiali dello stato civile avrebbero dovuto procedere all’annotazione dell’atto di nascita e all’aggiornamento della scheda anagrafica».

46 Così, Gattuso, op. cit. 47 Così, Gattuso, op. cit.

evidente come tale decisione governativa si presti ad essere del tutto in contrasto con il dato letterale emergente dalla stessa disposizione. Precisamente, qualora il comma 10 della legge sulle unioni civili si fosse soltanto limitato a consentire ad una delle parti l'uso del cognome dell'altra, senza alcuna incidenza anagrafica sul proprio cognome, non avrebbe avuto alcun senso prevedere l'ulteriore diritto, a favore della parte il cui cognome non fosse stato eletto a cognome comune, a mantenere anche il proprio cognome anagrafico48.

Precisamente, il comma 10 nel disporre che, la parte il cui cognome non sia eletto a cognome comune, possa mantenere anche il proprio cognome, anteponendolo o posponendolo a quello comune, comporta per la parte che non si sia avvalsa di tale facoltà, la perdita del proprio cognome e la solo acquisizione di quello comune scelto dalla coppia. Ora, proprio quest'ultima disposizione, alla luce dell'interpretazione governativa, resterebbe priva di qualsiasi senso49.

Infatti la parte, pur optando per il solo cognome comune, conserverebbe comunque il proprio cognome anagrafico, visto che la sua scelta relativa al cognome comune ne sarebbe limitata al solo uso.

Oltre tutto, la norma di cui al decreto legislativo non pare essersi limitata a svolgere una funzione meramente attuativa della disposizione di cui al comma 10. Al contrario, pare piuttosto che abbia dato luogo ad una interpretazione in contrasto con la lettera della stessa disposizione di cui al comma 10; un'interpretazione da ritenersi, inoltre, di dubbia legittimità costituzionale, per eccesso di delega, se si tiene in considerazione la natura meramente attuativa della delega e che la stessa, ai sensi del comma 28, è stata conferita «fatte salve le disposizioni della legge n. 76/2016»50.

48 Così, Gattuso, op. cit. 49 Così, Gattuso, op. cit. 50 Così, Gattuso, op. cit.

Ma, al di là delle incomprensioni e dei dubbi di legittimità cui dà luogo una simile interpretazione del comma 10, vi è da sottolineare come il Governo, nella relazione illustrativa al decreto, l'abbia comunque ritenuta la più convincente «tenuto conto, non solo di quanto previsto per il matrimonio, ma anche del fatto che una vera e propria variazione anagrafica del cognome della parte dell’unione civile determinerebbe il mutamento anagrafico anche del cognome del figlio della medesima parte dell’unione civile ed eventualmente per il solo periodo di durata dell’unione, effetto questo che pare eccedere la volontà del legislatore primario»51.

Come si evince dalla relazione illustrativa al decreto, sono dunque tre le ragioni poste dal Governo alla base della sua interpretazione del comma 10:

1. «tenuto conto, non solo di quanto previsto per il matrimonio». La prima ragione posta dal Governo alla base della sua interpretazione tiene dunque conto di quanto previsto per il matrimonio, ma non solo.

In primo luogo, deve essere apparsa del tutto evidente la discriminazione, che a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 76/2016, si è venuta a realizzare nei confronti delle coppie coniugate. Tale legge, infatti, attribuirebbe alle parti dell'unione civile un diritto ulteriore rispetto ai coniugi: ossia, il diritto a scegliere un comune cognome familiare52.

In secondo luogo, non è mancato chi ha giustificato53 che, finalità

dell'intervento governativo fosse quella di evitare alle persone unite

51 Relazione illustrativa al d.lgs. n. 5/2017 52 Così, Gattuso, op. cit.

civilmente gli inconvenienti di carattere burocratico che altrimenti sarebbero inevitabilmente derivati dal cambiamento anagrafico del cognome. Infatti, si è ritenuto che la scelta di un cognome comune avrebbe comportato come conseguenza, per la parte il cui cognome non fosse stato eletto a cognome familiare, il necessario adeguamento di tutti quanti gli atti e documenti ad essa intestati: codice fiscale, patente, carta di identità, passaporto, utenze etc…5455

2. «una vera e propria variazione anagrafica del cognome della parte dell’unione civile determinerebbe il mutamento anagrafico anche del cognome del figlio della medesima parte dell’unione civile».

La seconda ragione posta dal Governo alla base della sua interpretazione riguarda invece i figli. Con tale seconda ragione, tuttavia, non si riesce bene a comprendere quali siano i motivi esatti del problema posto dal Governo.

Infatti, quella di consentire il cambiamento del cognome del bambino in caso di mutamento del cognome del genitore avvenuto a seguito dell'unione civile, si tratta di una scelta ben chiara apparsa sin dal

54 Così, Gattuso, op. cit.

55 Cfr. Gattuso, op. cit. Secondo l'autore, infatti, si tratta di inconvenienti burocratici che non sono destinati a manifestarsi necessariamente per le persone unite civilmente. Egli sottolinea come, quella relativa alla scelta del cognome di famiglia, si tratti solo di un'opzione ulteriore che la legge ha offerto alle parti dell'unione civile, ben dunque potendo le parti decidere di non scegliere alcun cognome familiare e mantenere ciascuna il proprio, evitando così di conseguenza di affrontare i relativi problemi burocratici che dalla scelta del cognome comune deriverebbero.

