IL DANNO DA PRODOTTO
5. I RISVOLTI IN TEMA DI COLPEVOLEZZA
L’analisi degli attriti che il tema del danno da prodotto ha cagionato all’edificio del diritto penale classico non può concludersi senza un’esposizione sintetica delle principali ripercussioni in materia di colpevolezza.
Non è errato affermare come il danno da prodotto costituisca il terreno di elezione delle “decisioni in stato di incertezza, in cui una pluralità di soggetti è chiamata ad effettuare scelte anche senza l’ausilio di cognizioni che rendano
128PIERGALLINI, cit. , 252.
ex ante riconoscibile il rischio di verificazione di determinati eventi lesivi129”.
Ancora una volta quindi, il ruolo di elemento sgretolatore di antichi e consolidati principi è svolto dall’incertezza. Uno stato di confusione indistinta avvolge le scelte che i soggetti sono chiamati a compiere. Tale confusione è dovuta principalmente alla crisi della scienza, dei meccanismi di spiegazione causali e dalle ansie che percuotono la società e che derivano tutte da questi fattori.
Si tratta di aspetti già compiutamente esaminati. Giova ora però riportarli alla mente per poter comprendere appieno quali torsioni si determinino relativamente alla colpevolezza.
E’ noto come il dolo, in quanto elemento psicologico del reato, si componga di due aspetti: la rappresentazione e la volontà. Mettendo da parte l’elemento volitivo e concentrandoci su quello intellettivo, esso deve abbracciare tutti gli elementi oggettivi della fattispecie, compresi l’evento – di danno o di pericolo – e il nesso di causalità che lega questo con la condotta.
129PIERGALLINI, cit. , 424.
Appare a questo punto intuibile come il pesante stravolgimento che ha subito, nell’ambito del danno da prodotto, il fatto tipico di reato non possa non riverberarsi anche sugli elementi soggettivi delle fattispecie coinvolte, investendo in particolare l’aspetto intellettivo del dolo sotto il profilo della prevedibilità e riconoscibilità dell’evento di danno e del nesso di causalità.
Difatti, “l’impossibilità di attingere, da parte dell’agente modello, ad una relazione di pericolo scientificamente testata, fa sì che la riconoscibilità si assottigli fino ad evocare una blanda relazione di possibilità tra la circolazione del prodotto e i danni insorti130”.
In assenza di certezze scientifiche circa la relazione causa – effetto tra l’uso dei prodotti e l’insorgenza dei danni alla salute dei consumatori, non ha senso interrogarsi su quale sia l’evento a cui deve essere riferito il giudizio di prevedibilità: è la mera possibilità di danno a diventare oggetto della rappresentazione. In buona sostanza quindi è il rischio a sostituire l’evento: esso ne prende il posto diventando il perno della fattispecie, tanto al
130PIERGALLINI, cit. , 442.
livello della tipicità del fatto, quanto anche a livello soggettivo, assurgendo esso ad unico versante del giudizio di prevedibilità.
Ma anche qui i contorni della questione diventano evanescenti, in quanto a diventare oggetto della cognizione è il rischio ma solo in una dimensione potenziale: ciò che il soggetto agente si rappresenta non è un rischio concreto, effettivo, in atto, ma un rischio puramente potenziale di cui non si conoscono i meccanismi di sviluppo; di più, di cui non si conosce bene neppure se ci sarà uno sviluppo in senso negativo!
Ecco quindi che al produttore viene richiesto di percepire, meglio di intuire, una generica propensione del bene a provocare danni alla salute dei consumatori. Soltanto dopo che il prodotto è stato immesso sul mercato e solo dopo che si saranno verificati i primi eventi lesivi, quello che era solo un rischio potenziale comincia a profilarsi all’orizzonte come qualcosa di più consistente a cui si può far fronte solo con la misura più drastica possibile, il ritiro del prodotto dal mercato.
Tutto ciò è perfettamente esemplificato, ancora una volta, nel caso Lederpsrayfall. In esso, l’imputazione subiettiva del fatto tipico agli amministratori della società produttrice viene
effettuata sulla base di un giudizio di prevedibilità dell’evento basato non su una base nomologica di spessore scientifico consistente – tale cioè da predicare l’idoneità dello spray a provocare danni ai consumatori –, ma semmai di segno decisamente contrario, dal momento che il prodotto in questione era stato commercializzato per oltre vent’anni senza che si fossero verificati gravi casi di danno ma solo ipotesi esigue, tali tutt’al più da ingenerare un semplice sospetto sulla pericolosità del prodotto.
