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colloquio con Philippe Pypaert(Unesco)

Capitolo 5: “fare paesaggio in docg”

5.8 colloquio con Philippe Pypaert(Unesco)

Dopo aver partecipato alla presentazione dei risultati dell’Osservatorio, ho ritenuto opportuno approfondire la candidatura a sito del Patrimonio Mondiale dell’Unesco in quanto è un argomento dibattuto nell’area di nostro interesse e si configura per le istituzioni pubbliche come una possibilità territoriale che potrebbe suscitare scenari interessanti. Ho chiesto a Philippe Pypaert di concedermi un colloquio per poter approfondire queste tematiche dal punto di vista dell’Unesco per capire il meccanismo dell’iter che porta ad un eventuale designazione. L’incontro è stato molto proficuo e mi ha fatto comprendere in quale modo un istituzione con finalità universalistiche possa contribuire ad attivare dinamiche a livello locale in grado di portare il sito, la cui eccellenza sarebbe sancita dal riconoscimento dell’Unesco, ad identificare e si spera, risanare, alcune delle criticità in esso presenti. Sensibile alle questioni ambientali, anch’io come altri, mi sono chiesta come un territorio “compromesso” potesse aspirare ad essere patrimonio dell’umanità. Sia durante il convegno che a colloquio con Pypaert mi è parso ora chiaro che la finalità di una candidatura è quella di «attivare un percorso a sostegno di una visione strategica del territorio»71 e quindi l’idea che avevo dell’entrata nella lista del patrimonio mondiale come premio all’eccellenza di un sito è sostanzialmente da rivedere72. Il

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Colloquio con Philippe Pypaert (21/12/2012)

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riconoscimento da parte dell’Unesco non può prescindere dal processo territoriale che la candidatura dovrebbe innescare. Pypaert parla per l’appunto di “visione strategica”, che sottende il coinvolgimento di tutti gli attori sociali (amministrazioni, attori economici, associazioni culturali e ambientaliste, cittadini) nella quale un ruolo importante dovrebbe giocare una stretta collaborazione tra le diverse amministrazioni che devono essere capaci di pensare al di là dei confini comunali prestabiliti:

«questa predisposizione mi sembra un sostrato indispensabile, una delle precondizioni fondamentali di questo tipo di designazione per far sì che ci sia una collegialità di istituzioni locali, in rapporto con quelle regionali e nazionali in grado di dare vita ad un tavolo di coordinamento di gestione»73

Un altro punto importante sono gli eventuali vincoli ai quali un sito entrando nel patrimonio Unesco è soggetto e anche in merito a questo le risposte di Pypaert sono state importanti per comprendere come s’intersecano processi istituzionali globali e locali nella questione del paesaggio. Ho chiesto se l’Unesco applicasse dei regolamenti precisi ai siti protetti e Pypaert ha parlato di “mito da sfatare”. I vincoli, indispensabili, nascono dall’applicazione delle leggi nazionali in materia (si veda, ad esempio, il Codice dei Beni Culturali del Paesaggio):

« Quella del Patrimonio Mondiale è una convenzione alla quale hanno aderito gli stati membri – fra cui l’Italia - e una volta ratificata l’impegno è loro a fare il necessario a favore della conservazione e fruizione sostenibile del patrimonio è loro. L’Unesco è amministratrice della convenzione e dei suoi meccanismi, non interviene nella gestione dei siti.»74

E’ il territorio quindi che decide e assume i propri vincoli che comunque devono essere in linea con criteri e disposizioni dell’Unesco; seguendo Palumbo si parla

Patrimonio Mondiale Unesco sia di supporto all’azione sviluppata localmente, caratteristica comune alla Convenzione europea sul Paesaggio.

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Vallega A., op. cit., pag. 29.