Ma, anche nel caso in cui la coppia avesse scelto il cognome comune, secondo l'autore, si sarebbe trattato di problemi burocratici facilmente risolvibili: ad esempio, la necessità di adeguare il codice fiscale al nuovo cognome (problemi che, d'altronde, si verificano anche nei più semplici casi di cambiamento o rettifica del nome o del cognome), poteva essere facilmente risolta, anteponendo il proprio cognome a quello comune, considerato che in tal caso le prime tre lettere del codice fiscale sarebbero in ogni caso coincise con quelle corrispondenti al primo cognome del suo titolare (e così pare vi abbiano provveduto talune della coppie unite civilmente nei primi mesi di vigore della legge).

primo progetto di legge, e che prima di essere adottata dal legislatore è dunque stata ampiamente vagliata e discussa per più di due anni in sede parlamentare56.

Nonostante ciò, quel che probabilmente non deve esser stato gradito all'interno di Palazzo Chigi, è l'effetto prodottosi dal comma 10 sui bambini delle coppie same sex, all'indomani dell'entrata in vigore della legge sulle unioni civili, quando alcune madri, dopo essersi unite civilmente (o aver trascritto i matrimoni esteri) ed aver optato per un cognome comune, hanno potuto attribuire ai loro figli il doppio cognome, a norma dell'art. 33 del D.P.R. n. 396 del 200057.

3. «eventualmente per il solo periodo di durata dell’unione» La terza ragione posta dal Governo alla base della sua interpretazione sarebbe giustificata dalle difficoltà applicative conseguenti alla indicazione, nel comma 10, per cui la scelta del cognome comune vale solo «per la durata dell’unione civile»58.

Stando agli iniziali commenti, se da un tale inciso dovesse desumersi l'automatica perdita del cognome comune in caso di scioglimento dell'unione civile per morte o a causa di divorzio, tutto ciò non potrebbe che apparire abbastanza irragionevole e di dubbia compatibilità con il dettato della nostra Carta costituzionale59.

56 Così, Gattuso, op. cit. 57 Così, Gattuso, op. cit. 58 Così, Gattuso, op. cit.

59 Illegittimità costituzionale che è stata ravvisata anche nell'irragionevole disparità di trattamento rispetto al matrimonio. In tal senso, Cfr. Maria Novella Bugetti, Il cognome comune delle persone unite civilmente, cit., pp. 914-916 Secondo l'autrice, infatti, tale inciso darebbe luogo ad una disciplina discriminatoria nei confronti delle persone che hanno deciso di unirsi civilmente, dato che se si volge lo sguardo a quanto disposto nei medesimi casi dalla disciplina codicistica relativa al matrimonio le differenze in materia non potranno che apparire alquanto evidenti.

Difatti, osserva l'autrice, mentre per le persone unite civilmente lo scioglimento della loro unione per morte o per divorzio determina, per una delle parti, l'automatica perdita del cognome dell'altra (eletto a cognome comune della coppia), per quel che riguarda la moglie nel rapporto coniugale le cose stanno

Infatti, apparirebbe del tutto irragionevole che una persona, dopo aver fatto uso di un determinato cognome per anni ed essere stata identificata ormai con lo stesso da parte della società, debba improvvisamente rinunciare a tale segno distintivo della propria identità personale per il semplice fatto che il suo partner sia morto o abbia da questi divorziato60.

E discorso analogo può essere fatto anche per il figlio.

Quest'ultimo, infatti, ai sensi dell'art. 33, 2° comma D.P.R. n. 396/200, sarebbe costretto a veder cambiare di improvviso il proprio invece diversamente.

L'autrice sottolinea, infatti, come sia prevista per la moglie (e non per la parte dell'unione civile), in caso di morte del marito, la possibilità di conservare e, dunque, utilizzare il cognome maritale durante lo stato vedovile, fino a quando quest'ultima non sia passata a nuove nozze; mentre in caso di divorzio, è invece prevista la perdita da parte della moglie del cognome maritale, salvo che il giudice autorizzi espressamente quest'ultima ad utilizzarlo, “qualora sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela” (ai sensi dell'art. 5, 2° comma L. n. 898/1970). Alla luce di ciò, è ovvio, secondo l'autrice, come una tale disparità di trattamento ponga certamente dei dubbi riguardo alla costituzionalità della norma di cui si discute, ossia il comma 10 della legge sulle unioni civili.

Alla luce di ciò, è ovvio come una tale disparità di trattamento ponga certamente dei dubbi riguardo alla costituzionalità della norma di cui si discute, ossia il comma 10 della legge sulle unioni civili.