In questa prospettiva quindi, “la riconoscibilità del pericolo, che integra la base rappresentativa che accomuna il dolo eventuale e la colpa cosciente, si fonda sulla mera percezione della propensione del prodotto a provocare l’evento dannoso131”.
Per concludere sul tema della riconoscibilità, è chiaro come per poter muovere ad un soggetto il rimprovero di colpevolezza, è necessario che esso sia messo nelle condizioni di riconoscere il pericolo do verificazione dell’evento lesivo prima che esso si verifichi. Tale valutazione dev’essere fatta seguendo
131PIERGALLINI, cit. , 364.
quindi un percorso inverso rispetto a quello svolto in sede di ricostruzione causale, cioè riferendosi alle condizioni esistenti al momento in cui il soggetto agisce.
E’ fondamentale quindi determinare il momento in cui il rischio diventa riconoscibile. Ebbene, anche su questo aspetto regna sovrano il disorientamento, dato che “ la percezione della pericolosità del prodotto è fatalmente destinata a formarsi con estrema lentezza e, per giunta, è accompagnata da prepotenti fattori di disturbo, scientifici e/o antropologico – culturali, che mirano ad accreditare diverse immagini dell’esistenza e della consistenza del rischio132”.
Occorre, infine, spostare l’attenzione verso il dolo e la colpa, per rendersi conto di come la giurisprudenza in materia di danno da prodotto sia giunta a una sostanziale fungibilità delle figure del dolo eventuale e della colpa cosciente.
Come è noto, la distinzione tra le due figure risiede in quella soglia costituita dall’accettazione del rischio: quando un soggetto si rappresenta concretamente la commissione del reato come conseguenza possibile di una condotta diretta ad altri scopi
132PIERGALLINI, cit. , 372.
e, ciononostante, decide ugualmente di agire anche a costo di commettere il reato allora viene oltrepassata la soglia dell’accettazione del rischio, si configura in tal caso il dolo eventuale; altrimenti, se il soggetto si rappresenta la possibilità dell’evento lesivo, ma confida nella sua concreta non verificazione, si rientra nella figura della colpa cosciente
Ancora una volta, emblematica è al riguardo la decisione sul caso Lederspray. Gli amministratori della società produttrice dello spray sono stati condannati a titolo di colpa cosciente per le lesioni intercorse fino al febbraio 1981 – data in cui si prese la decisione di modificare la composizione del prodotto – e a titolo di dolo eventuale per quelle successive alla decisione collegiale di non ritirare il prodotto dal mercato, avvenuta nel maggio 1981.
La prima decisione fu giustificata “da un livello oggettivamente minimo ed equivoco in termini di percezione del rischio stesso; livello caratterizzato da alcuni isolati casi di danno a cui si era pensato di rimediare apportando qualche
modifica alla composizione del prodotto, rivelatasi, tuttavia, inefficace133”.
L’imputazione a titolo di colpa invece, fu basata sulla circostanza che, nonostante le modifiche al prodotto, i danni non fossero venuti meno: “ (...): lo sviluppo dei fatti cioè, era tale da corroborare il giudizio iniziale di mera sospetta pericolosità che lambiva il prodotto. Il diverso e più grave livello di rischio riconoscibile e la scelta deliberata di correrlo, continuando a immettere il prodotto sul mercato (...), si risolvevano in una concreta accettazione del rischio idonea a legittimare il ricorso al dolo eventuale134”.
Così facendo però, i giudici tedeschi hanno compiuto una qualificazione della condotta non facendo riferimento alla summenzionata soglia dell’accettazione del rischio, bensì alla gravità del medesimo e alla sua progressione. Si è cioè passati dal qualificare una condotta come colposa (cosciente) a dolosa (eventuale), non sulla base di una accettazione del rischio di verificazione dell’evento di reato da parte dei dirigenti della
133PIERGALLINI, cit. , 363.
134PIERGALLINI, loc. ult. cit.
società, ma semplicemente sulla base di una – ad avviso dei giudici – maggiore consistenza della percezione del rischio. In altre parole, condotta colposa fintantoché non si manifestano i primi eventi lesivi vagamente riferibili al prodotto, dolosa non appena tali eventi si siano manifestati e, tuttavia, ci si sia ostinati a non ritirare il prodotto dal mercato, con sostanziale giustapposizione delle due figure che finiscono così col perdere ogni autonomo spessore.
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