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quindi di «complementarietà tra logiche locali e forze globali»75 come deve essere il riconoscimento che un sito protetto Unesco è per la nazione che lo ospita anche un impegno nei confronti del mondo che sottende la volontà di tramandare alle generazioni future ciò che si sta proteggendo76. Pypaert parla per l’appunto di “trasferimento della ownership” e di “responsabilità sociale” che devono toccare prima le amministrazioni interessate e poi coinvolgere il resto della comunità. Mi avverte però, che l’indipendenza gestionale dei siti non deve essere intesa come assenza di controllo da parte della Convenzione sul Patrimonio Mondiale; questa indipendenza presume comunque il rispetto di linee guida che si ispirano ad una filosofia fondata sullo sviluppo sostenibile. Pypaert mi informa che se le cose non vanno come dovrebbero andare, se c’è malcontento, se le contraddizioni non si sciolgono o si concretizzano nuove tensioni, c’è la possibilità di denunciare il fatto e di attivare il monitoraggio nell’area. Se non si risolvono le criticità il sito può passare nella “lista rossa” (dangerous list) e da lì, il passo successivo è l’uscita dal Patrimonio. Riporta l’esempio di Dresda: il centro storico era sito protetto, poi le autorità hanno scelto di ampliare certe infrastrutture giudicate dagli esperti non compatibili con la presenza dello stesso sito del Patrimonio Mondiale; in seguito a vari richiami e lunghi dibattiti, le autorità tedesche hanno confermato la loro intenzione a procedere con la costruzione di queste infrastrutture e il sito è stato rimosso dalla lista. Poi fa l’esempio virtuoso del Montenegro dove è stata bloccata la costruzione di una diga sul fiume Tara dal momento che si sono create le condizioni per una riflessione locale fondata sul fatto che questo fiume è parte integrante del sito del Patrimonio Mondiale del Durmitor (già parco nazionale) nel Nord del paese. Mi invita a ragionare sulla candidatura in termini di opportunità o di uno strumento per meglio pianificare il territorio che si concretizza nel conferimento della designazione con dei costi e dei benefici. Questi ultimi non sono tanto da intendere come possibilità di crescita economica ( incremento del numero di visitatori o delle vendite di prodotti locali) ma di qualità generale dei processi di sviluppo. Per questo forse,

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Palumbo B., op. cit., pag. 323. Si veda il quarto capitolo: “L’Unesco e il campanile. Patrimonio universale -patrimoni locali”, pag. 323- 366.

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mi dice quanto sia importante anche la riflessione sull’identità, ad esempio, nell’area di nostro interesse, sul significato a livello antropologico dell’unione territoriale sotto la dicitura “Colline del prosecco”. La questione non andrebbe messa in secondo piano rispetto ad altre di carattere tecnico77, bisogna: «ragionare su come tutta una serie di valori dovrebbero essere integrati nella pianificazione»78. Ritengo che questo sia un punto molto importante perché non sempre è chiaro che la comunità è parte costitutiva del proprio paesaggio culturale:

«L’integrità non è solo quella dei muri a secco, della chiesetta o dei centri storici; si deve ragionare in termini di paesaggio culturale, il quale non è fatto dei soli beni culturali […] Paesaggio culturale come sistema complessivo che si può conservare e tramandare alle prossime generazioni solo se la comunità locale continua a lavorarci e ad esserci in un determinati modi.»79

Per partecipare alla pianificazione territoriale la comunità deve sentirsi parte del paesaggio e riconoscersi nelle correlate rappresentazioni che gli apparati pubblici e le istituzioni correlate propongono. Però il coinvolgimento della popolazione non è automatico, Pypaert avverte la necessità di attuare una forma di “engineering sociale”, soprattutto in un contesto come quello Veneto dove certe forme di individualismo sono ben radicate. A proposito delle contraddizioni presenti nelle colline del prosecco, Pypaert che è attento conoscitore e frequentatore dell’area, cita la cementificazione delle valli, che si spera conclusa, correlata alla necessità, ancora non del tutto assimilata, di superare la rappresentazione “da cartolina” che di solito esclude le criticità che pure fanno parte del paesaggio culturale e vanno affrontate. Deve essere proprio il riconoscimento delle problematiche legate al territorio a dare il senso alla candidatura che così diventa strumentale al fine di migliorare la qualità di un territorio che, in quanto paesaggio culturale, è costituito da beni patrimoniali quanto da persone che lo per-formano.

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Vallega A., op. cit. (2008), pag. 29; l’autore rileva la maggior difficoltà che si ha nel formare degli indicatori che riguardino i processi territoriali rispetto a quelli relativi alle condizioni ambientali.

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Colloquio con Philippe Pypaert (21/12/2012).

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Questo lungo capitolo era volto a comprendere lo scenario politico ed economico nel quale la trasformazione del paesaggio in docg è inserita e inclusa nei discorsi e nelle rappresentazioni pubbliche. Come abbiamo visto, la visione delle amministrazioni non è del tutto sovrapponibili a quella del Consorzio che rappresenta degli attori economici. La volontà di coinvolgere la comunità è forte ed è dettata anche dall’interrelazione tra processi istituzionali globali e locali. La Convenzione europea del paesaggio è il paradigma di riferimento che ha destabilizzato la visione “da cartolina” dei luoghi, che tuttavia alcuni sono restii ad abbandonare. Assunto il fatto che l’importanza della comunità e della percezione che la stessa ha del proprio territorio sono fondamentali per qualsiasi pianificazione in merito, bisogna però affrontare le questioni critiche, in questo caso una certa incomunicabilità con le amministrazioni percepita dagli abitanti e le problematiche ambientali legate alla monocoltura del prosecco.