Una norma, quella in questione, che potrebbe essere tuttavia salvata, ma solo in “parte”, da un profilo di incostituzionalità, per il tramite della clausola contenuta al comma 20, dell'art. 1 della legge sulle unioni civili, la quale, al fine di meglio equiparare la condizione delle parti dell'unione civile a quella dei coniugi, prevede che «le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». Il comma 20, consentirebbe così di salvare in via interpretativa il comma 10 da eventuali sospetti di incostituzionalità, ma solo in “parte”, come precisato sopra. Infatti, in forza di tale clausola, potrebbe trovare soddisfazione l'interesse dell'unito civilmente divorziato a conservare (nel suo interesse o in quello dei figli) il cognome dell'altra parte (eletto a cognome comune).

Ma il medesimo interesse non troverebbe invece alcuna soddisfazione per l'unito civilmente, qualora la cessazione dell’unione dipendesse da un evento accidentale quale la morte del proprio partner, in virtù del fatto che a quest'ultimo non potrebbe certamente estendersi, ai sensi del richiamo effettuato al comma 20, il disposto codicistico di cui all'art. 143-bis, dato che quest'ultima disposizione contiene la parola “moglie” e non “coniuge”

cognome, dato che a norma di tale articolo, nella sua interpretazione corrente, è previsto che il cambiamento di cognome del genitore determini anche l’automatico mutamento di cognome del figlio61.

Alla luce dei risultati cui potrebbe dar luogo una simile interpretazione di tale inciso, risulta, tuttavia, necessario tentar di dar luogo almeno ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma stessa, al fine di stabilire se l’inciso di cui si discute, provochi sempre e comunque un'automatica perdita del cognome comune nel caso di scioglimento dell'unione civile62.

Invero, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell'inciso «per la durata dell’unione», che tenga in considerazione quella che è la reale volontà della parti e gli interessi coinvolti, quale primo fra tutti il basilare diritto all'identità personale, si potrebbe ritenere che scopo di tale inciso, non sia quello di impedire alle parti l'utilizzo del cognome comune una volta cessata l'unione civile, bensì quello di impegnare le stesse parti ad assumere, «per la durata dell’unione», una decisione vincolante in ordine allo stesso cognome comune. In altre parole, la scelta compiuta riguardo al cognome comune, una volta avvenuta non potrebbe più essere soggetta ad alcuna possibilità di revoca da parte delle parti dell'unione civile per tutta la durata della loro unione63.

Ne conseguirebbe, da una simile interpretazione, che dallo scioglimento dell'unione civile (per morte o divorzio), non ne deriverebbe l'automatica perdita del cognome comune, per la cui dismissione all'utilizzo sarebbe invece necessaria una nuova dichiarazione delle parti dinanzi all'ufficiale dello stato civile64.

61 Così, Gattuso, op. cit. 62 Così, Gattuso, op. cit. 63 Così, Gattuso, op. cit. 64 Così, Gattuso, op. cit.

Si era quindi dinanzi ad un problema che poteva certamente essere meglio risolto tramite una tale interpretazione, anziché attraverso quella governativa65.

Esaminato il problema posto dalla prima norma del decreto legislativo n. 5/2017 e dall'interpretazione data dal Governo al comma 10, è necessario adesso esaminare un secondo problema posto da un'altra delle norme del decreto in questione.

È infatti evidente come la sostanziale abrogazione del comma 10, avvenuta a causa della suddetta interpretazione governativa, comporti oggi non pochi problemi di diritto intertemporale, considerato che dall'entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, e ancor prima dell'entrata in vigore del citato decreto governativo, migliaia di coppie unendosi civilmente hanno deciso di eleggere un cognome comune come previsto dalla stessa legge (e come consentito dalla prima disciplina regolamentare transitoria adottata con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 luglio 2016, n. 144)66.

A questo punto allora è dato porsi una domanda: quale soluzione adottare nei confronti delle coppie, che anteriormente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5/2017, abbiano già scelto un cognome comune?

Il legislatore delegato, ha dato una risposta a tale domanda, introducendo all'interno dell'art. 8 (Disposizioni di coordinamento con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n. 144) del d.lgs. n. 5/2017, una disposizione di coordinamento. Tale disposizione di coordinamento prevede esattamente che «entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto, l’ufficiale dello stato civile deve, con la procedura di correzione di cui all’articolo 98, 1° comma, del D.P.R. n. 396/2000,

65 Così, Gattuso, op. cit. 66 Così, Gattuso, op. cit.

annullare l’annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata a norma dell’articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2016, n. 144».

Il Governo attraverso l'inserimento nel citato decreto legislativo di una simile disposizione di coordinamento, tuttavia, ha dimostrato di non aver pienamente compreso il significato della faccenda che dinanzi gli si presentava. Ossia, una situazione in cui le coppie in questione, nell'optare per un cognome comune, non avevano fatto altro che esercitare un diritto soggettivo loro attribuito dalla legge. Un diritto soggettivo di cui adesso si debbono veder privati, per il tramite di una disposizione attuativa, che, tra l'altro, subordinerebbe la cancellazione del cognome comune ad un mera procedura di carattere amministrativo e senza alcuna salvaguardia del principio del contraddittorio67.

3.3. - L'ordinanza del Tribunale di Lecco e i possibili rimedi